Lettere dall’Australia: E se aboliscono la festa dell’Immacolata?
Lettere dall’Australia:
E se aboliscono la festa dell’Immacolata?
Lo sapevo che cenare a base di carne di emu’ e di polpettone al prezzemolo e all’aglio fa male, specialmente a chi, come me, cena con insalata e frutta. Ma sono a Sydney, dove la gente mangia anche i serpenti, c’erano ospiti arabi e non potevo sottrarmi. Un Clairault 2003 sauvignon blanc simellion di 12,5 gradi non ha avuto gli effetti desiderati sulla digestione e così ho dormito sonni agitati, popolati da incubi.
Il movimento “Giù le teste, niente feste” alleato a quello di “Presidi senza stelle-no songs” e a “Laici dall’ovulo al verme” aveva vinto le elezioni col 94,8% dei voti validi e aveva immediatamente dato il via alle riforme contemplate nel suo programma elettorale rivoluzionario: abolizione del festival di San Remo con le sue canzonette, chiusura delle chiese con quei riti melensi fatti di inni e di canti, arresto immediato dei superstiti Cantadoris delle feste patronali con quelle ottave banali su santi inventati, esilio per vent’anni dei suonatori di pisonas, macellazione dei cavalli di Sedilo e stop all’Ardia e ai suoi canti, laringectomia senza anestesia ai canti a tenores e ai gruppi folk di Sant’Efisio e del Redentore, porte sbarrate alle scuole che non licenziavano gli insegnanti di musica.
Molti avevano storto il muso, ma poi si erano rasserenati quando era stata fatta una legge che comminava venti anni di galera a chi propinava musichette cretine al telefono in attesa.
Poi una Commissione “no songs” aveva affrontato il canto stucchevole degli uccelli e aveva ordinato che in ogni villaggio tutti salissero sui tetti battendo pentole e coperchi, di modo che agli uccelli venisse impedito di riposare posandosi sugli alberi e provocandone in questo modo la morte per affaticamento: aveva funzionato nella Cina di Mao, mica eravamo inferiori ai musi gialli.
Le chiese di ogni ordine e grado erano sopravvissute tre giorni: erano morte e nessuna era risorta. E il silenzio era calato, pesante come una coltre di lana di capra, sulle feste di ogni città o villaggio sperduto; anche a Ierzu, che aveva tentato di sfuggire al disastro votando i massa per “Always songs with Amerigo”: niente natale e pasqua, niente sant’antonio e santu jacu…tutto minuscolo, perché le maiuscole religiose erano state abolite…niente sagre del vino e di calici di stelle: la gente era troppo allegra, cantava a squarciagola, si divertiva e non trovava il tempo per fare le cose serie come piangere in ogni momento, flagellarsi a culo nudo a Regaliu e chiudersi in casa al buio frastimendu.
Avevano abolito anche le domeniche, dedicate ad un Signore dimenticato; e proibito “La donzelletta vien dalla campagna” di Leopardi, perché ad un certo punto diceva “dimani, al di’ di festa”, che creava disagio e confusione ideologica nei più giovani. Per poco non mandavano al rogo “Fiesta” di Hemingway, scambiando la corrida con la festa di santa Arega. In via Roma avevano proposto anche una nuova bandiera: i Quattro Mori con la benda scivolata dagli occhi alla bocca per omaggiare la filosofia del silenzio, poi non se n’era fatto niente perché i sardi era i sempre rimasti muti, specialmente nelle aule di tribunale dove non “cantavano” neppure sotto tortura.
Da due anni nessuno aveva mai più preso un giorno di vacanza, perché in quella società bigotta e fissata con i canti natalizi ogni ora di riposo era trainata da una festa, da una ricorrenza, da in rito religioso. Che schifo: in duemila anni i preti avevano costruito una società di mangiapile, di creduloni, di nazareni estremisti e ad ogni festa avevano attaccato un grumo di giorni di di vacanza, per distrarre il popolo e asservirlo al loro potere.
Bisognava pur fare un po’ di igiene, ripulire la società dalla superstizione, liberare gli uffici e le scuole di quei cadaveri in croce che impressionavano i bambini. E riportare il lavoro al centro della vita di ognuno. Riposo? Ma certo…di notte, quando si poteva dormire senza essere disturbati dai canti o dalle musichette registrate delle campane, proibitissime.
Ecco perché aveva vinto il partito ostile alla parola cantata, anche se l’opposizione, minima e disarmata, sosteneva che in poco tempo avrebbero abolito anche le parole in prosa.
Cosa sarebbe rimasto?
Niente, ma non importava a nessuno e tutti erano troppo stanchi per porsi domande.
Poi era successa una cosa strana.
