FABRIZIO MINOZZI. IL DJ E LA SENSIBILITÁ DELL’ANIMA. IL SOGNO DELLA “FACTORY”
Si ha l’idea che la musica sia un’arte che provenga da ispirazioni divine. L’uomo ha sempre spiegato da tempi arcani, nella cultura occidentale mediterranea attraverso le sacre Muse, lo sconosciuto con miti e leggende elaborando racconti e narrazioni fantastiche. Non vi è popolo al mondo che non abbia pensato una sua musica o elementi sonori, come non tutti i popoli hanno nella loro lingua e concetto la parola musica. L’umanità di questo pianeta elabora pensieri differenti secondo le proprie esperienze e culture e storia. La bellezza dell’umanità è l’osservazione sensibile di essa stessa, senza giudizio e verdetti in modo oggettivo e con grande comprensione e rispettabilità. Ricreare un percorso con Radio Alter on the Road Communications, avvicinandoci attraverso questa serie di interviste nel mondo dei DJ sardi, ci ha permesso di entrare in punta di piedi in un territorio che necessita di essere raccontato per espressione storica e culturale della nostra terra e isola. La conoscenza storica permette una coscienza dell’essere, per avere la sensibilità del chi siamo, da dove provenivamo e verso quale percorso intraprenderemo. Incontrare Fabrizio Minozzi, DJ di profondo spessore culturale e grande sensibilità, ci ha permesso non solo di ricostruire momenti significativi di una storia che rischiava di cadere nell’oblio e che andava narrata perché i fatti storici contemporanei sono costituiti anche da quelli culturali, quali le nostre storie musicali, classiche, rock, popolari di tradizione, ecc., ma anche da quelle di trasmissione culturali del pop, quali la prossemica scientifica, espressione di quella disciplina che ci permette di comprendere i gesti, comportamenti e spazi all’interno di una comunicazione verbale e non verbale. Il ballare con musiche che decretano modi e comportamenti significa entrare in quelle comunicazioni e linguaggi che non solo hanno diversificato i gruppi giovanili e le loro espressioni comportamentali, ma hanno elaborato culture, nuove comunicazioni e simbolismi, perché le creatività differenziano le persone nelle espressioni e le accomunano nella propria essenza dell’essere umani troppo umani.
Il tuo primo approccio con la musica? Quanti anni avevi?
Ero molto piccolo. Verso i tre o quattro anni col giradischi di mia madre, un Philips con delle casse che si richiudeva in delle valige. L’approccio iniziale è stato per la parte tecnica, il vedere cosa era questo aggeggio nero dal quale usciva tutta questa grandiosità, che era la musica e il suono; e poi la curiosità dei componenti, la puntina che leggeva i solchi. Tutto ciò mi incuriosì e, inoltre essendo figlio unico, la musica mi è stata sempre grande compagna. Proprio nei momenti di solitudine mi faceva compagnia con Mina, Vanoni ecc. Mia mamma ascoltava musica italiana.
Era tua mamma che comprava i dischi?
Si e poi in famiglia avevo un nonno che suonava il violino, il sassofono e il pianoforte. Non ho avuto un approccio agli strumenti musicali, ma più alla tecnologia.
Tu sai che se c’è qualcuno che ascolta musica in casa, o un parente come un nonno che suona, ciò influenza molto i bambini della famiglia.
Infatti la musica è stata, da bambino, una grande compagna.
Come hai deciso poi di diventare DJ o chi ti ha ispirato?
Io ho conosciuto Vittorio Podda.
Scusa se ti interrompo. Tutta questa serie di interviste sono nate perché mi posi il quesito di chi poteva essere stato il primo dj nell’area cagliaritana e così ho deciso di investigare con le interviste e ricostruire la vostra storia.
Era il periodo della Disco Music.
Anni settanta?
Si dal 1973 al 1978. Vittorio era uno di quelli che riusciva a procurarsi i dischi e li proponeva. Magari non vi era nella tecnica una precisione perfetta, però possedeva un gusto musicale forte ed una grande fantasia e lui mostrava anche un aspetto da showman. Ebbe un notevole impatto sul pubblico.
Che relazione instaurava con il pubblico? Come era la discoteca dell’epoca?
Intanto presentava i dischi o faceva delle battute allegre attraverso il microfono. Erano gli anni in cui la discoteca era ancora agli inizi.
