Radio Alter on the Road Communications incontra Francesco Medas un giovane e promettente compositore ed artista. Entrare nel suo mondo ci ha permesso di percepire come i nostri giovani compositori sardi elaborano sia la materia sonora e come si stiano tracciando i nuovi percorsi artistici contemporanei. La composizione e la musica elettronica, un mondo che si fa sempre più strada all’interno di una cultura sarda che è legata alle sue tradizioni più ancestrali. È un binomio che esprime il cambio del nostro millennio dove la ricerca ben si sposa con il suo background.

Quando è nato il tuo rapporto con la musica?

È nato a quattordici anni fondamentalmente. La folgorazione la ho avuta quando ascoltai per la prima volta l’intro di una chitarra in un brano e mi colpì il timbro. Ciò che volli immediatamente raggiungere era di poter eseguire lo stesso motivo. Volevo fare quel suono. Mi intrigava quel tipo di suono.

È interessante che ti abbia colpito il timbro rispetto alla tecnica strumentale perché in generale a quell’età i ragazzi voglio emulare il proprio idolo

A me colpì prima di ogni altra cosa il suono, il timbro. Poi in seguito studiando sono stato attratto anche io dalla tecnica strumentale, ma ritengo dal mio gusto, primordiale, l’elemento sonoro.

Questo amore verso il suono ti ha portato ad un certo tipo di studi?

Si infatti per cinque anni ho studiato musica elettronica al Conservatorio di Cagliari e l’entrare in contatto con personalità che all’epoca insegnavano musica elettronica, come Elio Martusciello, è stato dal punto di vista didattico scioccante.

Elio Martusciello è un grande nome del panorama artistico musicale internazionale

Si un grande artista e un grande didatta.

Cosa ti ha scioccato di questa esperienza?

Il modo del distacco totale a ciò che poteva essere la tonalità, per esempio. Quindi il lasciarsi alle spalle completamente tutta una serie di concetti e di fattori e che per chi ama suonare è una violenza.

Certo perché siamo immersi in questa cultura tonale ci riconosciamo in queste strutture sonore che ci rassicurano

Assolutamente si, per cui la vissi inizialmente come una violenza che io volevo infliggermi perché avevo capito che dovevo superare miei determinati limiti che mi ero auto costruito. Per ciò questi studi mi hanno permesso sia altre strade, ma sopra tutto di rivalutare quello che facevo prima e di cercare di riprendere a farlo con una maturità diversa.

Infatti oggi questo tuo percorso ti ha portato a comporre. Oggi che tipo di musica componi e che cosa il tuo pensiero elabora nell’atto creativo?

Compongo musiche per il teatro, improvvisazione, ecc. e l’avere imparato a lavorare con l’elettronica dal vivo perciò mi ritrovo a fare altro che suonare la chitarra. Comporre musiche, ovviamente, che non prevedono la presenza di quel tipo di strumento, ma altri tipi di forme musicali, altri tipi di linguaggi, anche se non mi piace usare questo termine e parola in relazione alla musica.

Perché?

Perché ritengo che la musica è una forma espressiva non idiomatica. Reputo la musica qualcosa di più profondo. E il linguaggio è una forma musicale probabilmente.

Da questo punto di vista concordo con te.

Per ciò che riguarda i meccanismi compositivi, sono molte volte dei meccanismi di feedback. Se si tratta di partire da zero, inizio da elementi molto semplici e a volte con la ripetizione con variazione è come un auto suggerire la struttura e l’evoluzione.

L’etnomusicologia come disciplina scientifica afferma che ogni popolo elabora una sua sonorità , una sua cultura musicale, una sua musica. Ci sono popoli che hanno una cultura sonora che noi definiamo musica concettualmente e loro no dal nostro punto di vista occidentale. Spesso nella loro lingua non esiste neanche la parola musica. Come potremmo definire il suono allora? Perché l’uomo cerca le sonorità? Dal tuo punto di vista, posto che stai manipolando anche l’elettronica che ha portato il suono verso altre percezioni, per te che cosa è allora il suono per l’umanità?

Il suono per l’umanità fondamentalmente è una richiesta di ascolto; ed è tramite l’ascolto che il suono viene interpretato, categorizzato e poi a seconda dell’esperienza ha determinati effetti sul nostro cervello.

Come i canti dei monaci buddisti che cercano l’origine del suono primordiale posto che il suono è vibrazione?

Si, ci sono addirittura degli studi contemporanei dove si parla della possibilità che il suono possa avere una propria massa. Quindi non è solo lo spostamento di un fronte d’onda, ma anche il portare una massa. Quindi un qualche cosa. Questo è molto affascinante.

Tu hai composto in questi tempi per il teatro . Cosa hai prodotto?

L’ultimo mio lavoro è stato lo spettacolo “Mammai manna” di Gianluca Medas .

Cosa ti affascina del teatro, un’arte che si base sulla gestualità e corporeità, sull’uomo che raffigura sé stesso?

Raffigura se stesso o parte di se stesso o ancora qualcosa che non sa di se stesso. In questo caso ho lavorato per quattro danzatori più video. Un’esperienza ancora più interessante il mettere al servizio la musica per una coreografia. È stato molto stimolante perché ogni danzatore ha le sue caratteristiche, e cercare di utilizzare la musica per esaltare anche queste caratteristiche del movimento è stato appassionante.

