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KDM: Giusy Fogu: artisticamente divisa (e moltiplicata, aggiungerei io!) tra poesia e teatro. Quanto spazio e quale peso hanno poesia e teatro nella tua vita?

GF: Una bella domanda per cominciare, infatti, quello che a un primo sguardo può sembrare una divisione, io la definirei moltiplicazione di un sentire profondamente emotivo, che in entrambi i casi si manifesta con il linguaggio della mia anima.
Poesia e teatro in questo momento hanno preso tutto il mio tempo, il teatro è prepotente però, s’insinua in maniera quasi subdola. Quando mi dissero che di teatro, o meglio, di palcoscenico, ci si ammala, non capivo, ma ho sperimentato l’estasi rilassata dopo la fine di uno spettacolo e il calare dell’adrenalina il giorno dopo con la voglia di tornare a calcare immediatamente le scene e superarsi ancora, di averne una necessità quasi fisica. Con la poesia invece, per quel che mi riguarda, è un fluire d’onda, quasi un infrangersi a risacca, arriva, deposita, sedimenta, rilassa e va via per poi tornare quando la marea emotiva monta di nuovo. Non mi lascia mai arresa, ma quasi incredula per ciò che lascia e mi piace rileggere quella marea che a volte mi sembra così profonda quasi da non sembrare mia, è, infatti, l’altra me che parla, quella più nascosta.

KDM: Se dovessi buttarne uno dalla torre, quale sarebbe? Perchè?

GF: Una decisione difficilissima, in questo gioco che definirei “crudele” per chi, come me, non lascerebbe mai un qualcosa che nutre dentro. Se fossi costretta, sceglierei quasi certamente il teatro con le lacrime agli occhi indubbiamente, ma nella consapevolezza che il teatro vive in me come ospite prezioso, mentre della poesia e del rileggermi dentro non potrei farne a meno. La poesia va via a periodi, ma non scompare mai, cova, fa gestazione di sentimenti e poi partorisce senza preavviso, un parto per il quale c’è una libertà che è solo ed esclusivamente mia. Spero ad ogni modo di non dover mai scegliere tra queste due arti, spero che se qualcosa dovesse finire, avvenga per fine naturale di un ciclo che, come accade nella vita, si vada a spegnere di morte naturale.

KDM: Finora con quale dei due ritieni di esserti maggiormente esposta al pubblico come Giusy, donna e artista?

GF: In parte credo di aver già risposto nella scelta della torre. Se devo pensare a Giusy Donna, certamente il mio maggior svelarmi è nella poesia, so essere cruda e diretta con me stessa quando scrivo, non mi risparmio, ma è necessario perché così nascono i miei versi, cosi prendono vita le mie parole. Restituisco molto, non per rendere plateale ciò che sento ma, per necessità di sviluppare una “vita dentro” appunto. Il teatro evidenzia un lato artistico forte mostrando fisicamente e sensorialmente tutto quel bagaglio, però non meno potente. Diciamo quindi che non sono molto scindibili, anzi diventano a volte complementari di un sentire tutto particolare. Insieme mi dividono nella completezza.

KDM: Com’è nata la tua passione per il teatro e il lavoro con una Compagnia?

GF: La curiosità della conoscenza ha preceduto la mia passione per il teatro. Una decina d’anni fa, iniziai a seguire con costanza diverse rassegne di spettacoli di prosa, balletto, lirica, a ogni spettacolo l’emozione si moltiplicava, sino al fatidico giorno in cui un monologo di circa due ore mi fulminò in platea. Mi domandai, allora, come facesse un attore a sviluppare le tecniche per mettere in scena tali emozioni e tante memorie da trasmettere. Per due anni rincorsi il laboratorio sul lavoro dell’Attore tenuto dal mio attuale Maestro Coco Leonardi, al secondo anno riuscì a iscrivermi e con l’ingenuità della “giornalista” arrivai al primo giorno di corso con taccuino alla mano, gonna e tacchi, non sapendo che il teatro è sudore, fatica, voce, corpo e soprattutto anima. Al secondo giorno misi da parte ogni orpello e, scalza e sudata, iniziai questa meravigliosa avventura, il cui fulcro è stato appunto Coco Leonardi cui devo tutto. La passione è nata giorno dopo giorno, non senza fatica e pianti ed emozioni profonde scavate dentro me stessa, perché il teatro è così, mette a nudo e non esiste niente di più vero delle emozioni false del teatro. Sembra contradditorio ma non lo è, l’attore manifesta le emozioni del personaggio ma le vive su di sè. Ora so che fatica sia essere se stessi dentro un’altra persona, quella di cui un attore veste i panni ogni volta. Sicuramente quando la curiosità mi colse, non avrei mai immaginato di essere io, un giorno, protagonista sul palcoscenico a vivere e trasmettere emozioni, assolutamente è l’ultima cosa che avrei mai immaginato, ma la vita, così come il teatro, riserva sorprese a volte stupefacenti.
Il lavoro con una Compagnia, infatti, è un rincorrersi di stati d’animo, paure di fallimenti, voglia di superare gli ostacoli, gioie ed emozioni condivise e tutto questo perché per noi che non siamo professionisti, rimane il bello del vissuto sul palco senza l’affanno della sopravvivenza come invece accade spesso ai professionisti, visto il livello sempre più basso con cui la cultura è trattata. L’impegno per una Compagnia seria, anche se composta di non professionisti, è quello di non fermarsi mai, continuare a formarsi, studiare, perché il teatro è studio oltre che talento personale, è fatica, a volte sconfitta con i propri limiti ma sfida costante. Per questo, infatti, parallelamente al lavoro con la mia Compagnia, da alcuni anni, seguo vari corsi e laboratori su tecniche parallele al Metodo Stanislavskij, corsi di dizione, di voce, di presenza scenica, perché diventa fondamentale essere credibili e se una passione è vera, va rispettata e mai buttata via, per dignità e professionalità.