Un aspetto radiofonico
Lui lavorava anche in radio e chiaramente in discoteca riportava il programma senza fare buchi.
Ti ricordi in che radio lavorava?
Non me lo ricordo perché la radio l’ho seguita sempre poco anche se ci ho lavorato da bambino.
Cosa facevi in radio da piccolo?
A Radio Rama Sound c’era una speaker, una ragazza che mi prese in simpatia, ed io invece mi occupavo della parte tecnica. Stavo ai giradischi.
Già da allora stavi apprendendo un mestiere
E non solo. Ricordo che la governante della mia famiglia, con la quale non si stabiliva solo un rapporto di lavoro, ma anche di familiarità, tutti i pomeriggi quando finiva le sue mansioni, avendo un fidanzato che lavorava in un club davanti alla Chiesa dell’Annunziata, lo frequentava.
All’epoca non esistevano le discoteche?
No c’erano solo club. Ricordo il Pok Pak , l’Altro Mondo, ecc, perché prima delle discoteche e dell’avvento del boom del “Sabato sera” , esplosione proprio del fenomeno discoteca, c’erano i clubs o le feste private, ma all’epoca chi metteva i dischi, i pseudo dj, in effetti era lo sfigato della situazione.
Perché?
Perché era colui che doveva stare dietro le apparecchiature, non si divertiva, non socializzava con le ragazze, era spesso relegato in un angolino nascosto a mettere la musica.
Ma vi era una scelta da parte di queste persone in questa mansione e a scegliere la musica?
Una volta nelle feste private ognuno portava i propri dischi. I propri 45 giri o qualche LP, con un adesivo con il proprio nome, e si mettevano quei dischi, spesso con il cambia dischi. Siamo sempre negli anni tra il 1970 e 1975.
Siamo negli anni della contestazione
C’era già la contestazione, qua in effetti. Oltre alla musica di mia madre avevo dei cugini più grandi che ascoltavano rock progressive come il Banco del Mutuo Soccorso, gli Area, i Pink Floyd, ecc. Inoltre mia madre era appassionata non solo di musica italiana, ma anche del rock and roll di Elvis Presley e tanti altri, una musica che mi tramandò nell’ascolto.
Tua madre aveva un’apertura all’ascolto musicale non indifferente
Si perché lei non è originaria sarda. Proviene dalla provincia di Mantova, al confine con l’Emilia, perciò la cultura delle balere, della musica dal vivo e già vivendo una cultura musicale sulla propria esperienza e sul luogo di nascita, non poteva che trasmettermi questo amore per la musica. Quando si è trasferita in Sardegna ha trovato invece un mondo completamente diverso. Invece io ho avuto modo di vedere, da che ero bambino fino ad oggi, la crescita e poi il declino, almeno nel settore musicale e culturale in genere, a Cagliari. Questa città ha avuto un picco negli anni ottanta molto forte, bello e creativo con un’apertura che oggi in effetti non c’è nonostante Internet, nonostante la gente sia più predisposta ad accettare tutto, invece osservo una certa repressione.
Si molti sono dibattiti sugli effetti della globalizzazione che hanno portato a un livellamento culturale al di sotto della media. Noi ritorniamo invece a questa Cagliari che cresce con le figure dei DJ
Tornando a Vittorio Podda ho avuto modo di conoscere la discoteca Eurogarden, che era ancora una “palafitta”, sotto al piano basso non vi era ancora niente.
Palafitta?
Si era praticamente una costruzione dove vi era ubicato un localino al primo piano e il paino inferiore era adibito a parcheggio che poi in seguito diventò discoteca. Ricordo anche Priamo che faceva il dj.
Priamo era il proprietario?
Priamo era il proprietario, ma metteva anche musica. Chiaramente non mixava, era semplicemente un “selecter” sempre super elegante. Da bambino se sapevo che i miei genitori andavano a ballare io “pestavo i piedi”, mi adiravo e allora mi portavano a ballare con loro, e in discoteca io rimanevo quieto e calmissimo.
I tuoi genitori andavano a ballare allora ecco da dove hai ereditato quest’amore per la discoteca
Assolutamente si, però ripeto è stato un qualcosa con la musica di un approccio con le “macchine” che creavano i suoni. Andare in discoteca e vedere la gente che balla mi ha portato anche ad organizzare le feste per i miei genitori e parenti. Chi mettevano a mettere i dischi? C’è Fabrizio! Nessuno di loro voleva farlo perché la figura di chi metteva i dischi, ripeto, era quello dello sfigato, ma io invece mi divertivo abbastanza, ed ero anche bravo nel fare le mie selezioni compositive.
