Sa.Spo. Cagliari: un bagaglio d’esperienze pronto ad essere divulgato tra gli studenti
Lo sport paralimpico raccontato dai protagonisti storici e da quelli più giovani. Il consistente ed eterogeneo patrimonio umano che l’Associazione Sportiva Sardegna Sport Cagliari incarna nel suo operare quotidiano è stato portato ad esempio all’Auditorium del Convitto Nazionale a Cagliari gremito dagli attentissimi alunni del Liceo Sportivo convogliati dal loro professore Franco Marcello, da sempre molto sensibile alle evoluzioni della disabilità sul fronte sportivo.
“Sport Paralimpico: la vera vittoria dell’uomo moderno” era il titolo della conferenza che ha avuto un pool d’eccezione. A partire da atleti che ora ricoprono ruoli strategici negli organigrammi delle Federazioni e della stessa Sa.Spo: il presidente nazionale della FISPES Sandrino Porru (e anche vice presidente nazionale CIP), il presidente regionale FISPES Carmelo Addaris. Con loro la ex campionessa di atletica e attuale vice presidentessa Sa.Spo Cristina Sanna. E poi un altro saspino, Mattia Cardia, in forza anche alle Fiamma Azzurre, sprinter di punta della nazionale giovanile d’atletica paralimpica. Visto che si trovava nell’isola, reduce dalla Villacidro Skyrace, Fabio Secci ha voluto raccontare la sua esperienza come wakeboarder, soprattutto, ma ha fatto vedere quanto sia aperto a tante altre discipline.
Dopo i saluti del rettore Paolo Rossetti sono seguite due ore intense con le testimonianze dei protagonisti che si sono alternate piacevolmente, grazie anche all’ausilio di filmati e fotografie che davano un ulteriore supporto alle nozioni snocciolate.
CONTRIBUTI DA RICORDARE
Molto interesse ha suscitato la cronistoria delle Paralimpiadi, esposta da Carmelo Addaris, partita da Ludwig Guttmann, colui che a fine anni quaranta del secolo scorso organizzò i primi giochi riservati alle persone con disabilità. L’atleta di San Sperate, con quattro Paralimpiadi alle spalle, è un protagonisti vivente, perché ha vissuto in prima persona tutto il processo evolutivo del movimento dal punto di vista tecnico e culturale. Una data per lui è da fissare a mente: nel 1988 a Seoul Olimpiadi e Paralimpiadi vengono vissute nello stesso contesto: un salto culturale notevole. Si è soffermato nella descrizione accurata di impianti e ausili in dotazione degli atleti in quegli anni ruggenti. “Un tempo la pratica era limitata al Tiro con l’Arco e al Lancio del Giavellotto – ha spiegato – poi qualche tempo dopo si è visto anche il basket in carrozzina”. E a proposito di carrozzine, tanto stupore ha creato tra i giovani discenti la comparazione tra quelle standard che si utilizzavano cinquanta anni fa e i “missili” in dotazione attualmente. “L’evoluzione ha portato a carrozzine personalizzate che hanno modificato la postura, e all’uso dei guanti per agevolare la spinta – ha spiegato Addaris – mentre ai miei tempi le vesciche alle mani erano una conseguenza naturale della mancanza di protezioni”.
Ha poi celebrato le gesta atletiche dell’arciera Paola Fantato, la prima atleta italiana paralimpica che ha gareggiato in una competizione olimpionica.
Sono state proiettate anche delle slide dedicate al gioco della Boccia Paralimpica: “E’ stato un salto culturale enorme – ha rimarcato il presidente regionale Fispes –perché grazie a questa disciplina, coloro che sono portatori di disabilità molto gravi sono diventati protagonisti diretti e non delle figure passive”.
“L’uomo è pieno di risorse e la persona con disabilità ha un’unicità che va valorizzata sempre di più”. Sandrino Porru avrebbe tanti aneddoti da divulgare nell’ambito della sua lunga e brillantissima carriera sportiva, ma per l’occasione sollecita i ragazzi affinché prestino maggiore attenzione all’integrazione del disabile, perché persona dotata di peculiarità che la rendono insostituibile. Si rivolge d una tipologia di studenti che in futuro potrebbero diventare insegnanti di educazione fisica o educatori dello sport: “Ho detto loro che quando incontrano persone con disabilità devono stimolarle nell’intraprendere un’attività sportiva e fare in modo che gli esoneri dalla pratica dell’educazione fisica subiscano una netta contrazione”. Li ha salutati con questa considerazione: “In fondo la disabilità è la normalità della vita; colui che vive la condizione di disabilità, approcciandosi nell’ambito dello sport, ha superato quello che è il canone del passaggio fondamentale dell’accettazione di sé, scoprendo di rinascere a vita nuova”.
