LEONARDO MARRAS E LA SARDEGNA
Da quando, come e perché ti sei avvicinato alla musica e all’arte
Non è che mi sono avvicinato. Chi è sardo si avvicina per forza di cose alla musica ed alla cultura della propria terra. Ho sempre amato i suoni e i colori della Sardegna, quindi è stato automatico per me avvicinarmi già dal 1993 da quando ebbi l’idea di Ichnos la grande giornata della musica. A Sedilo organizzammo una sorta di Woodstock sarda dove parteciparono moltissimi artisti del momento e la giornata fu dedicata contro gli incendi, perché la Sardegna stava bruciando, e per la raccolta di sangue dei bambini talassemici perché erano periodi davvero drammatici. Questo è stato il mio primo approccio, ma già da ragazzo ho sempre amato i nostri suoni e la nostra musica.
Il tuo impegno è profondamente riconosciuto per istituire la Fondazione Maria Carta e Freemmos. Come sono nati questi coinvolgimenti?
Tutto nasce da Ichnos da quel 13 Giugno del 1993 dove lì incontrai Maria Carta che non dico che fosse in fin di vita, ma quasi. La sua fu una presenza straordinaria dove illuminò quel santuario di San Costantino di Sedilo. Cantò davanti a quarantamila persone e fu un ritorno in Sardegna molto apprezzato. Da quel momento ci siamo sempre sentiti e continuato a mantenere rapporti. Organizzammo un concerto a Cagliari con gli amici di Maria tutti artisti che parteciparono a questo grande evento alla Fiera. Sapevamo che non stava bene, ma volevamo dedicarle un concerto. Morì l’anno successivo e organizzammo il concerto per Maria con uno speciale di Ichnos nel suo paese, Siligo. La fondazione nacque nel 2002. Mi chiamarono per partecipare al comitato scientifico insieme a Giacomo Serreli e accettammo molto volentieri perché era un impegno che ci faceva onore. Successivamente la famiglia ed il comune mi chiesero di presiedere la Fondazione che a tutto oggi onoro. Non ho saputo dire di no e mai avrei detto no. È un grande onore e privilegio. Da lì siamo partiti portando nel nome di Maria Carta nel mondo il nome della Sardegna bella ed autentica con questi suoni e voci straordinarie. Da allora abbiamo girato il mondo e continuiamo a farlo, mettendo insieme anche altri progetti. Il progetto di Freemmos, che è l’ultimo nato cinque anni fa, tratta il problema attuale dello spopolamento. Questa è la malattia e il vero virus che la Sardegna sta vivendo in questi ultimi anni. Se non si interviene rischiamo che la Sardegna si desertifichi nel giro di quaranta o cinquanta anni. Quindi noi ci muoviamo nel nome di Maria con garbo e sempre in punta di piedi, ma abbiamo capito che quando ci si muove in giro per il mondo nel nome di Maria Carta troviamo sempre le porte aperte. La nostra è un’attività culturale, una Fondazione quasi pubblica perché i nostri soci sono la Regione Sardegna, il Comune di Siligo, le due Università, la Camera di Commercio, il Comune di Sassari e la famiglia di Maria Carta che ha avuto l’idea con Gigi Carta, fratello dell’artista, di mettere in atto la Fondazione. Siamo sempre impegnati ed in attività. Abbiamo anche un Museo a Siligo che racconta la storia dell’artista e all’interno c’è anche una parte di storia sarda. Ci sono cimeli, fotografie, ecc. Invito chiunque a visitarlo perché è davvero affascinante.
In Sardegna ci sono due grandi donne che hanno portato nel mondo il nome della Sardegna, Grazia Deledda e Maria Carta.
Storie simili. Entrambe con la quinta elementare, entrambe emigrate, sono andate via dalla Sardegna a Roma in epoche diverse, chiaramente, però hanno sofferto non poco e si sono affermate ambedue in campi diversi. Grazia Deledda è un premio Nobel, di una statura molto alta, però Maria Carta ha mantenuto anch’essa questa forte identità, questa voglia di essere grande donna di Sardegna. Peraltro Maria Carta ha interpretato Grazia Deledda in un documentario che fu diffuso dalla RAI tanti anni fa. C’è stato un legame lontano. Poi ci sono anche altre grandi donne, c’è Maria Lai, c’è Eleonora D’Arborea, ecc. Diciamo, grazie a Dio che in Sardegna grandi donne ce ne sono diverse.
Nella cultura sarda la donna matricentrica emerge. È una donna combattiva, no?
