Suggestioni : — Le Città negate : Berlino —
Suggestioni
Le Città negate: Berlino
La mia generazione, vissuta in un mondo diviso dalla Guerra fredda, e' orfana
della felicità che avremmo vissuto se fossimo stati liberi di conoscere le
grandi città europee…oltre quella che Churchill aveva chiamato la Cortina di
ferro.
Per noi l'Europa si fermava alla Germania Ovest…ed erano lontane,
smisuratamente lontane in un mondo alieno, Berlino, Praga, Varsavia,
Budapest…le città che avevano illuminato con il loro genio un continente
distrutto dalla Grande guerra. Non ero in grado allora di provare dolore per non
poter vedere Sofia, Belgrado, Tirana, Bucarest…sapevo ben poco della loro
cultura…e non sapevo quanto c'era di bello nelle loro chiese, nei monasteri,
nei centri storici ancora intatti nonostante le distruzioni di una guerra
atroce…e quanto era simile alla nostra la loro civiltà contadina.
Vidi per la prima volta Berlino nel 1970…una capitale negata, una citta'
ancora ferita e umiliata dalla folle avventura nazista e divisa da un Muro
eretto da un'oligarchia ottusa a difesa di un'utopia. Ero già stato in Germania
per un convegno di partito nel 1969…cinque giorni nel castello di Wessiling,
vicino a Colonia, con visita al Bundestag dove fummo ricevuti dal Presidente e
dove dei camerieri in livrea azzurra ci offrirono dolci squisiti e sigari
cubani. Avevamo attraversato una terra sconfinata e ricca, pianure immense e
coltivate e punteggiate di villaggi ordinati con campanili dalla punta
aguzza…e capii, non senza inquietudine, perché questa nazione avesse ogni
tanto voglia di conquistare il mondo.
La CDU, gemella della mia DC, in quel 1970 aveva invitato per un seminario di
studi politici una ventina di giovani democristiani provenienti dall'Europa
libera e con altri tre italiani io avevo raggiunto la frontiera con la DDR in
ferrovia.
Ma, nel momento di salire su un altro treno che ci avrebbe portato nella
storica capitale tedesca, mi resi conto che non avevo passaporto…la carta di
identità non bastava, dovevo tornare indietro, a casa. Conobbi allora una delle
cose strane, che poi si dimostrarono normali in quel mondo avverso…la cortesia
del nemico. Una guardia comunista, gigantesca nella sua divisa verde, mi
suggeri' con una gentilezza inaspettata di andare in treno a Francoforte e da
li' arrivare a Berlino Ovest passando nel corridoio aereo utilizzato liberamente
dalle potenze vincitrici dell'ultima guerra, che allora si dividevano Berlino in
quattro spicchi.
Berlino era infatti nel centro della Germania comunista e ci si arrivava
attraverso dei passaggi obbligati…o in treno, subendo le perquisizioni delle
guardie armate accompagnate da cani ben addestrati…o in aereo, secondo
l'esperienza accumulata quando i sovietici volevano impadronirsi della Città
sconfitta affamandola e gli americani la salvarono con un leggendario ponte
aereo, che la rifornì di viveri e di speranza per mesi, prima che la diplomazia
e il buon senso vincessero sulla prepotenza.
Mi accolse una città piena di luci e un albergo bellissimo, scelto ad arte a
poche decine di metri dal Muro…dovevamo vederlo ogni mattina al
risveglio…alto, grigio, con il reticolato sulla cima…e oltre il muro uno
spiazzo deserto vigilato da torrette luccicanti di armi pronte e, un po' piu
oltre, le case oscure, senza luci. Un mondo di tenebre in netto contrasto con
quello luminoso dove mi trovavo a vivere. Certo, c'era molta propaganda, ma vi
assicuro che affacciarsi su una città buia avendone alle spalle una rutilante di
colori e di vita, era sconvolgente.
Allora Berlino Ovest era piena di giovani universitari, che sceglievano la
Libera Università perché erano esentati dal servizio militare, e la loro
esuberanza riempiva le strade, le biblioteche, i teatri, i cinema e le birrerie
a più piani, dove vidi le ragazze più belle e piu ciuche del mondo e dove
riuscii a rubare un boccale da due litri…era permesso farlo, ma non dovevi
farti scoprire e io, abituato a Teliarsu con la res nullius, non ebbi difficoltà
a farlo mettendo il boccale fuori dalla finestra e prendendolo all'uscita sotto
lo sguardo divertito dei camerieri.
A Berlino la vita era sospesa. Si attendeva la fine di una fase storica, ma si
viveva nell'angoscia di non sapere quando ciò sarebbe successo. Lo avvertivo da
piccoli segni nascosti…come quando mi accorsi che la metropolitana si
avventava verso il Muro per deviare di 90 gradi la sua corsa all'ultimo momento
e proseguire la sua strada costeggiando quel freddo monumento all'odio. Guardai
la guida…un uomo cortese dagli occhi gelidi, già interprete di Rommel, la
volpe del deserto…che ci rassicuro'…si, per voi e' una curva strana, ma
tanto e' una soluzione provvisoria…
Eppure mi colpì anche che i miei amici tedeschi, conosciuti in una comune,
fossero dei leninisti accaniti, ostili profondamente al sistema democratico
anche se il paragone con il contiguo mondo comunista era impietoso. Capii,
frequentandoli, per pochi giorni, la validità e la grandezza della democrazia,
in cui ci si batte anche perché gli avversari possano sostenere liberamente
quanto magari non si condivide.
