IMM_FEDE_SARDA_LARGAan006_5fIl corteggiamento, a Quartu, seguiva una prassi ben precisa.
I giovani per scegliere la propria partner, facevano “Is castiadas” ( letteralmente “gli sguardi”, cioè si guardavano intorno). Per questo motivo, quando un familiare chiedeva al giovane se gli piacesse qualche ragazza, egli rispondeva: “Seu in castiadas” ovvero “Sto ponderando, sto ancora scegliendo la ragazza adatta a me!”.
Così i giovani si guardavano a vicenda e, se gli sguardi erano corrisposti, era buon segno. L’uomo la domenica mattina seguiva la ragazza in Chiesa (per guardarla) o in “sa passillada” (la passeggiata), le classiche “vasche” che si facevano da Piazza Sant’Elena a Via Marconi e viceversa.
La ragazza passeggiava sempre con due o tre donne al suo fianco, parenti o amiche. Poi, se gli sguardi di corteggiamento erano corrisposti, l’uomo con il padre o in mancanza di costui, un anziano di famiglia, chiedeva la mano della ragazza ai genitori.
Comincia così “ su fastiggiu” ovvero il corteggiamento vero e proprio. La parola “ fastiggiu” dal latino fastigium, era la piccola tettoia da riparo che si trovava sopra la porta di casa dove appunto si intrattenevano i giovani per corteggiarsi.
Dopo tale richiesta e dopo ottenuto il consenso, era previsto lo scambio delle visite tra le due famiglie per la presentazione del parentado ai due giovani.
Era questa una fase chiamata “is fueddus segurus” (le parole sicure o impegno ). Si poteva quindi organizzare la cerimonia tradizionale “S’accabamentu de sa coia” ovvero il fidanzamento.
cuffinusDurante una gran festa con dolci (druccis finis) e liquori (arrosoliu), ai giovani venivano regalate “Is prendas” (gioielli) sia d’oro sia d’argento: orecchini, anelli, spille, catenine, ….dentro il caratteristico “cuffinu pintau” sorta di cestino con coperchio fatto di giunco, fieno e panno lenci rosso (su scarlattu)per le decorazioni.


 

 


Questo era il corredo dei gioielli:

Su_lasu

Su lasu = tre pendenti grandi e uniti da appendere con un nastro al collo.

Arrecadas a palia

Arrecadas a palia = orecchini a forma di pala con pietre di fiume.

IS_BUTTONIS

Buttonis = Bottoni in filigrana per uomo e per donna.

ispuligadentes

Spuliga dentes = appendino in argento per la pulizia di denti e unghie. (Maschile)

broscia

Brochas = spille di varia foggia

Cannacas

Cannacas = collane a palle, più o meno lavorate (p.e. a croxiu de nuxedda, significa a buccia di nocciolina)

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Su girasoli = spilla che in genere la suocera regalava alla nuora.

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Cadenazzu = collanina maschile usata un tempo per appendere il sacchetto di polvere da sparo, in seguito per l’orologio.

 


 

Diversa è la terminologia con cui vengono indicati gli orecchini:
accanto al termine “arracadas“, di chiara derivazione catalana, compaiono:

  • palia = orecchini a forma di pala con pietre di fiume.
  • tronisi = orecchini a forma di grappoli d’uva.
  • lantioni = orecchini a forma di lampione.
  • calleleddu = orecchini a forma di cagnolino.
  • mura = orecchini a forma di mora
  • lorigas = orecchini a forma di cerchio.

Inoltre:

  • Aneddus = anelli di varia foggia
  • Agullas de conca = Spille per il velo o per lo scialle.
  • Giunchiglius = numerose collanine sottili e lunghe.

 

coppiaA questo punto si poteva affermare che i due giovani si fossero fidanzati “Fattus a isposus”. Da questo momento in poi era consentito al futuro sposo, di frequentare la casa della sposa (fidanzata) durante la settimana, di sera, dopo il lavoro. Nei giorni di festa “ lo sposo” veniva invitato a pranzo per essere meglio conosciuto dalla famiglia della fidanzata. Non era raro che il fidanzato, nell’attesa della costruzione della casa, chiedesse il permesso ai suoceri, chiamati affettuosamente “babbai e mammai” di convivere nella casa della fidanzata.

Il clero locale criticava duramente tale consuetudine tipica dei quartesi. Il parroco di Quartu, pare tale Monsignor Ponsillon, denunciò questa usanza alla curia di Roma ed essa fu discussa nella “Constituciones Synodales Del Arzobispado De Caller 1715”. I fidanzati che si rendevano colpevoli di tale misfatto, venivano ammoniti in pubblico e la chiesa prevedeva anche una sanzione pecuniaria che veniva per pietà condonata ai fidanzati poveri.

