ENZO AVITABILE: UN CUSTODE DELLA CULTURA MUSICALE DEI POPOLI
Enzo Avitabile, musicista, compositore, docente e ricercatore è uno degli artisti della scena italiana internazionale tra i più apprezzati nel panorama della musica mondiale. Nato a Marianella , quartiere popolare di Napoli, nel 1955, ha attraversato non solo tutte le evoluzioni e sviluppi della musica mondiale, sia in campo storico che sociale, ma ne è diventato protagonista ben rispettato ed apprezzato da artisti come James Brown, Tina Turner, Pino Daniele, Tony Esposito, Afrika Bambaata, Mory Kante, e tantissime stelle del jazz. Enzo Avitabile sperimenta, ricerca, ed il teatro e il cinema lo corteggiano per la sue produzioni. Tanti i nomi e gli incontri della sua vita artistica, ma è la sua musica che parla per il suo operato, e come afferma l’artista è nel rapportarsi con i lavori di un artista che lo si omaggia e lo si apprezza e non nella narrazione biografica. Radio Alter on the Road Communications lo ha voluto intervistare proprio in veste di ricercatore, in relazione alla produzione di un suo libro relativo a “Ritmi del mondo, scale etniche e scale raramente praticate”, edito da Simeoli, un libro di rara bellezza per lo studio delle musiche degli altri popoli di altri continenti, una perla preziosa che non può mancare nelle librerie di un musicista e di un addetto ai lavori. Come afferma l’artista medesimo nella prefazione del proprio libro, “la custodia della cultura musicale dei popoli della terra è un segno di rispetto e di amore per la musica dell’umanità. L’unione dei linguaggi di entità e gruppi sociali diversi è l’affermazione dell’evoluzione delle singole identità e al contempo della musica stessa, perché è energia figlia del ritmo dell’universo e della vita che nel suo naturale dinamismo non si ferma mai. Musiche primitive e musiche sperimentali possono diventare materia di studio per un sistema metodologico che ricerchi “incroci” mai utilizzati.” (Enzo Avitabile).
Enzo Come è nato questo lavoro e libro: “Ritmi del mondo, scale ritmiche e scale raramente praticate”?
Ho cominciato dalle scala napoletana lavorando sulla scala maggiore di quarta aumentata. Poi mi son detto perché non fare una trasposizione semi tonale? Poi quando mi rendevo conto che quando ci sono questi tipi di scale di questa entità modale dei popoli della terra, ti trovi tre bemolli o quattro bemolli, e tre diesis, e ciò diventa illeggibile, quindi con il sistema enarmonico piano piano ho ricostruito ogni cosa, in modo che diventasse di facile lettura. Questa trasposizione semi tonale però enarmonica. In molte scale tu quando studi al conservatorio per esempio il metodo Apreta , ti dice che ci sono delle scale raramente praticate. Te le da come frontalino, però alla fine ti da solo quello schema e tu quando cambi tonalità non puoi utilizzarla. Lo stesso per i Maqam. Questo punto tutte le cose che non sono state trasposte. I Maqam arabi, ecc., questo qua non è un libro di insegnamento, è uno specchietto fondamentale. Perché ad esempio, se uno vuole andare a vedere una scala zingaresca, che trovi sul libro di teoria come indicazione, però non è sviluppata. Quindi tu la trovi, per esempio, senza alterazioni o con due alterazioni. Però che succede quando vai a finire al do diesis o al la bemolle? Che fine fa questa scala? Così con questo lavoro le hai in tutte le tonalità.
Tu utilizzi questo con i tuoi alunni al Conservatorio?
Ho fatto al Conservatorio di Santa Cecilia questo corso, ma questo anno dovrei farlo a Milano. Lo riutilizziamo perché solitamente diventa un entità modale che vogliamo scegliere. Quando tu ti trovi strumenti diversi , un suonatore di Oud, un suonatore di congas, un suonatore di suca, un suonatore di Ney, tu giustamente devi trovare diciamo la modulazione di base, devi decidere dove vuoi andare. Però poi ti puoi trovare un pianoforte, perché c’è una ragazza cinese che suona il pianoforte e tu non puoi tirarla fuori da una sorta di nuova musica d’insieme, se no diventa una discriminazione. Perché poi non esistono gli strumenti etnici. Perché de ascolti Béla Bartók le sue musiche appaiono essere più etniche di quelle di un gruppo etnico che dice di essere etnico. Poi magari con l’orchestra fai delle cose che sono più etniche di una formazione algerina perché questo tipo di discriminazione non c’è.
Chiaramente queste sono definizioni che si danno alla musica perché tu sai benissimo che le scale sono evoluzioni di altre scale. Però perché la scelta di questo tuo strumento di innovazione che tu apporti sia ai tuoi strumenti in scena e perché moduli la tua voce sulla pentatonica?
La pentatonica per me è fondamentale per la musica napoletana, perché la musica napoletana mai utilizzava cinque suoni. Diciamo che la pentatonica è più di cultura africana, di origine africana. Però nemmeno poi tanto. La pentatonica è quella scala che ha permesso a John Coltrane di utilizzare qualsiasi tipo di scala e di stare in un centro tonale e di fregarsene di tutte le modulazioni e rivolti e di tutte quelle cose che si suonavano. Ad esempio se tu studi il jazz di John Coltrane, in realtà non è che ogni accordo cambia la scala, perché se no diventerebbe un esercizio matematico, sicuramente ogni serie di accordi può cambiare magari una scala di partenza di base. Però tutto questo diventa relativo perché anche i suoni che tu definisci atonali diventano tonali nel momento in cui tu li senti e li suoni fortemente in una cosa che costruisci. Questa è tutta una questione di modus . Ad esempio, stasera il sopranino era un omaggio alla ciaramella, però stranamente il sopranino aveva un suono contemporaneo, che vuole anche essere antico, e che si sposa con un suono che è antico ma che vuole essere anche contemporaneo. Quindi si sono ritrovati in due in questo percorso.
Un ultima domanda. Questo omaggio che avete fatto a Pino Daniele dove viaggiavate su un bus per Napoli?
Io lo ho fatto alla sua poesia e alla sua parola. Alla parola e al suono. Alla sua parte poetica e a quello che è stata la sua forma espressiva e alle sue invenzioni. Tutta la parte storiografica non credo sia riportabile in un elemento emotivo. Quello va raccontato. Se io racconto Jonathan Demme racconto un incontro. Don Salvatore posso dedicarlo ma poi deve andare fuori dall’immaginario collettivo altrimenti diventerebbe un disastro. Se uno ascolta “terra mia” e pensa a me. Tony Esposito e James Senese, è un disastro. La testimonianza e un omaggio ad un artista lo si fa attraverso la musica.