Dell’appeal che sprigiona una bicicletta è risaputo. E tutti, ma proprio tutti, provandola, si prendono una bella sbandata. La vera sfida è tramutare questa fase di innamoramento in un rapporto di reciproca intesa che si protragga negli anni.

Dettagli di manovra (Foto Alberto Caddeo)

Comitato Italiano Paralimpico Sardegna, Federciclismo e INAIL se lo augurano vivamente, dando delle opportunità concrete che siano da stimolo sia per gli infortunati dal lavoro, sia per i disabili civili.

Venti persone si sono così ritrovate a Selargius, presso il Centro Sportivo Paralimpico Sa.Spo. di via Don Bosco per apprendere i segreti delle bike. Il campus si è protratto per tre giorni con ritmo brioso che ha tenuto sempre accesissimo l’interesse da parte degli uditori. I meriti vanno in parte allo staff della nazionale italiana di paraciclismo, composto dai tecnici Fabrizio Di Somma (vedere intervista in basso) e Gianni Fratarcangeli. Purtroppo, un impedimento dell’ultima ora non ha permesso al Commissario Tecnico Mario Valentini di partecipare: le dissertazioni dei suoi fidi collaboratori sono state molto esaurienti. Infatti, non si sono limitate alle analisi tecniche di utilizzo delle bici, ma hanno spaziato anche in altre branche interconnesse tra loro come l’alimentazione o i costi che si devono sopportare per intraprendere l’attività.

Follie sul piazzale della Sa.Spo (Foto Alberto Caddeo)

Molto partecipato l’incontro con i tecnici isolani e gli insegnanti di educazione fisica che ora hanno un bagaglio di nozioni in più per coinvolgere studenti o persone con disabilità nella pratica della disciplina. Tra loro la responsabile della Associazione cagliaritana “Seguimi” che grazie all’attività ciclistica fa raggiungere il benessere psico fisico anche alle persone affette da autismo.

Si prova con determinazione (Foto Alberto Caddeo)

A coordinare le giornate ci hanno pensato da una parte Antonio Murgia, responsabile avviamento rapporti CIP Sardegna – INAIL e dall’altra la Federciclismo Sardegna presieduta da Stefano Dessì. E a rappresentare il comitato sardo FCI c’era anche la responsabile della commissione paralimpica Patrizia Spadaccini, la campionessa italiana di tandem per ipovedenti Ilaria Meloni e l’atleta Guglielmo Capolino.

Prove posturali (Foto Alberto Caddeo)

Durante la tre giorni non ha fatto mancare il suo supporto morale la presidente del CIP Sardegna Cristina Sanna, sempre emozionatissima quando si rende conto che la materia è seguitissima. “Ritengo che questo Campus sia stato molto utile, bello e divertente nella sua formula ben strutturata – ha sottolineato – dove si è passati dall’abc della disciplina a valutazioni più specifiche. Spero che non rimanga un episodio a sé stante e per evitare ciò occorre prendere in mano la situazione: sono sicura che la federazione ciclistica non li perderà di vista, devono proseguire al più presto con gli allenamenti. Rimango favorevolmente colpita anche dall’interesse mostrato dai tecnici ed insegnanti che non hanno lesinato gli interventi per capire al meglio certe dinamiche. Ringrazio tutti i partecipanti, i tecnici Gianni Fratarcangeli, Fabrizio Di Somma e il presidente FIC Sardegna Stefano Dessì. Un ringraziamento particolare anche all’INAIL e ad Antonio Murgia che nonostante le mille peripezie burocratiche è riuscito a condurre ottimamente in porto anche questa iniziativa”.

Cristina Sanna posa con le uditrici (Foto Alberto Caddeo)
La presidente del CIP Sardegna Cristina Sanna (Foto Alberto Caddeo)

TANTE BELLE PAROLE CHE PRESAGISCONO EVOLUZIONI IMPORTANTI

PARLANO STEFANO DESSI’ E ANTONIO MURGIA

Tutti sono d’accordo che la promozione della disciplina consentirà nuove metodologie d’impatto studiate dalla stessa Federciclismo Sardegna. L’idea è sposata pure da Stefano Dessì, il presidente del Comitato sardo FCI: “Dobbiamo esser attivi e propositivi nell’andare a cercare potenziali interessati – dice – e non limitarci a coloro che bussano alla porta”.