KDM: Parlaci un po’ della tua Compagnia teatrale…

GF: “Quinte Emotive” così fu battezzata la mia Compagnia, di cui da tre anni mi onoro di essere Presidente; il nome dice un po’ tutto, nata per emozione, per darne e riceverne.
Al quarto anno di laboratorio sulla Formazione dell’Attore secondo il Metodo Stanislavskij di cui il nostro Maestro è depositario da oltre cinquanta anni, il nucleo di persone rimasto costante e cresciuto insieme, decise di chiedere a Coco Leonardi la possibilità di diventare nel concreto Maestro di Compagnia. Questo desiderio nacque per portare in scena il bagaglio fino a quel momento acquisito e per una sfida a crescere ulteriormente attraverso il palcoscenico.
Così la compagnia, o meglio l’Associazione, venne registrata nell’Aprile del 2011 e nel Giugno dello stesso anno avvenne il debutto del primo spettacolo, al quale finora ne sono succeduti altri tre, portati in scena più volte. Nel 2011 nascemmo con un gruppo di sedici persone, tutti non professionisti, da tre anni ci siamo stabilizzati a un corpo di nove attori.
In questo momento abbiamo in lavorazione altri due spettacoli, uno in riedizione con attori nuovi e uno in anteprima, che vivamente speriamo di poter presentare al pubblico di Iglesias come primo momento e in seguito anche in altri teatri dell’Isola.
La compagnia è iscritta al circuito Nazionale delle Compagnie Amatoriali (UILT), che in Italia conta circa 800 compagnie iscritte, ed anche all’Arci, quest’ultima ha merito d’aver portato Coco Leonardi a insegnare nel Sulcis.

KDM: È appena uscito il tuo secondo libro, Perchè questo titolo?

GF: Si “La Vita Dentro” edito da Sillabe di Sale Editore, una giovane casa editrice, non a pagamento, che punta e crede ancora nella poesia.
Perché questo titolo? Inizialmente ne scelsi un altro, parafrasando le cose preziose che teniamo nei cassetti, quelle cose preziose che non vorremmo mai dare via, perché ognuna ci ricorda qualcosa, un vecchio maglione, la foto di un viaggio, una pietra portata dalla spiaggia, ma che custodiamo gelosamente e che un giorno decidiamo di esporre, perché rappresentano la nostra vita, il nostro sentire.
Una vita nascosta o per meglio dire conservata dentro.
In questo caso la mia vita dentro si è allargata alla vita del mondo, dentro il mondo, a ciò che di esso mi colpisce, mi frusta, mi emoziona e non è sempre legato ai miei voleri, ma picchia in pieno volto nel riguardo di un percorso di vita e di confronto con la vita stessa.
È venuto spontaneo poi dargli questo titolo, perché altro non era, che questo…la vita dentro!

KDM: Da quali stimoli è nato?

GF: Da tutto ciò che mi colpisce, di personale o nel mondo, anche da una serata a teatro ad esempio, da spettatrice o da protagonista. Nasce dal bisogno di segnare un’altra tappa di un percorso emozionale che non si ferma, che produce ancora e ancora.

KDM: Rispetto al primo, cosa manifesta in più di te? In cosa, invece, mantiene continuità col tuo primo libro?