È interessante da un punto di vista etnomusicologico e prossemico del come ci si vestiva all’epoca posto che mi hai detto che Priamo era sempre elegantissimo. Come ci si vestiva all’epoca? Il rapporto sociale dell’indumento, del vestirsi in discoteca.
Dipende. All’Eurogarden erano tutti sempre super eleganti. Negli altri piccoli clubs essendo frequentati da più giovani, l’abbigliamento era più casual. L’Eurogarden era un posto per adulti. Un luogo tra il piano bar e il night, dove anche si ballava, mentre invece i clubs erano i posti dove non si andava solo a ballare, ma anche a “fomentare”, cioè più underground per l’epoca. In questi club ci si poteva vestire come si voleva. C’era stato il boom dei jeans e perciò siamo nel pieno periodo della “Jeanseria” , a “zampa di elefante”. La rivoluzione anche nell’abbigliamento. Cagliari all’epoca era molto attenta a tutti questi fenomeni. Con l’avvento delle discoteche con l’esplosione del film “la febbre del sabato sera”, ci sono stati sia gli ingegneri che hanno fatto i progetti per la creazione delle discoteche, e il pubblico era molto elegante, soprattutto la notte. Gli uomini si vestivano tutti in giacca e cravatta e chi non la portava in ogni modo indossava un abito elegante. La giacca era un obbligo e non entravano in discoteca, soprattutto i ragazzini. Credo che il più piccolo avesse trent’anni, qualche rarissima eccezione venticinque. Quando ho iniziato a lavorare in discoteca avevo diciassette anni. Ero quello con minore età rispetto a tutti, perché facevo anche i pomeriggi.
Come erano suddivise all’epoca le serate?
Io facevo quattro servizi alla settimana. Le discoteche all’epoca erano aperte tutte le notti. Iniziai al Lido e le serate erano il venerdì notte, il sabato pomeriggio, sabato notte e domenica pomeriggio.
Tu hai iniziato al Lido?
La mia prima discoteca ufficiale è stata il Lido però già facevo feste in giro. Iniziai a comprare i dischi già all’età di sette anni. La mia paghetta settimanale veniva spessa tutta in dischi. I 45 giri costavano da 300 a 600 lire.
Dove li acquistavi?
Li acquistavo alla “Casa del Disco”, soprattutto perché ero amico di Stefano, che mi aveva preso in simpatia per le scelte e gusti musicali. Poi c’era un negozio in via Dante “La Discoteca”, e un altro verso la fine di piazza Giovanni anch’esso alquanto fornito. Ricordo anche “La Casa della Radio”. Ce n’erano tanti di negozi di dischi. Il primo che ha incominciato ad importare musica dagli Stati Uniti d’America, e che è stato, tra l’altro, assolutamente il primo in Italia, fu quello di Pierpaolo Pisano. Pierpaolo Pisano è stato il primo importatore in Italia dagli Sati Uniti d’America. Aveva sia il negozio di dischi e sia quello per le attrezzature e forniva le discoteche di mixer, puntine, luci, giradischi, ecc. Tutta l’impiantistica necessaria lui l’aveva.
Eravate ben retribuiti?
Essendo un ragazzino entrai al posto di Filippo Lantini . Eravamo amici e lui lasciò per un’altra offerta di lavoro. La mia amicizia con Filippo è nata proprio perché andando al Lido rimanevo ore appoggiato al banco per vedere tutti gli apparecchi suonare ed ascoltare il lavoro di Filippo e a osservare la sua gestualità. Forse ho imparato anche così senza rendermene conto. Sicuramente senza quell’intenzione di “carpire” . Ero semplicemente affascinato dagli apparecchi.
La gestualità è importante perché per empatia per i neuroni specchio noi apprendiamo imitando.
Però lo sai imitare non era possibile se poi l’imitazione visiva corrisponde al lavoro tecnico di ciò che si farà. Era la mia grande passione per la tecnologia e rimanevo incantato a guardare queste macchine suonare questi pezzi di plastica che facevano fuoriuscire queste note e queste melodie. Era un incanto. Poi l’orecchio musicale che già in famiglia regnava ha giocato il suo ruolo e messo in pratica è stato più facile rispetto ad altri.
