Suggestioniimmigrati: Gli Unni.

Cavalcarono per migliaia di chilometri attraversando le steppe asiatiche e giunsero in Europa, un continente ancora giovane custodito dall’unica potenza globale del tempo: Roma, ormai in via di dissoluzione dopo mille anni di gloria.
Erano cavalieri esperti, che non scendevano mai di cavallo, che si nutrivamo mentre correvano a briglia sciolta mangiando la carne ammorbidita sotto le selle. Erano guerrieri feroci, che si facevano carico di uccidere chi aveva una brutta mira o i fratelli feriti in
battaglia.
Li fermo’ Papa Leone nel 452, davanti ad Aquileia, sbarrando loro la

strada dell’Occidente con un crocifisso alto contro il sole, che abbaglio’ e
terrorizzo’ il grande Attila. Abbandonarono le nostre terre, ma a distanza di
1700 anni ne abbiamo ancora paura e chiamiamo il loro Re come allora: “flagello
di Dio”.
Ed erano, invece, solo un popolo impaurito, cacciato cinquecento anni
prima dai loro villaggi da popoli ancora più feroci…i Cinesi e i loro alleati
Hsieng-Se.
Gli Unni si sarebbero poi stabiliti lungo il corso del Volga,
invadendo i territori degli Alani, degli Ostrogoti e dei Visigoti, che si
spostarono in massa verso le fertili pianure europee e si scontrarono contro
l’antica civiltà romana.
Sotto i loro colpi cadde l’impero romano d’occidente.

A ben vedere, la storia del mondo altro non e’ se non la fuga di interi popoli
dai pericoli che li incalzano.

Ieri erano novecento a fuggire, dai deserti africani.
Settecento, forse novecento uomini, donne, bambini. Che non abbiamo
visto, di cui non conosciamo e non conosceremo mai il volto, il colore degli
occhi e dei capelli, la lingua.
Ma ne avremmo avuto paura perché erano diversi
da noi, neri in contrasto col nostro colore pallido, i volti barbari stravolti
dall’ansia, il corpo teso in atteggiamento aggressivo.
E invece avevano solo fame e paura, ma non li avremmo capiti.
Alla loro paura avremmo opposto la nostra, che e’ anche paura di perdere i privilegi
dei paesi ricchi, resi cinici 
dall’abbondanza.
Di un paese dove ogni giorno si butta cibo per venti milioni di

esseri umani; dove si consumano 192 litri di acqua minerale procapite…ben 234
euro l’anno per famiglia per circa due miliardi di euro, a fronte degli 85
centesimi al giorno per l’acqua del rubinetto; e dove spendiamo 1600 milioni di
euro per comprare 536 mila tonnellate di cibo per i nostri sette milioni di cani
e altrettanto gatti.
Terribile spreco, se pensiamo che ancora oggi in Congo il
97% della popolazione vive con un euro al giorno.

La gente fugge dalla carestia, dalle guerre; fugge dalla violenza e dalla fame.
Non cerca la felicità, che non sa cosa sia.
Tenta solo di non morire, di non vedere morire i

propri figli. E allora si imbarca sui legni marci, sapendo che potrebbero
affondare alla prima onda più alta. Sperano nel destino buono o in un Dio troppo
spesso assente.
Non sono gli unici a fuggire, gli africani.
Sono fuggiti tempo fa i vietnamiti verso la Thailandia, la Malesia e l’Australia; i ruandesi
verso il Congo; e oggi milioni di persone fuggono: un milione e mezzo di siriani
verso la piccola Giordania di sei milioni di abitanti, che accoglie già un
milione e mezzo di palestinesi; centinaia di migliaia di siriani verso il Libano
e un milione di iracheni, incalzato dai tagliagole del Califfato, verso la
stessa Siria.
Non sappiamo quanti messicani fuggono verso gli Stati Uniti e
quanti africani sfidano gli spagnoli di Ceuta e Melilla per varcare il
mare.