Una soluzione politica provvisoria…forse, ma non sembrava, almeno a breve
termine, per questo non volevo andare via prima di visitare il settore orientale
di Berlino, dominato dai sovietici. Non avevo documenti, ma con l'incoscienza
dei venti anni mi avvicinai a Check Point Charlie, il passaggio obbligato per
passare a Est e ad uno del Vopos…così si chiamavano le temibili guardie di
frontiera…spiegai la situazione. Anche stavolta scatto' la strana cortesia
verso uno sconosciuto…fui fatto entrare in uno stanzino, mi fotografarono come
un galeotto e mi diedero un lasciapassare valido due giorni col quale entrai
nella fortezza comunista, che visitai in lungo e in largo.
Non mi piacque nulla…era una comunità triste, ordinata ma fredda, e di
sorrisi neppure l'ombra…con l'eccezione di alcuni bimbi ai quali mi unii
giocando sulla neve, che ricopriva alta la Città. E dappertutto sorgevano
monumenti bruttissimi agli ideali socialisti…uno in particolare mi
impressiono', quello al soldato sovietico, un tempio greco gigantesco su cui
vigilavano due sentinelle armate di mitra parabellum che avevo visto solo nei
film di guerra, immobili nel freddo, disumane nella loro statura e nel viso di
marmo.
Ma ricordo in quel clima cupo e senza luci il museo splendido di Pergamo, con
il busto di Nefertiti e di Pericle, le mura di Babilonia e le tigri assire, e il
sacro altare della capitale della cultura elenistica, che riviveva intatto in
quella città chiusa al mondo. Ero solo nel museo ampio e silenzioso e appena
entrato vidi dietro una colonna immersa nella penombra un custode che mi faceva
segno di raggiungerlo…voleva cambiare dei dollari, ma non potei farlo perché
all'ingresso avevo dichiarato quanto avevo in tasca e sapevo che uscendo, come
poi avvenne, avrebbero controllato quanto avevo speso e come.
La sera del 9 novembre 1989 ero a casa e guardavo distrattamente le notizie del
telegiornale quando mi colpì la notizia che il governo della DDR consentiva il
libero passaggio dei suoi cittadini berlinesi nel settore ovest della citta'.
Non capii subito…da mesi si susseguivano le notizie sulle convulsioni finali
del mondo comunista… ma dopo pochi secondi lo schermo si riempi' della folla
straripante che si univa ai fratelli separati dall'agosto 1961. E mi fu chiaro,
come un lampo, che col crollo del Muro spariva un mondo che pareva infrangibile,
eterno.
Ne fui felice, certo, ma nella consapevolezza che non di trattava dell'apoteosi
definitiva degli ideali di libertà…si chiudeva semplicemente un capitolo della
storia infinita dell'uomo e della sua superbia luciferina…vanitas vanitatum et
omnia vanitas…vanità delle vanità, tutto e' vanità…come si legge nella
Bibbia.
Non pensai neppure per un attimo che quel crollo risolvesse i problemi di un
mondo che, ne ero e ne sono convinto, restava ingiusto, sordo ai bisogni dei più
deboli, avido e crudele.
Eppure mi sarebbe piaciuto volare in Germania e vivere quel
momento…intossicarmi del fumo delle Trabant, comiche e commoventi macchine
autarchiche, e della gioia incontrollabile, urlata, viscerale di un popolo che
si riunificava.
Non ci andai perché…perché non seppi cogliere l'attimo, ma due anni dopo feci
un viaggio di pochi giorni in due delle città liberate…Budapest e Praga. Ne
ebbi un'impressione di disagio…erano ancora tetre, una susseguirsi di
casermoni grigi staliniani, uno scenario decadente in cui la povertà endemica
tentava un riscatto immediato cavalcando i trucchi più odiosi di un capitalismo
riscoperto.
Ma mi divertì moltissimo un incontro incredibile a Praga…mentre andavo verso
la Cattedrale sentii uno che rideva…eita in ci fais in prassa 'e omu…e
seduti ad un tavolino scorsi Elio e Gianni che bevevano birra. Ci abbracciammo
felicissimi, ridendo di quella strana coincidenza…ma pochi anni dopo avrei
incontrato Alessio a Picadilly e Sergio a Istambul.
A Berlino ci tornai nel 1999.
Non la riconobbi.
Il Muro era sparito, il mio Chek Point Charlie ridotto ad un isolotto patetico
in mezzo ad una strada, i miei Vopos forse in pensione o forse riciclati come
guide nel loro mondo perduto.
Avevo di fronte una metropoli esuberante, in pieno sviluppo economico e
sociale…una città che richiamava giovani intelligenze coniugandole alla poesia
di un tempo mai trascorso.
Non so se potrò mai tornarci…ma se dovesse capitare mi piacerebbe ritrovare
la mia vecchia birreria, bere un litro di birra e allontanarmi facendo finta di
nulla…con il boccale rubato nascosto sotto il giubbotto.
Tonino Serra