Poi al Lido?
Al Lido il mio mentore iniziale è stato Filippo Lantini.
Perciò Vittorio Podda e Filippo Lantini primi
C’erano all’epoca oltre al Lido locali o più fanky o più disco o con musica più commerciale anche se negli anni settanta trovare musica brutta era più difficile, anche perché eravamo quasi tutti proiettati verso l’estero e verso il futuro e l’avanguardia.
Perciò anche un pubblico più attento?
Un pubblico molto più attento assolutamente si.
Certamente voi dj dovevate avere un poco di paura verso un pubblico così vigile nei riguardi della musica. Chi decretava il successo del dj dato che il pubblico andava dove c’era “quel dj”?
Questo non lo so.
Il pubblico va dove c’è quel dj che fa ballare
Questo sta a capo di tutto il business. Nel senso che se il gestore del locale ha un dj anche molto bravo e che alla gente non piace è un problema. Però all’epoca non c’era questo discorso, dove la musica era già bella di per sé, e difficilmente si sbagliava. Si poteva sbagliare il missaggio o l’ordine dei dischi o fare una serata che po’ zoppicasse. Se avevi estro, la serata tirava avanti con energia e quando finiva la gente si rammaricava che si fosse già conclusa. Questo decretava il livello del successo della serata, la lamentela de finire una serata e non poterla continuare. Il successo era riuscire a trainare la gente a ballare sino all’ultimo senza stancarla. Quello che fanno oggi i dj è quello di stancare. Sembra che il pubblico si debba stancare, se non alzano le mani e se non saltano non ci si diverte.
Non ho ancora ben capito ciò, sembra che faccia parte di insieme comportamentale, di massa. Come un rituale.
Si è vero che il ballo è uno sfogo che permette di stancare, di scaricare le tensioni. È vero che i giovani hanno voglia di scatenarsi, ma questo momento che se per forza non alzi le mani, o di un dj che si lancia in cose acrobatiche ecc., oggi osservo comportamenti che sono fuori da ciò che possiamo chiamare fenomeno dj come lavoro, come professione e cultura.
Tu negli anni ottanta hai rivoluzionato, come afferma Manu Marascia il proporre con nuova musica
Non è che ho rivoluzionato
Beh hai rivoluzionato anche un ascolto musicale
In effetti sono sempre stato molto attento alle novità . Tutto il mio gruppo era attento. Poi era il periodo di uscita della disco music e dal funky l’affacciarsi sulla scena della New Wave. Perciò siamo entrati in fenomeno nuovo dove non c’erano più le orchestre che suonavano nei dischi, ma c’erano strumenti sintetici . Quindi anche gruppi che non avevano l’orchestra e non avevano i milioni per realizzare un disco, con pochi strumenti riuscivano a fare della musica di qualità, ballabile e alternativa con suoni moderni.
Se ci pensiamo che anche i testi sono molto interessanti, nella New Wave inglese del periodo della Margaret Thatcher.
Assolutamente si e non solo quella inglese. Eravamo molto bravi anche in Italia e specialmente in Sardegna con i gruppi rock e i gruppi punk . C’era un fenomeno molto forte e tra l’altro non si osteggiavano l’uno con l’altro. Oggi invece chi fa la Techno non frequenta chi fa rock, ecc. In effetti è vero che oggi è diventato tutto settoriale. A piccoli quadrettini ci siamo tutti frammentati e siamo tanti perché non siamo pochissimi in Sardegna, ma siamo tutti disgregati.
C’è molto individualismo
C’è molta voglia di protagonismo. Non a caso le consolle dei dj devono essere al centro della gente e dell’attenzione. A me piaceva stare comunque sempre un poco in disparte
Si ho notato che hanno molto centralizzato questa figura
È molto show ed esibizionismo, mentre invece questo lavoro ha bisogno intanto di molta concentrazione. Altrimenti sei una macchina. Oggi con il computer schiacci già un bottone e non fai molto rispetto a prima. Ci sta pure che un ragazzino possa approcciarsi così, però bisogna vedere che tipo sfruttamento ne farà il mercato e non di sicuro in senso positivo. Questo è un lavoro che necessita concentrazione e programmazione e cercare di fare ballare la gente, perciò devi essere concentrato, perché se qualcuno viene e ti distrae, e ti continuano a salutare, a parlarti, e ti chiedono di tenergli e chi la giacca e chi la borsetta, comunque sei di fronte alla gente e questa vuole interagire con te. È vero e giusto che si abbia un rapporto anche con il pubblico, ma il fattore particolare è che si vuole avere un rapporto solo quando si è dietro la consolle e quando si esce da quel banco no si viene più considerati.