Si perché è forte. Maria Carta era forte anche quando stava per morire. Ricordo che, quando organizzammo il concerto a Cagliari in sua presenza con i suoi amici musicisti, una giornalista dell’Unione Sarda mi chiese di intervistarla e rimase un’ora con Maria in una stanza. Quando la giornalista uscì mi disse: “Leonardo sono io che sto male non lei”. Aveva la capacità e forza di trasmettere fiducia e forza a tutti e a tutte e poi era una donna autentica. Interpretava al meglio quella che era la figura femminile, ma soprattutto la figura al femminile di donna sarda. Forte, tenace, mai sopra le righe. Si è sempre rifiutata di cantare canzoni in italiano se non canzoni popolari anche in altre lingue, a parte in italiano “Le memorie della musica” che lei aveva preparato per portare a Sanremo, che era un omaggio che voleva fare ai tanti italiani e sardi che l’avevano seguita negli anni. Scrisse questa canzone insieme al Maestro Marrocchi Marcello e al Maestro Giampiero Artegiani. Fu scartata da Sanremo, però se ancora oggi l’ascoltiamo quella canzone è un’opera d’arte.
Ogni volta che si osservano le foto e i video e i film di Maria Carta si nota un portamento e stile elegante. Si osserva una spiccata eleganza negli abiti ed anche nella postura del cantare la tradizione sarda. Vi era in lei un portare inscena la tradizione con un certo rispetto
Maria Carta vinse negli anni cinquanta il concorso di miss Italia e anche lì il suo portamento era elegante. Al museo di Siligo sono conservati alcuni abiti di scena che sono la testimonianza di questa osservazione estetica. Quegli abiti importanti insieme al suo portamento diventavano una sola scenografia. Poi come iniziava a cantare era tutto uno spettacolo.
Oltre Maria vi è anche un altro artista che ti ha colpito il cuore?
Ci sono Ennio Morricone al quale abbiamo consegnato il Premio Maria Carta che ci ha accolto con una delicatezza e disponibilità non indifferente. Ci ha raccontato degli incontri con Maria Carta e ci disse che incontrandola scoprì il mondo del folk in questo paese. Non conosceva il mondo del folk in Italia allora. Poi ancora l’amico fraterno Andrea Parodi. Andrea che si ispirava molto a Maria, la quale diceva che proprio lui sarebbe stato colui che avrebbe portato avanti la sua opera. Andrea affermava a sua volta che lei era sempre il suo faro, il suo punto di riferimento. Questi due personaggi mi sono rimasti nel cuore per il loro essere semplici ed in particolare Ennio Morricone. Ci ha aperto le porte di casa sua in via del tutto eccezionale. Noi gli abbiamo portato il premio perché era reduce da un intervento chirurgico al naso. Ci ha ricevuto rilasciandoci un’intervista ed abbiamo chiacchierato di tante cose. Un vero gentiluomo. Poi ce ne sono tanti altri come Alberto Sordi, e altri ancora ma non dell’ambito musicale. Non dimentico tutti gli altri nostri artisti sardi la cui rete di rapporti è consolidata. È un mondo affascinante, ogni tanto litigarello, ma ci sta.
Hai scritto un libro. Cosa ti ha spinto a fare ciò?
Vuoi la verità o le informazioni informali?
Quello che tu vuoi raccontarci
Quando questo virus ci ha bloccato in casa, io, mia moglie e mio figlio abbiamo incominciato a mettere in ordine le cose in sospeso nel disordine delle camere. Ho ritrovato una foto di quando ero bambino e da lì l’ispirazione è sopraggiunta. Ho utilizzato un registratore nel quale ogni giorno registravo un’ora o due di ricordi e avvenimenti che non solo mi permettevano di eludere le pulizie in casa, ma anche di raccogliere una sorta di diario registrato. Quando mia moglie mi reclamava le rispondevo che ero impegnato a scrivere il libro. Non era vero perché io stavo registrando. Poi un bravissimo giornalista Luca Foddai che lo ha sbobinato e trasformato in un libro dal titolo “un’intervista lunga una vita” pubblicato dalla casa editrice Edes di Sassari, ripercorro la Sardegna di questi ultimi quarant’anni vista dai miei occhi. Non è un libro autobiografico. È un mio racconto dove tratto della musica, dell’impresa, dell’incontro con il Papa, con Alberto Sordi, Ichnos, Freemmos, Ennio Morricone, i premi e tantissimo altro. Ho trattato anche delle occasioni perse della Sardegna come Nicola Grauso dove io con la Telecom seguivo quel percorso. Il primo provider europeo ha fatto un lavoro straordinario. Video On Line è stata l’opera di un genio e visionario. Un occasione persa per la nostra isola. Io racconto il percorso di queste vicende. Nel mio libro non dimentico lo sport. Sono stato Presidente della squadra femminile di calcio della Torres per ventiquattro anni. Vinsero tutto a livello nazionale. Siamo la Juventus al femminile. Ho sempre fatto tante cose, non sono mai stato fermo.