In nessun caso però veniva condonata quella pubblica: in un giorno di precetto, durante la messa maggiore, in piedi con una candela accesa in mano, scalzo l’uomo e a capo scoperto con i capelli sciolti e scarmigliati la donna, dovevano chiedere perdono a Dio e a tutti i presenti.

Si ha notizia che questa usanza del perdono pubblico sia rimasta in uso fino agli anni ’40, periodo in cui la ragazza incinta prima del matrimonio, era costretta ad andare nelle case dei suoi parenti a chiedere perdono prima di potersi sposare.

Capitava a volte che i “fidanzati” avessero più di un figlio. La motivazione che veniva data dai fidanzati era la seguente: poiché la sposa doveva essere illibata, solo con la verifica di tale condizione si poteva dare l’assenso, perciò il fidanzato non sposato poteva coabitare e dormire nello stesso letto della fidanzata. Se alla richiesta di coabitazione la fidanzata avesse tergiversato ciò poteva avere un solo significato…non era più illibata.

A questo punto si lasciavano, rendevano i gioielli ricevuti alle rispettive famiglie e diventavano “ sposus storraus”. Questo capitava anche quando la fidanzata aveva dei dubbi sulla mascolinità del futuro sposo…poco affettuoso “no fe toccadinuforse “est feminedda” (non mi tocca, forse è un po’ femminuccia). Fino agli anni 50 circa, quando un uomo veniva rifiutato dalla donna nelle fasi “in castiadas” o a “fueddus sigurus” e i compaesani ne erano a conoscenza, per non avere la nomea di “feminedda” e poiché si riteneva offeso, la notte, con la complicità di amici, sporcava il portone di casa della ragazza con l’intento di screditarla, spennellandolo di feci e catrame. Capitava però che i parenti della fidanzata ricevessero delle “soffiate” sulle intenzioni dell’ex e che tendessero degli agguati aspettando nascosti il malcapitato per buttargli addosso secchi d’acqua o di….feci! Se l’ex fidanzato fosse stato scoperto, non avrebbe più potuto vendicarsi. Lo stato di “sposu storrau” non era vantaggioso per l’uomo perché veniva valutato, come il vedovo, persona di categoria inferiore e veniva scelto solo in mancanza di altri pretendenti, era proprio un’onta! In ogni caso privilegiavano il vedovo! Per la donna poi diventava una vera e propria tragedia. La società di quei tempi, indipendentemente dalle motivazioni, non perdonava certe cose e penalizzava la donna che era sempre destinata a rimanere nubile oppure poteva farsi suora.

Pare che i compaesani ex fidanzati si riunissero in una confraternita di devoti di “Santu Frazzori” (San Forzorio) insieme a “is bagadius” (celibi).

La chiesetta campestre di San Forzorio si trova nelle campagne quartesi. Qui, una volta l’anno “Is sposus storraus” e “ is bagadius” organizzavano sia la festa religiosa sia quella profana con canti e balli al fine di incontrare da protagonisti, riscattando il loro onore, gli altri quartesi e chissà …anche qualche “buon partito”.

Su un enorme masso di fronte alla chiesa vi era incisa una scritta: “chi minci furriasa è sa sotti tua” (se mi rovesci è la sorte tua). La parola “sotti” però in sardo ha un doppio significato: fortuna o sfortuna secondo il contesto in cui viene inserita. Le parole incise in ogni caso erano parole di sfida alle quali non tutti i quartesi davano significato positivo. Venivano così organizzate prove di forza fisica tra i “single”. Un giorno, un ragazzo non appartenente al Gremio di Santu Frazzori, rovesciò con una leva il famoso masso. Grande fu lo stupore dei presenti (quasi tutto il paese) quando, sull’altra faccia del masso comparve la scritta “beni stemu e mellu stau” (bene stavo e meglio sto). Da qui le diverse interpretazioni: stavo bene prima di fidanzarmi e ora che non lo sono più sto meglio, oppure …che per ottenere qualcosa di positivo non serve solo il fisico ma anche il cervello (la leva). La fantasia popolare vi aggiunse tante belle storie dando luogo a leggende con ritrovamenti di tesori sotto il masso, di fate buone, di “mazzamurreddus” (folletti) dispettosi, di maledizioni terribili…….

In ogni caso questo San Forzorio è stato festeggiato in questo modo fino al 1925, dopo tale data l’associazione dei single si sciolse e l’obreria non fu mai più ricostituita. Nel 1981 e 1982 qualcuno ha tentato, con scarso successo, di riproporre questa antichissima festa. Peccato! Un’antica tradizione che, insieme a tante altre si perde nei meandri della memoria.

Tratto da http://www.tanogabo.it/ testo di Paolina De Paolis

Redazione Medasa per Medasa.it