È molto interessante questo fenomeno
Questo è il fenomeno attuale, di questo momento. Trovo ciò ridicolo. A me è sempre piaciuto stare in un posto comodo e discreto dove lavorare con serenità, concentrazione e dedizione; e quando mi è stato tacciato il fatto di non guardare mai il pubblico in modo costante in faccia e di fare musica sempre per i fatti miei, faccio presente che non faccio la musica per i fatti miei. Io quando ho iniziato avevo i miei dischi forniti dalla discoteca perché una volta veniva acquistati dal locale. Poi vi erano anche quelli che uno comprava per sé. Di quel materiale ci si doveva fare un ensemble per tenere un anima in pista che fosse piacevole. Non ho mai avuto questo vezzo di volerli fare esplodere.
Bellissima questa espressione che hai utilizzato : “tenere un animo in pista”.
La pista deve avere un’anima non deve essere monotona e né tenere sempre un ritmo veloce. Non puoi tenere per forza un ritmo e un’emozione tirata. La serata deve avere un andamento di salita e di discesa. Deve essere come un’onda che va e che ti porta con sé piacevolmente.
Già l’utilizzo di questa espressione è avere una filosofia estetica della serata
È sempre stato così. Per me è naturale. Sono molto emotivo.
Infatti è così che le sinfonie classiche hanno una struttura musicale per l’ascolto, una Ouverture, ecc.
Per me il programma in discoteca nasceva così con le emozioni. Si deve riuscire a fare emozionare la gente e non stordirla. Oggi si tende a stordirla con volumi spropositati, impianti inadeguati, mentre una volta si teneva maggiormente alla qualità. Attualmente la qualità, sia a livello tecnico che musicale, è andata un po’ persa, vuoi per la computerizzazione delle macchine e strumentazione, perciò sia gli amplificatori che le casse sono adeguate a ciò, è tutto “plastico”. Si è persa quella gioia di sentire e di ascoltare la musica. Anche la musica commerciale, la Trap, il Reggaeton, vengono ascoltati con volumi impossibili e con impianti che mi lasciano basito e di come questi ragazzi riescano a sopportare quelle situazioni. C’è da uscirne sordi.
La scienza in relazione ai suoni e all’udito ha studiato i danni che vengono apportati sia dall’inquinamento acustico, a seconda delle frequenze di recezione uditiva dei volumi, ed incluso anche quelle percussive accelerate delle batterie elettroniche. Con i miei colleghi discutiamo spesso anche sulle frequenze del 440 Hz dell’accordatura degli strumenti e per diverse ragioni ne preferiamo altre. Non ci piace questo standard proposto da un gerarca nazista e adottato nel secolo scorso da tutti in seguito.
Inoltre tenere per tutta la sera lo stesso livello di musica, energia, e andamenti vari non è fattibile.
Ciò richiede delle sostanze stupefacenti?
A proposito delle droghe, dal mio punto di vista, queste ci sono sempre state. Poi che siano diventate approcciabili anche ai più giovani è un altro discorso. Ci sono sempre state. Da che ero bambino, o in qualunque situazione nei clubs, ecc. le ho sempre viste.
Il discorso che facevamo con Manu Marascia è iniziato perché anni fa scrissi un articolo sulle relazioni che i generi musicali avevano con le droghe. Ma non perché una musica o un genere richiamasse a una determinata droga, ma quale movimento musicale veniva associato per un tipo di droga a causa delle grandi mafie che hanno posto in relazione ciò, ad esempio droga sintetica musica elettronica.