Mentre la gente non aveva protestato per i Natali senza canti e senza presepi, troppo tramortiti dalla gravità dell’imposizione e sconcertati dalla Chiesa che si era letteralmente calata le braghe sotto le vesti talari per facilitare il compito ai fanatici, un mormorio sempre più minaccioso aveva accolto il tentativo di cancellare la festa dell’Immacolata Concezione. Va bene mettere all’indice il Figlio Divino…ha fatto sacrifici più dolorosi…va bene cacciare dal cielo la cometa e i tre Magi dell’Oriente…nonostante il viaggio costoso…ma cacciare anche la Madonna…be’ non era sopportabile. Dai, il Natale poteva anche essere mortificato e cancellato…in fin dei conti si trattava di una festa pagana al Sol Invictus che i cristiani avevano esorcizzato piazzandoci la nascita di Gesù…che poi, sono due Soli che riscaldano il mondo, anche se in diverso modo…ma dire alla Madonna “zacca stradoni”, proprio non si poteva.
Era una delle poche feste cattoliche nate, sgorgate dal cattolicesimo. Cancellarla era veramente un attentato alla fede, non alla tradizione che, si sa, si forma nei secoli e poi si affievolisce e scompare. No, questa nasceva dalla fede profonda: celebrata dall’XI secolo, la solennità richiama al culto della Madre del Signore, che fu fin dal primo momento della sua concezione, per singolare privilegio di Dio, preservata immune da ogni macchia della colpa originale. E il dogma, promulgato nella Cappella Sistina dal papa Pio IX l’8 dicembre 1854, era stato fatto proprio dalla comunità dei fedeli senza dubbio alcuno.
Una festa totalmente religiosa, che non si presta a interpretazioni diverse: una festa cattolica solo per i cattolici e i credenti, che non accetta intromissioni di alcun tipo. Chi non e’ credente deve solo scrutare il rito, in doveroso silenzio, stando sulla soglia del tempio e con l’apprensione nel cuore perché questa e’ l’unica festa che attenta veramente alla sua filosofia laica: uno che non crede dovrebbe combattere perché sia abolita come ricorrenza religiosa e come giorno di vacanza in tutti gli uffici e le scuole di ogni ordine e grado.
L’8 dicembre può essere il nodo inestricabile per i laici, come hanno ben capito i legislatori quando hanno votato la legge n. 54 del 5 marzo 1977, dal titolo Disposizioni in materia di giorni festivi, che determinò la cessazione del carattere festivo civile di varie festività della Chiesa Cattolica: Epifania, 6 gennaio, che fu introdotta nuovamente nel 1985; San Giuseppe, 19 marzo; l’Ascensione del Signore, quaranta giorni dopo la Pasqua; il Corpus Domini, il primo giovedì successivo alla domenica di Pentecoste; i Santi Pietro e Paolo, il 29 giugno, reintrodotti a Roma perché ebrei diventati cittadini romani onorari.
Non fu mai messa in discussione la festa dell’Immacolata Concezione.
La Rivoluzione “no songs” non si fermo’.
Gli intransigenti ebbero in realtà partita facile. Libera Chiesa in libero Stato: se si invoca questo principio quando si tratta di cantare “Tu scendi dalle stelle” e per le tradizioni natalizie, a maggior ragione…sostennero gli ultras … lo si dovrebbe salvaguardare per questa festa puramente religiosa in cui si intona “Immacolata vergine bella di nostra vita tu sei la stella”.
C’è qualche differenza tra le due feste?
No, sono sempre feste religiose che nella tradizione hanno assunto il carattere festivo civile.
Si contesta il Natale? Perfetto, allora si aboliscano canti e riti ma anche le vacanze legate alle altre ricorrenze religiose.
Via quindi ogni interferenza della Chiesa cattolica nell’organizzazione dello Stato.
Via quindi il Natale, santo Stefano, Pasqua e Pasquetta, le domeniche, l’Immacolata, le feste dei santi patroni.
Ne guadagneranno i laici veri…concludevano i talebani… in termini di coerenza e l’economia con molti giorni di vacanza in meno.
Avvenne quanto gli iconoclasti delle melodie non si aspettavano: una rivolta popolare in nome dei canti; e le Chiese sopravvissute alla bufera antireligiosa si riempirono nuovamente di gente decisa a non chinare la testa.
Mi sveglia una sete tremenda: i peccato di gola si lagnano, eccome.
Capisco che e’ stato un sogno e cerco di aggrapparmi alle ultime immagini nebbiose, che sfumano nel risveglio…ma mi resta nella mente la musica che si leva da tutte le chiese e dai cuori di chi crede oltre la ragione umana…
Immacolata, Vergine bella,
di nostra vita Tu sei la stella.
Fra le tempeste, Tu guida il cuore
di chi ti chiama stella d’amore.
Siam peccatori, ma figli tuoi:
Immacolata prega per noi.
E’ un canto che rimanda all’infanzia, ingenuo e semplice; un’invocazione sussurrata alla madre che si cerca negli ultimi istanti, quando la luce degli occhi si spegne.
Un canto che rimanda al canonico Stochino, ai compagni di catechismo, alle feste senza clamori e senza polemiche; alla chiesa di giù che sa di muffa e di incenso; alle donne in ginocchio nella navata di sinistra e agli uomini in piedi in quella di destra; al sole pallidissimo che entra dalle finestrelle alte.
Qui, in Australia, sono cristiani ma non festeggiano l’Immacolata: sono sicuro però che in occidente sarà questa festa a ridare vita al Cristianesimo, oggi offeso e mortificato da inconsapevoli alfieri del nulla.
Tonino Serra per Medasa.it