LEGGENDA DI PERDU PALITTA E MARIANCANI


1Tanti e tanti secoli fa, una giovane coppia di sposi, Perdu Palitta e Mariancani, abitava in una capanna situata in una fertile collina non lontana dalla splendida zona nuragica di Scerì. I due sposi lavoravano sodo per procurarsi il cibo di tutti i giorni, perché erano assai poveri. Ma si volevano molto bene e questo era tutta la loro ricchezza. La mamma di Perdu, che abitava in una capanna non lontana, era molto religiosa e tutti gli anni, per la festa di Sant’Antonio, preparava “sa paniscedda” per le anime, perché fosse distribuita all’ingresso della chiesa, alla fine della messa, a tutte le persone che erano presenti. La chiesetta di Sant’Antonio era situata in zona Tarè, con precisione nella valle tra i due monti (Intramontes). La mamma di Perdu, anche quell’anno, aveva preparato “sa paniscedda”, però era un po’ anziana e non ce la faceva, non tanto a camminare, quanto a portare pesi. Allora chiamò Perdu e gli affidò l’incarico di portare i dolci, con l’impegno di non mangiarne per strada, ma di distribuirli tutti a beneficio delle anime dei morti. Perdu accettò l’incarico e lo propose alla moglie Mariancani, che acconsentì. Così la mattina successiva, al canto del gallo, la donna si mise il canestro in testa, presero pane e formaggio per il loro pranzo e partirono. Cammina cammina, attraversarono valli e colline, videro piante e fiori di ogni tipo e animali di ogni dimensione: cinghiali, mufloni, daini, cervi, volpi, e tutti, al loro passaggio, si nascondevano. Finalmente arrivarono sulle rive di un limpido e splendente ruscello, dove trovarono un bellissimo bambino, dagli occhi azzurri e dai capelli biondi e lunghi che gli ricadevano sulle spalle. Il bambino si avvicinò e sentì il profumo e la fragranza “de sa paniscedda” ancora fresca. Aveva molta fame e chiese da mangiare dicendo:

Perdisceddu, Perdisceddu,
donamindi unu ‘nconeddu,
donamindi pagu pagu.
Impara a donai
E non bollas mai
Tottu a sa sola.

I due sposi compresero bene il discorso, ma allo stesso tempo, ingordi ed avari, si scusarono dicendo che non avevano niente da dargli e avevano fame anche loro. Lasciarono il bambino piangente e, senza nessuna preoccupazione, continuarono la loro strada. La strada cominciò ad essere in salita, quindi più difficoltosa, perciò la stanchezza e la fatica si facevano sentire sempre più. Arrivarono ad una limpida sorgente e, poiché erano sudati, si diedero una buona rinfrescata e si riposarono all’ombra di una grande quercia. A quel punto, non si sa da dove, sbucò un vecchietto, vestito di stracci, coperto di rughe e di piaghe, appoggiato ad un bastone e tutto zoppicante. Si avvicinò al canestro di Mariancani e sentì il profumo “de sa paniscedda”, si leccò le labbra e, con un grande languore allo stomaco, perché aveva molta fame, chiese qualcosa da mangiare dicendo:

Perdisceddu, Perdisceddu,
donamindi unu ‘nconeddu,
donamindi pagu pagu.
Impara a donai
E non bollas mai
Tottu a sa sola.

Perdu Palitta e Mariancani si scusarono dicendo che non avevano cibo, ma solo pietre di porfido rosso e, senza avere la minima premura per il povero e senza avergli prestato il minimo aiuto, ingordi e incapaci di condividere, continuarono la loro strada, finché arrivarono nella piazza della chiesa di Sant’Antonio, il santo che aveva rubato il fuoco dall’inferno per portarlo agli uomini.
La piazza era gremita di persone, cavalli, asini e animali di tutti i tipi. Perdu Palitta e Mariancani vi erano arrivati al momento giusto per ascoltare la messa mattutina e distribuire “sa paniscedda” a favore delle anime, ma, non si sa se per combinazione o per volere divino, i due si persero di vista. Mariancani, con il canestro in testa, andò da una parte, mentre Perdu, alla ricerca di Maria, andò verso un’altra. I due giovani si cercarono e si chiamarono a vicenda, ma tutto fu inutile. Si addentrarono in un bosco oscuro, molto fitto, e lì vagarono tutto il giorno e tutta la notte successiva, senza ritrovarsi e affrontando molte difficoltà. Nel frattempo arrivò alla chiesa di Sant’Antonio la madre di Perdu. Quanto grande fu il suo dolore, quando si accorse che “sa paniscedda” a beneficio delle anime non era stata distribuita e che Mariancani e Perdu erano introvabili! La povera donna, disperata, cominciò a cercarli e a chiedere a tutti:

A Mariancani e Perdu Palitta
bittusu mi ddu seisi, andànduru a missa?
Bittusu mi ddu seisi, andanduru a baddai
A Perdu Palitta e a Mariancani?

2

Arrivate le prime luci dell’alba, Mariancani, presa dalla disperazione e dalla forte stanchezza, si sedette su un masso. In quello stesso istante, Perdu scivolò e smosse delle pietre, che incominciarono a rotolare. Mariancani, attratta dal rumore, sollevò lo sguardo e vide Perdu che si avvicinava. I loro occhi si illuminarono di gioia e si riempirono di lacrime. Si abbracciarono e si fecero festa a vicenda. Allora, essendo molto affamati, ma felici per lo scampato pericolo, i due si sedettero e incominciarono a mangiare. Mangiarono prima il pane e il formaggio che avevano portato per il pranzo, ma poi, con grande ingordigia, mangiarono anche tutta “sa paniscedda” che doveva essere distribuita per le anime. Ormai sazi e riposati, stavano per riprendere il cammino, quando furono avvolti da una luce sfolgorante. I due, spaventati, si alzarono in piedi e cercarono di scappare. Ma apparvero subito il bambino dagli occhi azzurri e il vecchio appoggiato ad un bastone. Insieme urlarono:

Scomunigada, scomunigau,
poite non eisi ascurtau
su prantu e i su lamentu
in perda siaisi furriausu!

Così i due sposi furono trasformati in due grandi massi di porfido rosso, sotto lo sguardo atterrito della madre di Perdu, che in quel momento li aveva finalmente raggiunti. La madre comprese il loro errore e la punizione divina. Piena di dolore ma rassegnata, ritornò nella sua capanna e continuò ogni anno a fare “sa paniscedda” in favore delle anime del purgatorio, finché visse, ma non le affidò più a nessuno e, sempre, a cavallo di un asinello, raggiunse la chiesa per distribuire i dolci.


Nasce forse da qui l’usanza, ancora seguita in alcuni paesi dell’Ogliastra, di distribuire “sa paniscedda” a tutti i fedeli che partecipano alla messa per la festa di Sant’Antonio Abate.
Di questa leggenda esistono diverse versioni, tutte diverse tra loro nei particolari. Hanno in comune il nome dei personaggi, la trasgressione e la punizione divina e, per la maggior parte, anche “sa paniscedda”.

Redazione Medasa per Medasa.it