Io non la penso così. La musica non c’entra niente, perché comunque si possono trovare politici, personaggi dello spettacolo, ecc. che già da tempo si drogavano parecchio. Quindi non è un fenomeno legato alla musica o al tipo di musica. Il fenomeno della droga, o come hai detto tu sulle droghe sintetiche, è per allargare tale fenomeno delle mafie o di chi sta ai vertici, a tutti. Ampliare i mercati per arrivare anche ai minori, tanto che negli anni novanta si mettevano a vendere droga fuori dalle scuole elementari. È stato un processo di allargamento del mercato a livello mondiale. Perciò non è un problema legato alla musica. La musica chiaramente ne ha usufruito perché come dici tu nei Rave, per reggere una serata di dieci o dodici ore con quei ritmi, si richiede una “certa carburazione” chimica. Ma ribadisco non è un fenomeno legato alla musica. è un fenomeno di male sociale.
Penso alle due generazioni che sono “sotto terra” quella degli anni ottanta, a causa dell’eroina e dell’AIDS, perché ho sempre ritenuto che esista una “mano oscura” del potere che decretò che dovesse morire la creatività.
Assolutamente perché poteva essere un pericolo per determinate strategie politiche. Sicuramente.
Erano giovani che pensavano
Certo e invece oggi come li hanno lobotomizzati? Con quella musica assolutamente monotona dove è tutto globalizzato, standardizzato. Se tu non sei come loro, sei tu quello sbagliato. Non si mettono alcun problema di osservare se c’è qualcosa che possa interessarli. Se tu non ti vesti come loro o non ascolti la loro musica, e devo dire che c’è questo modo di essere in ogni campo, sei diverso.
Infatti la famosa fantasia al potere, il potere l’ha distrutta
Completamente!
Allora assolviamo la musica?
Si certo. Tra l’altro oggi anche nei circuiti super commerciali c’è molta droga. Non è così un fenomeno legato alla musica, ma un qualcosa comune in tutto il mondo. È un male sotto certi aspetti.
Ritorniamo al mondo dei dj. Arrivano gli anni novanta. L’House Music. Fabrizio Minozzi spiegami cos’è l’House Music.
Diciamo che non è nata negli anni novanta. È nata intorno al 1985. Forse qualcosa prima, ma poco. Io ho incominciato ad avere i primi dischi nel 1985. Ero già passato in quegli anni per la New Wave, e le musiche successive, come il post New Wave.
C’è stata anche in letteratura la post industrial ecc.
C’è stata proprio l’evoluzione di quel genere e anche una nuova versione della disco music denominata la “Nu Disco” che era una New Wave Disco, ecc. per arrivare con le macchine a proporre i suoni della vecchia disco ed anche della New Wave con le batterie elettroniche. Quindi si usavano frammenti di brani famosi che venivano elaborati con le batterie elettroniche.
Questa è già composizione fatta in casa?
Però composizione in casa c’era già anche con la New Wave, perché non avendo bisogno di un’orchestra , con un sintetizzatore, tastiere e batteria elettronica, ecc. invece di avere un gruppo di cinquanta elementi, per fare un disco, ne bastavano pochissimi.
Perciò possiamo affermare che dal gruppo orchestrale si è passati al gruppo di quattro o cinque elementi o al trio.
Si fino all’arrivo del computer e dei programmi per il PC dove uno poteva comporre tutto da solo. Perciò la House Music è uno dei prodotti dove si può produrre la propria musica da solo. E qui siamo intorno al 1985.
Questo fattore fa si che si apra un nuovo mondo per la creatività?
Assolutamente si.
Perciò la tecnologia non uccide la creatività, ma fa sì che l’individuo se ne impossessi da sé in quanto l’orchestra esige un insieme con un direttore d’orchestra, un qualcuno che diriga, ma qui a un certo punto è il singolo che crea il tutto attraverso la sola sua creatività.
La House Music è nata soprattutto dal ghetto come fenomeno e anche la disco
Qui voglio mettere l’accento sull’individuo che crea
Sì però è nata dalla necessità di rivoluzione e di riscatto. La House Music permette all’individuo di fare da sé.
Perciò nasce la creatività collettiva degli anni settanta per lasciare spazio alla creatività individuale ad opera della tecnologia
Creatività però se alla base c’è qualcosa. Anche nella House Music c’è stata musica non di alta qualità. Oggi invece per ascoltare un bel disco in proporzione ne devi ascoltare almeno un duecento.
Però ha ragione anche Manu Marascia quando dice che fra tutte queste persone che si dedicano alla musica, prima o poi ne emergerà un qualcuno più qualitativo e più creativo
Oggi è diverso con il pattume musicale che c’è.
