donna-picchiata-maltrattamenti


La faccia oscura della Luna

Luigia 

La casa sapeva di chiuso, di cibo andato a male, di merda e di urina stantia.
La donna mi precedette nell'andito quasi buio e con un gesto stizzito mi indicò
un'ombra scura abbandonata su una sedia. Mi chinai e l'ombra si agito'
debolmente protendendo due mani scheletriche a difendersi il volto…come fanno
istintivamente i bambini picchiati per abitudine da adulti impietosi.
La conoscevo quell'ombra…sia Luigia…da quando giocavo a pallone nell'ampia 
spiazzo davanti a casa sua…vecchia già allora e perennemente in guerra contro
la gioventù chiassosa e contro un mondo fatto di gioia e di corse sudate e di
cuori impazziti di giovinezza,  che non aveva mai conosciuto.
Luigia era nata serva in una famiglia di servi.
Quando essere servi era un destino ineluttabile che non lasciava speranza di
redenzione o di riscatto…quando si doveva solo ubbidire in cambio di un tozzo
di pane che la vita altrimenti ti avrebbe negato.
Aveva servito per la prima volta a sei anni in casa di un padrone inchiodato su
una sedia dalla gotta,  che urlava in continuazione e che ogni tanto la colpiva
con un frustino di cui era sempre armato. Era andata via a tredici anni e il
nuovo padrone, un notabile arrogante e brutale, l'aveva stuprata pochi giorni
dopo…senza neppure minacciarla di stare zitta, che' tanto sapeva che la
bambina non avrebbe mai parlato…aveva imparato alla scuola della sofferenza e
sapeva bene che nessuno le avrebbe creduto. Ma da quel giorno il sorriso fu
cancellato dal suo viso di bambina violata e ogni qualvolta le si avvicinava un
uomo si portava le mani al volto, in un gesto istintivo di difesa…un gesto che
non smise più.
Non parlo' neppure gli anni seguenti, quando serviva la padrona a tavola e il
padrone a letto…neppure quando dovette abortire più volte sotto gli occhi
indifferenti della signora che sapeva tutto…ma Luigia era una serva, meno che
niente, e il padrone poteva farne ciò che voleva.
Luigia viveva come dentro una bolla di silenzio, di rovente isolamento.
Rispondeva sempre si con un cenno veloce del capo…le parole erano inutili
dentro quella torre chiusa al mondo in cui viveva da sempre. Rispose si anche al
padroncino che se la porto' a letto con la complicità della madre e del padre,
felici che il loro rampollo facesse un po' di pratica su quel corpo anonimo,
senza complicazioni. Poi si sarebbe sposato, avrebbe avuto figli con una donna
vera e sarebbe vissuto rispettato come il signore qual era.
Luigia aveva quarant'anni quando il servo pastore che curava  le capre del
padrone le chiese di sposarlo. Anche allora non parlo'…non sorrise neppure con
la sua bocca senza denti e con gli occhi assenti. Cambio' solo padrone e fu
fortunata perché il marito, più vecchio di lui di venti anni, era buono e la
trattava bene, concedendole talvolta anche qualche momento di tenerezza.  Non la
picchio'  mai e se doveva sgridarla lo faceva con un certo garbo, senza
offenderla. E, per la prima volta nella sua vita, Luigia poté sedere a tavola
con un altro essere umano.
Luigia visse una vita quasi normale per alcuni anni, assaporando quella serenità
che le era stata sempre estranea, fino a quando il marito non morì cadendo in un
burrone mentre cercava una capra dispersa. Luigia ebbe pochi giorni per
piangere. Aveva pochi soldi e se ne andò in città, a fare la serva…come
sempre.
E quando fu troppo vecchia per lavorare, torno' in paese, nella casa che aveva
abitato negli anni lontani in cui era stata una donna normale e serviva senza
paura l'unico padrone che l'avesse trattata  bene.
Si mise in casa una donna del vicinato, una sua lontana parente, con l'accordo
che le avrebbe lasciato la casa in cambio dell'assistenza.
E così trascorse gli ultimi anni, sempre più isolata e muta.  E divenne cieca.

La chiamai sotto voce. Luigia sollevo' il viso ma non aprì gli occhi, che da
anni erano spenti.
Cercai di rassicurarla tenendole le mani che cercava di sottrarmi con piccole
scosse di paura  e la lasciai solo dopo che la sua mente crepuscolare aveva
capito che non le ero nemico, che non l'avrei picchiata. Mi ero abituato
all'oscurità di quell'antro e potevo intravedere le forme della vecchia su
quella sedia, ma quando volli esaminarne il corpo per capire se aveva lesioni,
cerco' ancora una volta di allontanarsi, lamentandosi debolmente come un cane
impaurito.
Mi volsi verso la sua carceriera…la odiavo ferocemente, ma volli guardarla  in
faccia…senta, io adesso vado via, ma torno tra mezz'ora e voglio trovare
Luigia in ordine, lavata e pulita e vestita in modo decente, e se non fa quello
che dico ritorno con i vigili urbani e la faccio arrestare…mi ha capito,
miserabile?
Quando tornai Luigia era stata ripulita, ma conservava ancora il tanfo della
miseria, la tristezza lacerante dell'abbandono e i segni feroci  della violenza.
E la casa era immersa in una dimensione malsana, corrotta.
Chiamai un'ambulanza che la porto'  via dalla sua prigione e forse dalla paura.
Morì pochi giorni dopo, serenamente. Forse gli unici giorni senza umiliazioni di
un'intera vita. Aveva 98 anni ed era vissuta serva per tutto quel tempo.
La sofferenza l'aveva svuotata e appariva rimpicciolita e indifesa.
Volo' via dal letto lindo di un ospedale, rivestita di un abito bianco come una
bambola… libera…finalmente libera da quella terra che l'aveva sempre
respinta.

 

Tonino Serra.