GF: Rispetto al primo libro, credo di essere cresciuta nel sentire, o meglio di aver allargato il mio sentire, “Il vento dell’isola” era un passaggio a livello tra me e la mia vita di quel momento, è stato un segnare un punto fermo dal quale ripartire, impregnato di dolore e di disapprovazione nei confronti di sentimenti dolorosi, ha voluto essere una testimonianza a me stessa, prima di tutto, che i dolori vanno presi per le corna, affrontati e possibilmente sconfitti.
In questo secondo libro affronto che il mondo è pieno di dolore, ma anche d’ideali, idee, sentimenti, sono tornata a parlare d’Amore, in maniera forte e passionale, persino erotica, una cosa che mai mi avrebbe sfiorato nel primo libro, nonostante qualche accenno amoroso ci fosse.
Vedo la vita con occhi più trasparenti, benché non manchino alcune riflessioni malinconiche, sul tempo che passa e lascia segni sulla pelle…
” Il tempo è così…
tiranno e metodico fa coppia con la pelle
fa rughe sui rivoli della vita
non regala tramonti oltre il sole…”
La continuità col primo è che vedo, comunque, tutto ciò che mi circonda con gli occhi di un sentimento mai pago e in continua ricerca.

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KDM: A teatro, invece, quanta poesia hai trovato? Quale dei ruoli o delle pieces finora rappresentate ritieni la più “poetica”?

GF: Il teatro è una magia infinita, è intriso di poesia, in ogni sfumatura, dal teatro di prosa, al dialettale, al teatro dell’assurdo, alla commedia. Forse mi guida la passione, ma così lo percepisco io.
Il ruolo che finora ho ritenuto più poetico è quello di Tiziana, nello spettacolo “Memorie di un tavolo” una donna circa della mia età, single, che ha lavorato una vita e vive con una sorella che sta molto male, e ha una seconda sorella molto più giovane che vive lontana e che torna a trovarle entrambe per Capodanno.
Tiziana si occupa della sorella, della casa e di questo male che se non operato la porterà alla morte, ma…mancano i soldi per il difficile intervento. Una donna che vive per gli affetti, che si preoccupa, che spera, che dona molto e che fa collante in famiglia, ingenua e piena di speranza.
Il personaggio mi ha colpito perché mi ci trovo parecchio dentro per come sento io il ruolo nella famiglia e per i buoni sentimenti che suscita, anche se ammetto che il ruolo più forte e con una sua poesia profonda che rispecchia, però la solitudine della vita in alcune famiglie, è Clara nello spettacolo “Sorella cara”.
Clara è una donna dura e tremenda, calcolatrice, ricattatrice, tutto in nome di un amore malato sempre in famiglia, il contrario dell’altro personaggio e parecchio amplificato. Rappresentare questa donna per i risvolti che la storia racconta, è stata, finora, la mia maggior fatica teatrale ed emotiva.

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KDM: Quale e quando il prossimo spettacolo?

GF: Il prossimo spettacolo s’intitolerà “ Una cena in famiglia” liberamente tratto da “Los hermanos queridos” di Carlo Gorostiza, un autore Argentino particolarmente amato dal mio Maestro.
Sarà la prima volta che Quinte Emotive metterà in scena un testo che non sia esclusivamente di Coco Leonardi, che finora ha sempre curato regia e testi per la nostra Compagnia.
Siamo in una fase intermedia di messa in scena e lavoro attoriale, speriamo di poter debuttare nel prossimo autunno, visto che si tratta di un lavoro piuttosto impegnativo e molto complesso per l’interazione dei suoi sei personaggi .

KDM: Il tuo nuovo libro sarà presentato ufficialmente al pubblico? Quali pensi che siano i modi più validi per incontrare lettori e amanti della poesia in un momento così difficile, economicamente, socialmente e, quindi, anche culturalmente?

GF: Il libro è stato presentato in anteprima il 14 Maggio scorso al Salone Internazionale del Libro di Torino, in cui la mia Casa Editrice era presente con ben ventidue nuovi titoli, tra cui appunto il mio.
Ci saranno altre presentazioni nella mia cittadina a Settembre prossimo e con probabilità fuori Sardegna in un breve Tour, ma entrambe le cose sono in lavorazione.
Per me la poesia andrebbe letta ovunque, per smitizzare il detto che sia uno scrivere e leggere di “nicchia”, la poesia non si vende ma è più vicina ai cuori della gente di quanto si creda.
La poesia è una pillola, un toccasana in poche parole per una riflessione profonda, ci vuole poco per leggerla, altrettanto poco per conservarla dentro l’emozione. Dovrebbe avere sempre un linguaggio accessibile e vero e abbracciare senza misure qualunque lettore. Dovrebbe parlare una lingua universale ed essere rivalutata, senza metterla in quel limbo dove solo i dannati, i poeti maledetti, possono vivere e capire.
Troppa fantasia su tutto questo, la poesia è ovunque, la vita stessa è poesia, dovremo solo dargli un nuovo giusto colore e il sano profumo delle buone cose di una volta, infarcite d’attualità. Il modo migliore dunque di avvicinare la gente è che sia la poesia ad andargli incontro e non il contrario.