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Suggestioni: La bellezza

Nella cucina vastissima della casa monumentale di tzia Austina, proprio di fronte alla caserma di Cresia ‘e Susu,
lo schermo in bianco e nero di una tv primordiale si animava all’improvviso…un
veliero che solcava il mare, con le vele al vento. E mentre comparivano le prime
scritte in gotico svolazzante, ecco un canto da avvinazzati, interrotto da
volgari e agghiaccianti scoppi di risa:

« Quindici uomini, quindici
uomini
suuuuulla cassa del mortooooo
io-ho-ho, e una bottigliaaaaa di
ruuuuum!
la bottiglia e il demonio han pensato al resto
io-ho-ho, e una
bottiglia di rum! »

Il capo dei pirati aveva una lunga barba nera, i fianchi
armati di pistole e di pugnali e…una gamba di legno…Silver John. Stevenson.
L’isola del tesoro. 1959

Il canto dei pirati e la risata sconcia di un
bandito del mare, che si grattava la scabbia sotto il camiciotto sporco,
allieto’ almeno dieci martedì della mia infanzia.
Come il canto “àiva-no-o! àiva-no-o!”, che alle cinque della sera annunciava alla tv dei Ragazzi le
avventure di Ivanohe, 1960, un cavaliere fedele al re Riccardo Cuor di Leone e
nemico acerrimo dell’usurpatore Giovanni Senza Terra. Il cavaliere era un attore
sconosciuto e giovanissimo… Roger Moore, l’imprevedibile futuro Agente 007,
che compariva sul suo cavallo bianco, armato di scudo e di lancia.
Il cavaliere del sogno, che accompagnava e guidava i nostri sogni di bambini.

La nostra vita e’ un film e, come tale, nei diversi momenti del suo svolgimento e’
accompagnata da una colonna sonora, che ricordiamo per sempre.
La mia infanzia visse di avventure di pirati e cavalieri medievali senza macchia e senza
paura…l’Isola del tesoro e Ivanhoe, appunto…e di canzoni patriottiche
imparate a scuola o in oratorio. Poi cominciai ad andare al cinema, nonostante
le prediche accorate del canonico Stochino e di don Piras sul pericolo di certi
film immorali e proibiti.
Forse per questo, quando vestito da chierichetto
sentii gli anatemi contro il film “Senso”, entrai a fura al cinema di Tziu
Antonicu, saltando nel balcone da un arancio che protendeva generosamente i suoi
rami verso la sala di proiezione. Era il 1955 e quel film, oggi castigatissimo,
mi fece un’impressione incredibile…i primi baci sensuali, le prime scene
erotiche e i primi turbamenti della preadolescenza.

Allora non lo sapevo, ma quel film era di un regista già famoso e maledetto: Luchino Visconti. Fu il suo
cinema che accompagno’ la mia giovinezza: Rocco e i suoi fratelli, 1960, con due
tormentati Renato Salvatori e Alain Delon e una tragica, sconvolgente Annie
Girardot; Il Gattopardo, 1963, con una magica Claudia Cardinale che balla il
valzer con Burt Lancaster; La Caduta degli Dei, 1971, con un diabolico Helmut
Berger e la madre incestuosa Ingrid Thulin; l’inquietante Morte a Venezia 1971,
l’ossessivo Ludwig 1973, il devastante Gruppo di famiglia in un interno 1974. E,
nel 1976, L’Innocente, tratto da un romanzo di D’Annunzio, con i titoli scritti
come su un antico libro amanuense, sfogliato lentamente dalle mani segnate dalla
vecchiaia di Visconti, che sarebbe morto pochi mesi dopo.

Fu in questo film che vidi per la prima volta Laura Antonelli.
Di una bellezza totale, che univa
la perfezione delle statue di Prassitele e di Lisippo al sorriso enigmatico
della Gioconda di Leonardo, alla sensualità fisica dei dipinti pompeiani.
La femminilità perfetta dell’arte classica greca e quella misteriosa delle dame del
Rinascimento; e quel lampo di tristezza mai scomparso in occhi cangianti tra il
grigio e l’azzurro, che avevano visto la fuga dalla sua terra dalmata e l’esilio
da bambina senza giochi. Quando vidi in un passaggio su Sky il film “Malizia”,
lo vissi come una profanazione.
Una donna elegante e di mitica bellezza,
costretta a recitare la parte di una cameriera sensuale, secondo la moda
pecoreccia del momento: una diva Viscontiana, sacrificata sull’altare
voyeuristico di un Samperi pruriginoso e volgare.
Istintivamente, ci sentiamo
feriti se si infrange un’immagine di bellezza o di semplice ammirazione. Un po’
come quando Margherita Buy…dall’aspetto così materno o mite da amica di
liceo…recita una scena di sesso in “Saturno contro”: una forzatura
sconcertante, che si poteva evitare e che non avrei mai voluto vedere.

Laura Antonelli e’ morta ieri. L’hanno trovata in casa, uccisa da un infarto.
Dicono che abbia vissuto gli ultimi anni della sua vita sola, tradita da uomini
sbagliati e crudeli, in fuga dalle droghe e dalle sue ossessioni, abbandonata da
chi le era amico quando era bella e osannata, ricca e invidiata. Non mi
sorprende: il fisico devastato dalla malattia, dalle droghe e dalle medicine e’
uno specchio che riflette le nostre ansie e la nostra angoscia, la nostra
inadeguatezza di fronte al dolore, la nostra afasia verso che ci chiede aiuto. E
da esso si fugge, per non guardare se stessi nella disperazione degli altri.

Si fugge non per cattiveria, ma per viltà.
Laura Antonelli non ha lasciato un testamento: non aveva più nulla, derubata anche dalla badante delle ultime
sue cose, forse anche dei suoi ricordi. Ma aveva scritto in un biglietto di
avvertire solo Lino Banfi e Claudia Kool, uniche persone che non l’avevano mai
lasciata e che la tenevano legata a due momenti felici della sua vita:
l’amicizia solidale e la fede ritrovata in un Dio che non abbandona nessuno.

Un suo vecchio amore, Jan Paul Belmondo, oggi 82enne, incontrato sul set di
“Gli sposi dell’anno secondo” di Rappenau e suo compagno per nove anni, ha
scritto: “Fu per me una compagna adorabile, dal fascino eccezionale”.
Anche noi vogliamo ricordarla come una “compagna adorabile” della nostra
giovinezza…la colonna sonora dei nostri anni lontani, quando la bellezza era
andare al cinema, sedersi nel buio di una sala e sognare il futuro negli occhi
di quella ragazza così luminosa e vicina da poterla sfiorare con le labbra.

Tonino Serra per Medasa.it