Pit Stop (Foto Alberto Caddeo)

Come già dichiarato dopo la bella esperienza divulgativa al velodromo di Sarroch il presidente raccoglierà le adesioni, nel tentativo di formare un gruppo che sia sempre più folto. “Li guideremo in questa fase di conoscenza e socializzazione, organizzando attività collegiali che aiutino a formare le sinergie e ad acutizzare la passione”. E infatti l’attenzione con cui si sono calati nella parte di aspiranti ciclisti fa ben sperare. Di sicuro l’apporto della commissione paralimpica composta dall’olimpionica di Atlanta 96 Patrizia Spadaccini, dal tecnico regionale Giuseppe Attene e dal coordinatore giovanile, nonché docente federale Rudy Cardia sarà essenziale. “Le risorse umane a disposizione le abbiamo messe tutte in campo affinché l’input verso il prosieguo di queste attività sia solido”.

Eleganza concentrazione con Patrizia Spadaccini (Foto Alberto Caddeo)

Dessì dispensa una considerazione rivolta alla comunione di valori e obiettivi palesatasi tra il CIP e la FIC sarda: “Lo spirito è quello giusto, entrambi vogliamo invertire la rotta destinando forze umane e finanziarie verso la divulgazione della disciplina; a mio avviso è l’unica strada da percorrere per poter incrementare il movimento paralimpico sardo che può dare tanto”. L’ultimo pensiero lo dedica agli spazi a disposizione per la pratica: “Abbiamo il velodromo di Sarroch che si presta anche agli allenamenti collegiali e ad ulteriori momenti di convivialità. Così come i bellissimi spazi del Centro Sportivo Paralimpico Sa.Spo dove ci si può dedicare alla preparazione anche senza il mezzo”.

Uno dei cinque tipi di bike paralimpica (Foto Alberto Caddeo)

Il lavoro promozionale svolto dal CIP Sardegna è stato sicuramente lodevole, come confermato dallo stesso Antonio Murgia: “La manifestazione è andata benissimo, la logistica è stata perfetta – ha confermato – come del resto la struttura della Sa.Spo che ci ha ospitato. E l’interesse suscitato nei partecipanti è palese”.

Di sicuro alle spalle c’è stato un grosso sforzo organizzativo: le esigenze dell’Ente Pubblico CIP abbisognano di una programmazione certosina che non lascia alcuno spazio alla improvvisazione. “Il non poter tralasciare alcun dettaglio è molto complicato – confessa Murgia – e a volte poter prevedere tutto con largo anticipo diventa un rompicapo, specie quando il budget non si può sforare”.

Antonio Murgia prova l’handbike (Foto Alberto Caddeo)

Sul fronte sportivo ora la palla passa alla FCI Sardegna: “Deve dare immediatamente continuità alla pratica del ciclismo paralimpico con la creazione di una commissione per le classificazioni – conclude l’insegnante di Santadi – possibilmente in Sardegna, il che consentirebbe ai tesserati di svolgere gare ufficiali. I numeri per farlo ci sono ma bisogna battere il ferro finché è caldo”.

Foto di gruppo (Alberto Caddeo)

FABRIZIO DI SOMMA: “CONCETTUALMENTE I DISABILI SONO SULLO STESSO PIANO DEGLI ALTRI”

In tanti si sono complimentati con loro. Fabrizio Di Somma e Gianni Fratarcangeli sono riusciti a dipingere un quadro nitido del movimento paraciclistico italiano e soprattutto hanno generato forte interesse agli astanti.

Fabrizio da Latina, per esempio, può dire di conoscere tutto il movimento del pedale a trecentosessanta gradi perché è stato un protagonista tra i dilettanti e successivamente come guida nel tandem per ipovedenti che gli ha permesso di collezionare titoli mondiali e medaglie alle paralimpiadi. Si gode, da collaboratore tecnico del cittì Mario Valentini questo bel momento del paraciclismo italiano a livello mondiale senza dimenticare le soddisfazioni avute in passato con le imprese del suo amico Alex Zanardi. Ritorna in Penisola dopo quest’esperienza in terra sarda che l’ha particolarmente impressionato.

Il collaboratore della nazionale italiana di paraciclismo Fabrizio Di Somma monitora gli aspiranti ciclisti (Foto Alberto Caddeo)

Fabrizio Di Somma, che percezioni ha avuto?

Soprattutto i più giovani li ho trovati motivati. Poi c’erano gli altri, un po’ su con l’età che probabilmente vogliono rimettersi in gioco, cambiando il proprio status. In entrambi i casi è comunque una bella cosa. Iniziare ad andare in bike può essere un vantaggio, anche sociale, per la persona che lo fa, senza fare distinzioni tra disabili e non disabili. Concettualmente, per me, sono tutti sullo stesso piano.

Pensa che in Sardegna possa nascere un movimento duraturo di paraciclismo?