Cosa fare.
Dal mare arrivano relativamente in pochi, ma sono questi
che si scontrano direttamente con i nostri pregiudizi e i nostri egoismi. Perché
li vediamo tutti insieme, distrutti dalla fatica, sfigurati dalla paura. Perché
sappiamo che, appena saranno in grado di farlo, fuggiranno, creando problemi di
ordine pubblico, dai centri di accoglienza per avventurarsi verso le regioni del
nord, verso la Svezia che accoglie il più alto numero di rifugiati…metà delle
domande dei siriani giunti in Europa; verso la Germania che ne ha accolto 400
mila negli ultimi quattro anni, 5 rifugiati per mille abitanti.
Giungono anche
dai porti greci, ma quasi sempre da quelli libici.
Quando c’era Gheddafi, un
patto indegno, che però ci faceva comodo, bloccava i fuggitivi tra il deserto e
il mare. Barattavamo la nostra civiltà basata sui diritti umani con il blocco
dei flussi migratori, facendo finta di non sapere che i libici tenevano i
fuggitivi segregati in campi di concentramento, sottoposti a violenze e
umiliazioni indicibili.
Ci servivano degli aguzzini libici perché facessero ilBODY OF DROWNED MIGRANT FLOATS IN THE SEA NEAR FUERTEVENTURA.
lavoro sporco evitandoci di affrontare il problema. E facevano finta di
risolverlo intervenendo sull’ultimo anello della catena…la partenza dai porto
magrebini, e non le cause che li fanno fuggire dalle regioni subsahariane.

Oggi la Libia non esiste più. Esistono ancora i trafficanti di carne umana
affiliati ai terroristi, che usano i migranti per fare soldi da investire in
armi e nella loro cupa avventura di fanatici; che li spingono sulle carrette
del mare sotto la minaccia delle armi e li abbandonano alle onde, alla morte.

Nel 2014 ne sono morti 3 mila; nel 2015 ne sono morti già 1500. Ma nessuno
ricorda più le stragi che pure ci commossero, anche se per pochi giorni: 23 mila
morti dal 1988, tra cui le 283 vittime del natale 1996 nel Canale di Sicilia; i
600 tunisini del 2011, mai trovati e invocati solo dalle mamme che ancora
cercano i loro figli; i 630 morti nelle due stragi del 2013.
Esseri umani morti in quel mare che non avevano mai visto e in cui non sarebbero mai riusciti
a sopravvivere, neppure per poche ore, perché non sapevano nuotare.
Bisogna fermare i nuovi negrieri, certo, ma come.
La Mogherini si augura che si possa
varare a breve un governo libico di unità nazionale…ma come si fa con 150
tribù in guerra tra loro e ampi territorio in mano ai jihadisti, che dividono il
loro tempo tra il massacrare i musulmani eretici e lo scannare i cristiani
infedeli? 
Dobbiamo muoverci ora. Andando in forza nei paesi subsahariani,
supportando i pochi stati esistenti e funzionanti, dando danaro e assistenza
nelle regioni a rischio, contrastando con le armi le milizie barbare; e creando
corridoi umanitari nei paesi ingovernabili, facendoci carico di chi ha diritto
all’emigrazione, accogliendoli e integrandoli nei nostri paesi.

Lo dobbiamo alla nostra civiltà occidentale, ai nostri valori storici.
Dobbiamo salvarli dalla fame, dalla paura; prima che ci abituiamo alla loro sofferenza, agli occhi
smarriti, alla loro disperazione impotente. Prima che ci abituiamo a volgere il
viso da un’altra parte per evitare di incontrare i loro sguardi e ad avere
vergogna di noi.
Dobbiamo accoglierli, prima che ci odino per la nostra ignavia e il nostro cinismo.
Sono come noi, sfortunati come i nostri padri che
entravano clandestini in Francia o attraversavano gli oceani per le Americhe;
come i 657 italiani annegati nell’ottobre del 1927 nell’affondamento della
“Principessa Mafalda” davanti alle coste argentine…chi mai li ricorda più.

Cambiano i tempi, migliorano per i più fortunati, ma non e’ detto che non
siano reversibili.
Dicono in Ogliastra…in dd’eus bittu de carrus
furriaus…abbiamo visto la fortuna cambiare e punire l’arroganza. Dio non
voglia che succeda, ma potrebbe succedere.
Già oggi molti di noi hanno figli
che cercano lavoro altrove, oltre i nostri confini.
Siamo genitori nomadi per
vivere spicchi di vita con i figli lontani, alcuni ai confini del mondo, e con i
figli dei nostri figli. Non dimentichiamo chi li perde annegati in mare e chi
non avrà mai la gioia di rispecchiare il proprio volto in quello dei proprio
nipoti.

Tonino Serra per Medasa.it