migranti

Suggestioni:Migranti.

Ho spento la tv, ieri sera.
Quando, nel programma Piazza Pulita, sono comparsi dei rifugiati rinchiusi nelle carceri
libiche, greche e marocchine: dietro le sbarre, al buio, in condizioni igieniche
spaventose, affamati e malati. Invocavano di essere liberati, gli occhi sbarrati
nella paura di esser abbandonati.
E in realtà, li stiamo abbandonando.
E scopriamo ogni giorno che nel nostro egoismo non riusciamo a sopportare neppure
il dolore degli altri.

L’Italia e’ al centro di un mare che lambisce aree di
crisi e che rappresenta la porta aperta per l’Africa nera, devastata dalla fame,
dalle guerre tribali, dalla paura. E’ inevitabile che diventi la meta agognata o
semplicemente un’area di transito per chi fugge da un destino di morte. Dalla
Libia nel 2011 sono sbarcati sulle nostre coste in 63 mila, nel 2014 in 170
mila; dal primo gennaio a oggi, in 57 mila; ma almeno il triplo arriva via
terra, dalla Turchia, dalla Grecia, dall’ex Iugoslavia; ma di questi si parla
poco, perché non li vediamo: abbiamo in mente solo quelli che giungono sui
barconi, esausti, o quelli annegati dispersi in mare.
– Possiamo ignorarli,
come qualcuno sostiene? No, se ancora abbiamo un barlume di pietà.
– Possiamo
affondare i barconi pieni di poveracci affamati e terrorizzati? Ma certo, se si
trova qualcuno capace di farlo: ma anche chi e’ per la pena di morte non e’ mai
disponibile a infilare nel cappio il collo del condannato.
– Possiamo fare un
blocco navale e respingere i barconi della disperazione e del racket criminale?
Si’, possiamo, ma la paura e la fame li farebbero arrivare a nuoto o per via
terra. E allora? Saremmo capaci di sparargli addosso come fanno in Marocco o in
Spagna? No.
– Possiamo bombardare i barconi dei negrieri moderni? Non e’
possibile: i barconi non stanno li’ allineati con tanto di cartello “trasporto
carne umana”, ma sono confusi con quelli di centinaia di poveracci che vivono di
pesca e che se perdessero le loro barche morirebbero di fame. E poi, sarebbe un
atto di guerra contro nazioni certo in sfacelo, ma capaci comunque di reazioni
impensabili. E chi ci dice che i negrieri non userebbero i disperati come scudi
umani di fronte ad una nostra azione di guerra?
– Possiamo rimpatriarli? A
parte l’aspetto etico, non e’ semplice farlo. Cosa si fa oggi: entro 90 giorni
si contatta il consolato del Paese del migrante, che deve interrogarlo e
identificarlo; poi due agenti accompagnano in aeroporto il migrante espulso.
Complicato e costoso, e infatti su 15 mila espulsi nel 2014, ne sono stati
eseguiti solo il 35%. E comunque, molti riescono a rientrare, se non annegano
prima nei vari tentativi.
– Possiamo tenerli dietro il filo spinato in attesa
di identificazione? Anche le migliaia di minori che giungono soli, caricati a
forza sui barconi da genitori sconfitti, che li affidano al destino sperando che
sia più clemente di quello che loro scontano in un mondo feroce? No, mai.
I minori sono 9000, ma 5000 sono scomparsi, quasi tutti egiziani. Un fenomeno che
rende invisibili i più deboli e li consegna alla criminalità organizzata.
Cosa fare quindi?
– soccorrerli, innanzitutto; caricarli sulle navi da
guerra e identificarli con impronte digitali e altri sistemi più moderni;
accoglierli in modo civile e coordinato: inconcepibile che non si trovino locali
dove alloggiarli e dove loro stessi, guidati, potrebbero farsi da mangiare e
vivere normalmente in attesa di una sistemazione definitiva, in Italia o in
Europa (a Cagliari abbiamo scuole inutilizzate, caserme e lo stesso ex carcere
di Buoncammino vuoti); dotarli di lasciapassare a tempo perché possano recarsi
in altre nazioni europee per cercare lavoro (molti hanno parenti in Europa e
potrebbero essere aiutati a inserirsi nelle diverse comunità); inserire e
integrare i minori senza genitori dando loro la cittadinanza senza indugio.

rimpatriarli, per quanto si può, se appartengono a nazioni non particolarmente
critiche e con i quali si hanno, comunque, accordi di riammissione: Egitto,
Marocco; e con altri paesi della fascia subsahariana economicamente critiche, ma
con buone probabilità di sviluppo.
– pianificare interventi mirati nelle zone
di crisi, specie nella fascia subsahariana (Mali, Senegal, Gambia, Costa
d’Avorio) impiantando scuole, ospedali, aziende agricole; scavando pozzi e
costruendo sistemi di irrigazione. Il tutto demandato ai missionari, del tutto
ignorati e gli unici in grado di capire le esigenze di quelle popolazioni: lo
diceva Montanelli, laico, lo dobbiamo urlare noi, cristiani. Le istituzioni
internazionali, Onu e UNICEF compresi, hanno apparati burocratici elefantiaci,
che ingoiano risorse e sono ormai screditati.
Fare questo ci costerebbe molto
meno di quanto spendiamo oggi con interventi tampone e quindi non risolutivi.
Perché i problema dei migranti si risolve in tempi lunghi, ma ha bisogno di
soluzioni in tempi brevi e di medio termine.
– cooordinare e integrare i
diversi interventi attuati dal Viminale (tecnologia e addestramento di polizia
per il controllo dell’emigrazione nei passi interessati) e dalla Farnesina
(cooperazione e aiuto allo sviluppo).

Dobbiamo capire una realtà elementare:
l’Italia e’ sola di fronte a questo problema.
Le altre nazione della Comunità
hanno paura del fenomeno migratorio e si tirano indietro, come hanno fatto dopo
le prime, timide promesse di aiutarci.
Prendiamone atto e facciamo da noi.
Siamo una nazione civile, capace di reagire nei momenti di crisi: dimostriamo al
mondo che siamo migliori di come veniamo dipinti.
Riprendiamoci la nostra
umanità e leviamola alta, perché altri la riscoprano e si vergognino della loro
indifferenza.
In un mio racconto, ho chiamati i migranti “supplici”, che
invocano il nostro aiuto inginocchiandosi ai piedi dei nostri altari, come gli
sconfitti nelle guerre antiche.
Non dobbiamo, non possiamo negare questo aiuto
a chi ci guarda con la paura di vedersi respinto.

Tonino Serra per Medasa.it