Le imprese atletiche internazionali e nazionali di Cristina Sanna sono state al centro del suo intervento dove i benefici avuti dallo sport sono stati messi in risalto. Di seguito ha disegnato un profilo della società di cui è dirigente: la Sa.Spo infatti si occupa di sport per disabili fisici, sensoriali e disabilità intellettive. “Gli alunni si sono mostrati molto interessati e sensibili all’argomento – ha sottolineato la vice presidentessa – ed è stato piacevole raccontare la mia esperienza a ragazzi così giovani che poi sono intervenuti con commenti e domande pertinenti dando modo di aver percepito il messaggio paralimpico”.
Durante il dibattito sopravvenuto alla sua testimonianza c’è chi ha elaborato delle proprie considerazioni, concependo la disabilità come un valore aggiunto e uno strumento di forza. “Alcuni studenti sono arrivati a queste conclusioni – conferma Cristina Sanna – perché ci immaginano più scafati, rispetto a loro, nell’affrontare difficoltà e ostacoli, che le circostanze della vita ci mettono di fronte”.
Da studente a studenti i messaggi vengono lanciati con più disinvoltura. Mattia Cardia da Villanovafranca non è arrivato fino a Cagliari per fare semplicemente il relatore. Come uno scafato anchormen scende in platea e coinvolge i discenti con domande di ogni tipo, stabilendo una fruttuosa sinergia e allontanando gli interlocutori da qualsiasi imbarazzo.
“A me piacciono molto questi interventi nelle scuole – afferma – perché noi giovani siamo quelli chiamati a costruire il futuro ed è giusto che si abbia una mentalità aperta nei confronti della disabilità e pertanto va fatta maggiore informazione tra i ragazzi”. Ha modellato il suo spazio d’azione mettendo in risalto i privilegi che lo sport gli ha dato come persona e non come disabile. “Lo sport paralimpico è come un vestito, da indossare con la taglia più appropriata. Penso che tutte le nozioni esposte da Carmelo, Cristina e Sandrino sia necessario assimilarle bene per capire come, nel tempo, il movimento paralimpico ha ottenuto delle importanti conquiste che ci hanno reso più liberi e capaci di gestirci con maggiore autonomia”.
Per Fabio Secci il poter raccontare cosa ci sia dietro una adaptive life è stata un esperienza formativa e motivazionale: “Non solo è utile ad educare la gioventù futura d affrontare certe problematiche oltre le mura della scuola – enfatizza Fabio – ma ancor più importante è aver aperto nuovi scenari su termini come differenza, sport, vita, sfide”.
Il focus della sua presentazione era incentrato sul progetto Fyourlimit: “Ho spiegato il perché investire tante energie per motivare para e non atleti ad avere un approccio di vita differente”
Il contesto era basato anche sull’aspetto della differenza che rende unici gli atleti paralimpici e sulla capacità di qualsiasi umano di adattarsi con o senza disabilita.
“Siamo propensi ad accettare le sfide senza mai arrenderci – ha detto il wakeborder – rialzandoci sempre più forti senza avere il timore di chiedere aiuto durante nuove sfide”. L’esperienza al Convitto è stata resa interessante ed emozionante attraverso alcuni video e immagini su cosa ci sia dietro una adaptive life: le protesi, la storia, le tecnologie e come queste vengono realizzate con professionalità e passione. “Ho evidenziato come questo lavoro aiuti persone come me a poter sognare e raggiungere nuovi obiettivi. L’aver visto alcuni ragazzi porgere delle domande e non perdere l’attenzione durante la presentazione, mi ha fatto capire che questo tipo di attività potrebbe realmente portare ad un piccolo cambiamento che viene sempre e solo in primis da noi come singoli”.
Fabio si è congedato dagli allievi con queste parole: “Eventi di questo genere dovrebbero essere costanti e propagati, l’esperienza di ognuno di noi come singolo può, non solo motivare, ma valorizzare i concetti di sport, passione, vita e sacrifici per raggiungere nuovi traguardi”.