Le nuove tecnologie hanno cambiato l’approccio del nostro sentire. Molti come me hanno anche una nostalgia sonora del vinile e dell’analogico , perché tu la musica la tocchi, la hai in mano. ..

Si l’aspetto materico del supporto che chiaramente noi abbiamo perso …

Come vedi questo fenomeno?

Io non sono un cultore dell’analogico. Penso che da un punto di vista della qualità timbrica molte volte l’analogico consenta un’esperienza d’ascolto più qualitativo e più coinvolgente. Il digitale moderno posso affermare che ci permette delle possibilità di raggiungimento di livelli di definizione che sono estremamente vicini. La differenza io non la sento. Poi se l’impianto analogico è un impianto con le valvole , riscalda il suono, anche il vinile suona in maniera spettacolare. Dipende sempre molto dall’udito, dall’impianto di diffusione, dalla qualità dei componenti, però ritengo che sia più l’aspetto del possedere e dell’avere l’oggetto che comunque ha un valore .

Questo è un punto di vista molto interessante . Un fattore cultura del possesso del suono nel suo aspetto materico. Come se lo potessimo tenere tra le mani.

Si e sappiamo anche che ogni ascolto è un ascolto differente dal precedente e avere il supporto, diciamo, fisico è una questione tipicamente umana. L’uomo ha il bisogno di avere il contatto con qualcosa. Dare il nome ad un oggetto. Dagli un posto e una posizione.

Oggi che sei immerso nella composizione c’è un sogno o un qualcosa che vorresti realizzare all’interno di questa arte o come artista?

Il fare arte o il fare dell’arte il senso della mia vita, quello è il sogno. Già cercare di fondare la mia vita su questo tipo di aspetto è già un raggiungimento. Poi sia chiaro che ci sono dei piccoli obiettivi che si pongono nel realizzare un disco, o due, tre o quattro.

Voglio riflettere con te su un film che vidi qualche giorno fa sulla critica di un personaggio sull’arte contemporanea, su cosa sia l’arte. La risposta fu che l’uomo in qualsiasi arte produca lo fa per lasciare un segno del suo passaggio . Ritieni che l’arte sia questo?

In gran parte. C’è in gran parte questo bisogno, ma è più un bisogno di dare a sé stesso, di dare forma a qualcosa di totalmente ignoto.

E tu quando lavori fai questo procedimento?

Si. Per me è più un cercare di capirsi più che cercare di volere narcisisticamente rimanere immortali.

Si studia per strutturare l’arte

Si, ma rimango un improvvisatore.

Perciò l’improvvisazione non nasce dal nulla?

No, non nasce mai dal nulla. Nasce da una serie di esperienze. Nasce dalla volontà a volte di rompere queste esperienze. Di fare cioè il contrario di ciò che faresti. Dà spazio comunque ad una serie di meccanismi che anch’essi aiutano a scoprirsi. Fare ciò che non pensavi di fare.

Qual è adesso l’ultimo lavoro al quale ti stai dedicando?

Oggi sto cercando il tempo di chiudere il mio disco

Di cosa tratta?

Si tratta di un EP, una serie di brani strumentali , con alcuni cantati da me, con miei testi .

Allora qui subentra anche il linguaggio idiomatico?

Si perché comunque non ho mai voluto staccarmi completamente da quello perché sono convinto che ognuno possa esplorare a modo suo utilizzando anche nuovi tipi di percorsi, di nuovi timbri e nuove tecniche esecutive. Fare musica leggera con un’attenzione particolare e magari cercare di farla con una certa attenzione verso la ricerca.

Che strumenti suoni in questo tuo lavoro?

Fondamentalmente parto dalla chitarra, ma compongo anche le parti per tutti gli strumenti.

Un’ultima domanda che pongo a tutti quelli che interviso e qui subentra la mia visione etnomusicologica. Giunge un’astronave . Arrivano gli alieni e gli dobbiamo spiegare che cosa è per noi umani la musica e che cosa è l’arte. Come gliela spieghi?

Questo è un problema. Io do per scontato che sono in grado di giungere nel nostro pianeta e conoscano molto più di noi. Che abbiano conoscenze maggiori sulla musica. Prima di tutto chiederei io a loro cosa intendono per musica e arte.

Allora pensi che esistano razze che abbiano un evoluzione , non dico maggiore perché non esiste, ma una certa evoluzione.

Io sono convinto che se un giorno venisse alla luce che ci sono gli alieni, sarebbe praticamente ovvio che noi siamo fortemente inferiori a livello culturale ed evolutivo.

Tu intendi come evoluzione tecnologica?

Senz’altro, ma soprattutto spirituale.

Che cosa è per allora la spiritualità?

Non significa avere una fede o una religione. Spiritualità significa essere in grado di cogliere ciò che ti da una visione dell’universo in cui non tutto è materia, ma avere anche un legame profondo magari con l’interiorità.

L’arte permette questo?

L’arte consente di esprimere spiritualità, assolutamente.

E in questo tuo lavoro musicale tu esprimi la tua spiritualità?

Si in qualche modo si. C’è un po’ di spiritualità e un po’ di rabbia nei confronti del sistema, ma credo sia qualcosa di molto comune.

Come dice il filosofo Nietzsche siamo umani troppo umani.

Ma questo sarebbe troppo positivo riconoscere che siamo umani, troppo umani. Il problema è che si tende a sopravalutarsi. Quindi oltre alla spiritualità per me è molto importante l’ironia, e soprattutto l’autoironia.