A parte la questione insulare che vi penalizza, il popolo sardo possiede una forgia adattissima agli sport di resistenza e di fatica come il ciclismo. Penso che se dovesse attecchire il fenomeno, si riuscirebbe a coltivarlo e a farlo crescere. Secondo me può nascere qualcosa di duraturo. Non so se sia questo il momento giusto ma sicuramente bisogna approfittarne perché il ciclismo italiano attraversa un ottimo momento e dobbiamo navigare quest’onda.

Le lezioni incantano

Che dire di questi importanti successi iridati e olimpici?

Dietro ci sono delle organizzazioni come il CIP e nel nostro caso specifico la Federciclismo che, nonostante le chiacchiere, hanno svolto un buon lavoro. Altre volte viviamo dei periodi in cui sebbene l’impegno sia massimo come programmazione e organizzazione, gli ottimi risultati non arrivano. Io penso sempre che prima o poi il lavoro paghi. L’Italia ha investito nel momento giusto e adesso stiamo ritirando un po’ di premi, a volte anche con un pizzico di fortuna, ma fa parte del gioco. L’unica cosa certa è che non si può abbassare la guardia, dobbiamo essere avidi di risultati perché non ci piovono addosso, si va sempre a cercarli.

La palestra del Centro Sportivo Paralimpico Sa.Spo. di Cagliari (Foto Alberto Caddeo)

Qual è il segreto per tirare fuori tutto da un atleta con disabilità?

Li tratto alla stessa stregua dei normodotati. Sono loro che devono rendersi conto di essere atleti. La disabilità non va interpretata come una problematica che possa rallentare l’evoluzione di un atleta, bensì va letta come una situazione contingente. Pensiamo ad un atleta che non riesce a fare qualcosa perché ha un arto troppo lungo o troppo corto. Il paralimpico ha a che fare con una disabilità dovuta ad un incidente o dalla nascita con la quale, soprattutto nella fase sportiva, deve conviverci e assimilarla non come un evento negativo. Il fatto che possano essere in una sedia a rotelle o con una gamba sola vuol dire che si applicheranno o con un pedale solo o con le braccia. Detto questo per me è finita la disabilità. Se poi si ha bisogno di più tempo per andare in bagno o per fare le cose giornaliere, si prenderanno i loro spazi più idonei. L’allenamento va misurato sull’atleta in base a quello che può rendere.

Fabrizio Di Somma (Foto Alberto Caddeo)

C’è un motivo particolare per il quale a dodici anni è stato conquistato da una bicicletta anziché da un altro sport?

Ho cominciato a fare ciclismo per puro caso. Non vengo da una terra tradizionalmente nota per questa disciplina, però in quel periodo eravamo un bel gruppetto. Addirittura, era stata una mia amica ad aver cominciato a gareggiare e qualche volta mi chiese di accompagnarla. Da lì è cominciata una passione, all’inizio non ero neppure fortissimo e soddisfazioni lampanti immediate non ne ho avuto. Probabilmente il ciclismo è una di quelle discipline dove tutto quello che fai puoi misurarlo: prima o poi mi avrebbe dato un riscontro. Poi sono riuscito a crescere e a dare il meglio di me. Diventai un buon atleta e forse in certi momenti è stato importante vincere qualcosa. Ma non è stato determinante in quello che è stato il mio attaccamento alla disciplina.  

Tecnologia e disabilità (Foto Alberto Caddeo)

A Selargius ha incontrato anche tecnici e docenti, che impressioni ha avuto?

Mi sono confrontato con ragazzi dalla preparazione veramente notevole, interessati alle cose che fanno. E questo è l’arricchimento più grande che possono dare ai loro atleti. Se non conoscono una cosa hanno i mezzi a disposizione per approfondirla, e poi serbano una voglia smisurata di apprendimento. Ritengo essenziale lo scambio di esperienze, io ho un bisogno costante di sentire il punto di vista altrui sulle questioni ciclistiche: ognuno dà il suo contributo per la crescita del movimento

Ha saluti o ringraziamenti da fare?

Ringrazio il presidente regionale della Federciclismo Stefano Dessì, la presidente del CIP Cristina Sanna e poi Antonio Murgia. Ognuno per le proprie competenze è riuscito comunque ad organizzare un grande evento. Per radunare delle persone che fuori da questo contesto non avrebbero quasi niente in comune, farle star bene per tre giorni passandogli tante indicazioni, ci vuole volontà e anche capacità. E loro son riusciti a far funzionare una macchina difficile da pilotare. Sono certo che questo sarà l’inizio di un lungo cammino. E poi un saluto particolare lo rivolgo anche a Patrizia Spadaccini, una cara amica da tempo che ogni volta scopro molto attiva e incredibilmente attenta.