Grande spettacolo e fortissime emozioni a teatro con “Il cacciatore di nazisti” che narra la straordinaria vita e gli scritti di Simon Wiesenthal. Basato sull’impegno e sulla ricerca dei gerarchi nazisti, il testo scritto dal regista Giorgio Gallione e con l’interpretazione di Remo Girone, sta ottenendo un grande successo di critica e di pubblico in tutta Italia. I continui depistaggi psicologici e volontari per cancellare le memorie delle atrocità che la “banalità del male” vuole fare dimenticare da parte dei nazisti alla storia che verrà scritta dopo la seconda guerra mondiale, vede nel lavoro di Wiesenthal prendere corpo e voce una ricerca di giustizia per le atrocità commesse e spesso negate. Una grande interpretazione e fortissime emozioni “Il cacciatore di nazisti”. È uno spettacolo che non è il racconto della storia passata, anzi sono anche le atrocità presenti che l’uomo contemporanea prosegue a commettere nella sua misera vita, perché il male opera anche nella banalità dell’esistenza di ognuno di noi.  

Viviamo in tempi in cui le memorie storiche si dimenticano facilmente. Quanto valore e quanta fatica ha oggi per lei di portare avanti uno spettacolo di questo tipo?

È qualcosa di speciale. Non è uno spettacolo normale. È molto importante e ciò mi fa piacere e non faccio nessuna fatica perché questo spettacolo ha un valore aggiunto rispetto a quelli normali che porto in scena comunemente.

Proprio perché è uno spettacolo particolare avrà richiesto sicuramente una ricerca storica di un certo tipo e rivivere anche una forma di sofferenza di quanto l’uomo sia artefice di barbarie. Quanto lo ha colpito nel suo cuore un lavoro di questo tipo?

Si mi ha colpito nonostante avessi già fatto altri giorni della memoria del quale uno al Quirinale dove io e mia moglie abbiamo letto delle lettere di ebrei italiani. Un’altra volta sempre nel giorno della memoria con la Filarmonica Romana e Cesare Mazzonis avevamo recitato al Teatro Argentina di Roma delle poesie di Paul Celan, dove mi accompagnava un violoncello che suonava Bach. Perciò un po’ dell’argomento mi era familiare. Invece nell’occasione della lettura in Quirinale ho conosciuto la senatrice Liliana Segre, e anche uno dei sopravvissuti all’olocausto, una persona molto simpatica. L’ho abbracciato. Non è la prima volta che mi cimento e lavoro con questo tipo di memoria, però ho scelto molte cose di questo spettacolo che è scritto dal regista Giorgio Gallione, e alcuni avvenimenti narrati e terribili non li conoscevo proprio. Inizialmente pensavo ne uscisse un lavoro molto duro, ma poi mi sono reso conto che il “viaggio” che Simon Wiesenthal ha fatto deve essere stato duro, come se non fosse mai uscito da quella memoria. E così tanti altri sopravvissuti che ho sentito parlare hanno sempre presente quel momento. È come se una parte di loro fosse rimasta sempre lì. Questo è alquanto doloroso per loro, ma siccome io non l’ho vissuta questa esperienza  cerco di farne come un’ammenda personale.

Il pubblico presente ha recepito tutto ciò. È  stato come una catarsi e rendersi consapevoli che la nostra cattiveria umana faccia parte del nostro essere. Questo come pubblico ci spaventa.

Questo è quello che ho pensato anche io nel preparare questo lavoro. Io però non ho molto merito in questo lavoro perché è stato Gallione che lo ha scritto. All’inizio non avevo la certezza che sarebbe stato recepito in questo modo quando andammo a fare le prove e oggi invece mi da la consapevolezza che stiamo facendo qualcosa di buono.

L’arte salverà questo mondo e questa umanità? Quanto è importante portare avanti con l’arte queste memorie?

Io non so se si conosce Isaac Bashevis Singer come scrittore premio Nobel. Scriveva in lingua Yiddish ed è stato tradotto anche in inglese e dovette fuggire negli Stati Uniti d’America. Ciò che mi ha colpito è che  Singer, nonostante racconti del ghetto di Varsavia e altri fatti, affermò che in una famiglia ebrea i genitori cercano di diventare ricchi in modo da permettere ai figli di diventare degli artisti, dei grandi musicisti, poeti, scrittori, ecc., perché c’è questa consapevolezza che l’arte è qualcosa di fondamentale per l’umanità. Questo è bellissimo, cercare di poter permettere a uno dei propri discendenti di diventare un’artista.

C’è un sogno di Remo Girone?

No veramente no. Io ho sempre di essere adatto a fare certi personaggi come quelli del teatro di William Shakespeare o del teatro greco, però sono sempre stato consapevole dell’esigenza di un occhio esterno, come quello di un regista, perché ho recitato in parti dove pensavo di non essere adatto, mentre invece si ottenevano dei risultati straordinari. Invece affrontare altre cose dove pensavo che avrebbero avuto un esito favorevole, non ottenevo al contrario uno stesso risultato. Perciò non ho sogni particolari nel mio lavoro perché si necessita un occhio esterno del regista.

Sua moglie l’aiuta in queste sue scelte?

Mia moglie è fondamentale. Quando possiamo noi lavoriamo sempre insieme. Per esempio la lettura in Quirinale delle lettere di ebrei italiani, all’epoca in cui uscirono le leggi razziali, le abbiamo lette insieme.