A proposito quando parli della Torres ricordo che un giorno rimasi sorpresa perché in una via di Cagliari incontrai la scritta “Tathari delenda est”. Tifoseria cagliaritana agguerrita contro quelle del nord Sardegna
C’è un astio impressionante tra le due tifoserie. Ricordo che quando il Cagliari giocava in serie A e la Torres in serie C, organizzai un incontro amichevole ad Alghero tra le due squadre che denominai la Coppa dell’Amicizia. Massimo Cellino mi aveva messo in allarme sulla turbolenza dei tifosi del Cagliari, ma io credendo in una partita amichevole estiva non pensavo a scontri serrati tra le tifoserie. Gli dissi a Cellino che avremmo potuto riavvicinare le due città.
E come si concluse il tutto?
Le tifoserie hanno distrutto Alghero. Hanno divelto panchine, cabine telefoniche, rovesciato auto, fioriere, ecc. Un atto di vandalismo collettivo. Qualcuno mi rimarcò allora:”volevi fare la Coppa dell’Amicizia”? Eccola lì! I miei tifosi me lo avevano detto: “Ma Presidente cosa sta facendo”? . In ogni caso questo fatto servì perché dette carica alla Torres maschile, perché ero presidente anche di quella squadra. All’epoca vincemmo il campionato con la Torres maschile, mentre con quella femminile vincemmo lo scudetto, la Coppa Italia e la Super Coppa. Furono anni vincenti nonostante le donne all’epoca non interessavano tanto. Adesso è cambiato tutto.
Io rimanevo sorpresa delle scritte fantasiose delle tifoserie calcistiche
A Sassari e Cagliari c’erano delle scritte come “B52 su Cagliari”, mentre allo stadio c’era uno striscione nello stadio della Torres “Non chiamare mai tuo figlio Efisio” . Erano simpatiche finché ci si fermava solo su questo aspetto. La goliardia va bene, ma se sfocia in altro no. La violenza no.
Ritorniamo al discorso sui nostri giovani che lasciano la Sardegna. Non siamo stati capaci di strutturare delle politiche giovanili?
Il fenomeno è mondiale. Sono dell’idea che i giovani devono viaggiare e confrontarsi all’estero e con altre culture, per poi ritornare con la loro esperienza, con l’apprendimento delle lingue e lo studio, dove noi abbiamo creato delle condizioni perché tornino nella loro terra. Questo è lo sforzo che bisogna fare da qui fino ai prossimi cinquant’anni. I tempi sono questi. Noi magari non li vivremo. Se ci fossimo attivati cinquant’anni fa, oggi forse qualche timido segnale lo avremmo avuto, mentre invece il segnale è quello di andare via e questo è un problema. Anche se c’è qualche piccolissimo segno in qualche piccolo paese ci sono molti giovani che stanno rientrando, organizzando imprese, soprattutto nel settore dell’accoglienza, dell’informatica avanzata. Molte donne che invece hanno rilevato le aziende di famiglia stanno operando nei vari settori. C’è una speranza. Il fenomeno è complesso non si risolve in cinque minuti con quattro convegni. Però ho sempre sostenuto che noi ne dobbiamo parlate tutti i giorni e in tutti i posti. Freemmos per certi versi è una cosa banale. Noi giriamo nei paesi e nelle comunità dove si chiacchiera dell’argomento e si porta la musica, perché la musica mette insieme le persone. Perciò un modo innovativo di parlare di un tema difficile e complesso. Questo è un problema di tutti e non di chi vive in un piccolo paese. Si stanno spopolando anche le grandi città. Non vedremo i risultati in tempi brevi. Ma se ne continuiamo a parlarne forse uno spiraglio ci sarà. Noi non siamo risolutori di problemi. Noi siamo animatori di dibattito. Siamo spacciatori sani di speranza. Qualcuno dirà che non si risolve così oppure obietterà, ma c’è l’aspetto economico, l’aspetto sociale e l’aspetto culturale. Noi siamo operatori della cultura e di questo tema ne dobbiamo parlare.
Cosa significa la parola Freemmos?
È la combinazione di due parole: free, libero, dall’inglese, e frimmu, dal sardo, fermo. Perciò liberi di restare.
Un’ultima domanda che pongo a tutti i miei intervistati. Se dovessi incontrare gli extraterrestri in Sardegna come comunicheresti?Con quale tipo di linguaggio?
Con i gesti e con un abbraccio.