Perché c’è questo pattume?
Perché questa omologazione e questo globalismo fa si che tutti siano uniformati.
Non pensi che sia un fenomeno italiano questo?
No avviene in tutto il mondo. Si sta cercando di spingere le minoranze sempre più verso un angolo ristretto. Sempre più schiacciate. Perché comunque la gente non ha più voglia di impegnarsi ad ascoltare. Le persone si accontentano di andare a ballare quello che ascoltano in radio tutto il giorno, o che sente in giro per i negozi, o che si scarica sul cellulare e sono sempre gli stessi brani. Io ascolto musica di tutti i generi, poi se per le mie serate propongo musica House, perché mi ci ritrovo attualmente, nonostante qualcuno la trovi un po’ monotona, non è mai uguale. Non prospetto programmi uguali. Ultimamente in questo recente periodo mi sovviene una sorta di romanticismo per un ritorno ad un set di lenti, musica lenta, di quei lenti che ballavamo una volta e che fui proprio io a togliere quando iniziai a lavorare al Villarosa nel 1985. Sono stato il primo a chiudere più tardi le serate, a togliere i lenti e creare una serata unica, dove non c’era più il lento, ma un’onda. Ad un certo punto della serata la gente era stanca e gli proponevo una musica con bit più lento e un’atmosfera più tranquilla. Si rilassava, riprendeva fiato e poi chiudevo fino a tarda mattinata.
Hai posto l’accento su punto molto fondamentale sul quale ci sarebbe da dedicare un grande approfondimento e analisi, il fatto che queste minoranze si ritrovino in un meccanismo mondiale e tale che le sta sempre riducendo. Che rapporto c’è tra lo spazio geografico e la musica?
Le minoranze stanno pian piano scomparendo. Così come è iniziato politicamente con i negozi , con le grandi distribuzioni, poi i grandi mercati, e poi adesso gli stati. L’Europa, gli USA, la Russia, ecc. stanno cercando di schiacciare i deboli.
Eppure nella musica sta ritornando il vinile?
Sta ritornando il vinile perché come ha affermato Manu Marascia nella tua intervista, per fare questo mestiere ci devi investire. D’accordo che qualcuno molte volte non ha le possibilità e magari possiede l’estro, se devi suonare con i dischi e di sicuro un grande impegno. Comprare le apparecchiature e i dischi richiede danaro. Però è un taglio all’appiattimento di tutto. Lo fa chi ha veramente voglia e l’entusiasmo. Invece di comprarsi 500 euro di dischi se ne compra 100, starà bene attento a sceglierli per organizzare un bel programma. Con 100 dischi oggi puoi fare quattro o cinque ore di serata. Non sono i dischi di una volta che durano tre o quattro minuti. Oggi durano sette o otto minuti. Perciò ripeto se fai una bella scelta e un buon programma un’ora la fai tranquillamente con cinque o sei dischi.
Oggi il dj viene visto quasi come una superstar.
Da un lato sì. Per le persone comuni è una superstar. A volte quando sentono il mio cognome, “Minozzi? Ma sei dj?”, un po’ oggi mi vergogno a rispondere.
Perché?
Perché c’è una massificazione di questo fenomeno che tutti sono dj. Dj in farmacia, dj al bar, dj al mercato, dj in profumeria, ecc. c’è di tutto. Sono tutti dj. Tutti dj che se la cantano e se la scrivono. Oggi basta inventarti un curriculum lo posti su facebook , fai delle foto particolari , e sei un qualcuno.
Eppure ho ascoltato un’intervista di David Guetta , un dj commerciale, che affermava di lavorare con uno staff di musicisti al suo seguito.
Certo perché lui non fa niente. Non ha mai fatto niente in effetti.
(Rido) . Ecco perché preferisco Steve Aoki perché almeno è anche un musicista Hardcore Punk
Va bene anche lui però fa un genere aberrante. Lui è simpatico perché è un personaggio
Però la sua band Hardcore punk a me piace perché amo questo genere
Vedi lì ti do ragione e non capisco perché fa ciò. Certamente per il business.
