Le case Quartesi.
Gli antichi abitatori non potevano immaginare che le loro case sarebbero
divenute protagoniste di giornate speciali per la comunità;
che sa genti avrebbe visitato, non con la curiosità indiscreta del vicino,
ma col rispetto che si deve ai monumenti, le case della Quartu
di un tempo, le più modeste come le più ricche, purché fossero
sopravissute alla distruzione.
Monumentu era per loro una costruzione commemorativa, un’opera
di valore, magari il palazzo di un nobile della capitale. Ma quando
mai una casa di paese?
Sapevano che le loro erano nient’altro che dimore di ladiri, di fango
essiccato al sole, con pretese artistiche limitate agli interni, nei dipinti
su soffitto e pareti, nelle geometrie dei pavimenti, nella forma
di un arco o di una forredda.
Ostentatori per costume, i quartesi erano capaci di sfoggio negli
abiti, nei gioielli, nella confezione di pane e dolci, ma in sa domu
anche i più agiati mantenevano la sobrietà del contadino. Bella era
l’abitazione che aveva più vaste e funzionali le strutture fondamentali:
solaio per le provviste; cortile con cisterna, pozzo, spazi
per gli animali e un po’ di terra per agrumi e fiori; stalla e stanze
per il riposo di bestie e cristiani; dom’e farra per panizzare; legnaia;
un muntronaxiu per le immondizie; in seguito anche un cesso per
gli umani e un piano superiore abitabile, negli edifici che assumevano
la forma a palazzo.
Né sculture, né marmoree scalinate, nessun orpello inutile: roba da
poco, in definitiva.
Dov’è l’importanza? E, se ne avevano, perché sono state distrutte
senza pietà? Questo chiederebbe l’antenato, burlandosi del nostro
entusiasmo per le sue case. E noi avremmo difficoltà a spiegargli
che esse sono oggi Monumentu ai sentimenti: al rimpianto per le
ore lente, difficili e dolci, dei tempi suoi; al disprezzo per chi ha
distrutto i luoghi dove esse scorrevano; alla riconoscenza verso chi
li ha conservati e recuperati, e adesso li apre perché tutti ne godiamo,
almeno per un attimo.
Redazione Medasa per Medasa.it