Ha capito come sbarcare il lunario
Però non è gratificante. È un po’ svilente per quello che un dj deve fare per la ricerca o altro. Poi è anche vero che ognuno si specializza e diventa famoso per quel genere musicale, ma preferisco non essere etichettato perché c’è tanta musica che piace ed ogni tanto anche quella commerciale. Non lo nego se c’è qualche canzone bella che ci sta bene nel programma la inserisco. Non devo apparire sempre come un super serioso. Non devo dimostrare niente . La gente deve divertirsi con te e liberarsi. Oggi perciò trovo svilente affermare di essere un dj perché tutti sono dj secondo altre ottiche e punti di vista differenti dal mio.
C’è la possibilità che questa Cagliari fuoriesca da questo provincialismo?
Non lo so è molto difficile, perché in tutto il mondo c’è sempre questa forza che spinge nell’angolo e la gente che potrebbe ascoltare non ha voglia. Si stanca e non vuole impegnarsi più ad ascoltare la musica, non ha più interesse. Non ha più voglia di lasciarsi andare a suoni che non siano già sentiti o scontati.
C’è un sogno di Fabrizio Minozzi?
Il mio sogno, già da vent’anni, è quello di avere un club o un posto tutto mio. Potrebbe essere semplicemente casa mia, con una sala, dove potere invitare gli amici. Ormai siamo tutti grandi e non c’è nessun posto che ci possa accogliere. Quindi se si vuole ascoltare della musica ad un volume non troppo alto ma piacevole, dove si sta a proprio agio e dove chiacchierare senza essere spintonati e senza la paura che qualcuno ti rovesci un qualcosa addosso. Un servizio di qualità, con educazione per sentirti a casa. Posso certamente frequentare da solo ancora oggi qualsiasi tipo di locale, per me qualunque posto è casa mia, non mi sento a disagio neanche nel peggior posto. Ma quando si è con gli amici e ci si vuole fermare a chiacchierare e sorseggiare un drink, invece trovi che ti servono sgarbatamente, quello che ti servono è spiacevole, paghi una cifra esorbitante per quello che ti stanno dando, la musica è inascoltabile e i volumi altissimi, uno tra sé dice: “ma lo sai che c’è? Me ne sto a casa!”.
(Ridiamo)
Spero in futuro, il mio sogno, è di avere uno spazio dove radunare gli amici. Non solo per la musica perché un esempio, che richiama ad un’idea che per me ha un senso affettivo, è la “Factory di Andy Warhol”, dove c’è musica, teatro e arte. Un luogo dove ci possono essere varie cose artistiche e le persone sentirsi a casa. Oppure uno che è da solo, e oggi in molti si è soli, se c’è un posto dove trovare chi conosci e che ti è consone si va lì.
Noi a Barcellona nel locale dove ci incontriamo ci chiamiamo “La Familia”.
Sì un posto dove ci sono facce amiche e farci due chiacchiere. Questa è la mia intenzione per il futuro. In fondo nelle mie aspirazioni non c’è mai stata la voglia di fare un super club o di guadagnare i miliardi da ciò. Un qualcosa di mio personale e di condivisione delle cose che ho messo via negli anni e anche di apprezzamento. Non vorrei fare un museo di tutta questa attrezzatura che posseggo, perché un museo è …
È morto
Si da quel senso . Si vorrei fare un luogo vivo dove c’è una condivisione e dove suonano persone adatte alla situazione. Una situazione non da Hardcore punk, ma friendly musicale.
Un’ultima domanda che pongo a tutti gli intervistati. Arriva un’astronave e ci sono gli alieni. Devi spiegare cosa è fare il dj con la consolle e che cosa è la musica.
Intanto la musica è il suono dell’anima. Potrebbe essere un qualcosa legata all’anima e al sentimento.
Cosa gli faresti ascoltare?
Cosa farei ascoltare ad un alieno? Sicuramente un pezzo disco music suonato con l’orchestra. Così ci sarebbe anche molto da spiegare. E l’altra domanda?
Che cosa è fare il dj? E devi spiegargli anche che cosa è l’anima
L’anima è un qualcosa di interiore che non è palpabile, né si può vedere e né si può toccare. È un qualcosa che si ha dentro. È anche una forma di espressione. Mentre fare il dj per me è sempre stato un’emozione, un modo di esprimermi e perciò essendo figlio unico con la musica come grande compagna , riaffermo che la musica è un modo di esprimermi.
E all’alieno cosa gli fai capire? Lo porti dietro la consolle con te?
Si se vuole stare con me o altrimenti davanti alle casse buono ad ascoltare.