CIP Sardegna: l’esperienza di Agitamus vista dagli psicologi nelle scuole del sud isolano
“In questo momento dove scuola, sport e tutto il resto sono bloccati, abbiamo pensato di stringere in un forte abbraccio tutti i nostri alunni e quelli che incontreremo”. Manolo Cattari, psicologo dello sport, ideatore e responsabile organizzativo del progetto Agitamus, oltre ad essere ligio al dovere perché se ne rimane chiuso in casa aspettando tempi migliori, non dimentica i protagonisti dell’iniziativa che ha conquistato tutta la Sardegna scolastica, grazie all’input economico voluto dalla Regione Sardegna. L’essere venuti a conoscenza del mondo paralimpico, addentrandosi nella vita quotidiana degli sportivi con disabilità, ha aperto nuovi scenari nelle percezioni dei discenti coinvolti. Ora si rendono conto che c’è molto da fare per assicurare una vita ancor più normale a chi trova molti ostacoli nell’esercizio dei loro sacrosanti diritti e il coinvolgimento delle amministrazioni comunali resta un passaggio fondamentale.
Approfittando della campagna sociale voluta dal ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, “Distanti ma uniti”, Manolo Cattari si è mostrato sui social con una foto particolare, invitando tutti i suoi conoscenti ad imitarlo. E tra le prime ad aver accettato l’invito figura la presidente del CIP Sardegna Cristina Sanna che non manca di incoraggiare e dare parole di conforto e allegria ad amici, conoscenti e sportivi in genere. E ovviamente gli psicologi che scalpitano per una nuova edizione di Agitamus e come loro le coordinatrici territoriali Oriana Pistidda (sud Sardegna) e Monica Pirina (nord Sardegna) supportate dalla segreteria CIP Sardegna, nella persona di Mariagrazia Madrigale.
“Ci mettiamo in prima linea – spiega Cattari in un post su Facebook – per ricordare come Agitamus ci ha insegnato a cercare la possibilità di cambiamento e crescita nei momenti più difficili”.
E dopo aver conosciuto le impressioni degli psicologi sulle scuole del nord Sardegna, ora è arrivato il turno per coloro che hanno investito forze e conoscenze con gli alunni del sud Sardegna. Anche per loro tre parole da commentare per Istituto comprensivo.
TESTIMONIANZE PREZIOSE DAGLI PSICOLOGI DEL SUD SARDEGNA
Claudia Tocco – IC Santu Lussurgiu
L’esperienza a Santu Lussurgiu è stata disarmante fin dal primo istante e sotto vari punti di vista. Il progetto Agitamus ha una struttura ragionata, come nella nostra professione ogni interrogativo, osservazione e attività, mira ad ottenere specifiche risposte e a centrare l’obiettivo con assoluta precisione. Quando questo non è accaduto come mi aspettavo sono entrata in un vortice di frustrazione e rabbia. Spinta da un “dacci dentro” che, modestamente, è di un certo livello, ho cercato con ogni sforzo di cavare almeno un ragno dal buco, e niente… neanche ci fosse un basilisco nelle tubature della scuola. È stato fondamentale scrollarmi di dosso il mio modello di Agitamus, quello perfetto, quello riconosciuto e condiviso. Niente di molto distante da quello che gli atleti rimandano e insegnano. Lo sforzo di arrivare a quell’obiettivo precostituito ha lasciato spazio in poco tempo alla consapevolezza del contesto, delle diversità di ciascuno e di gruppo, in un processo di accettazione che mi ha permesso di trovare canali alternativi di comunicazione e strategie che consentissero ai ragazzi di vivere il progetto totalmente, con le risorse a disposizione, e di piantare un semino di sensibilità e consapevolezza che non so se germoglierà ma so che è lì e mi basta. Rimodulare l’attività e gli obiettivi è stato fondamentale per sentirmi serena e soddisfatta anche quando alla lezione verticale i ragazzi mi informano di non aver fatto nulla e che forse non sapevano di dover fare qualcosa… ma “prof. se ci dà 10 minuti e qualche dritta ci organizziamo!”… il tutto nel delirio più totale. Mi sono sentita estremamente affaticata in tutto il percorso; un grande supporto l’ho ricevuto dai tecnici e gli atleti che mi hanno accompagnato quest’anno che hanno mostrato una sensibilità e competenze relazionali straordinarie nel cogliere la complessità della situazione e soprattutto nel sintonizzarsi totalmente con me e con la mia impostazione del lavoro.
Chiara Anziani – IC Ollastra Simaxis
Intimo: perché ogni atleta che è stato ospite, ogni bambino, ogni insegnante, persino, ha raccontato un pezzetto di sé e della sua storia di vita, ha condiviso emozioni e lasciato che tutti potessimo ascoltarlo. Perché i bimbi di quella quarta avevano/hanno proprio bisogno di raccontare le loro esperienze anche se non sanno bene come fare e magari aspettano la ricreazione per raccontarti i loro segreti.
Accessibile: avendo avuto quattro disabilità presenti nelle classi più una bimba con il gesso per tutto il progetto posso dire che Agitamus è davvero accessibile a tutti e non potrebbe essere altrimenti. Nessuno ha saltato nemmeno un gioco o un esercizio e persino la ragazzina più silenziosa con ritardo cognitivo nel cerchio finale della verticale è quella che ha voluto inaspettatamente parlare per prima e raccontare il suo Agitamus, dopo un mese di silenzio.
Movimentato: sempre e comunque, ma non in senso negativo. Mi vengono in mente i ragazzini che durante la lezione di tennis tavolo rincorrevano le palline per la palestra capitanati dalla ragazzina in sedia a rotelle che impennava per arrivare prima. I bambini che passavano in mezzo al campo di tiro a volo eccitati. È come se fossero riusciti a liberare tutta la loro energia che mischiata all’entusiasmo dava luogo a un movimento continuo e potente.
Marianna Melis – IC Mogoro/Uras
Cura: cura dei legami e legami che curano. Ho in mente il bisogno di attenzioni e di considerazioni espresso da ciascun bambino in modi differenti, soprattutto alla primaria. Penso alla cura e al tempo necessari nel costruire un gruppo in cui ciascuno possa sentirsi partecipe. Non isolati, non protagonisti ma tutti uniti, legati gli uni agli altri per farsi da sostegno reciproco.
Ascolto: spesso difficile da praticare, in primis da parte mia, senza confondere il caos con l’urgenza di un bisogno espresso che non poteva proprio attendere. Abbiamo lavorato sulla capacità di contenersi per ascoltare un compagno e sulla capacità di ascoltarsi dentro per discernere quanto invece era importante farsi avanti e partecipare.
Energia: Tanta, tanta da incanalare, tanta da comprendere. Ho apprezzato quando in alcuni ragazzi l’energia ha preso forma durante la lezione verticale, è diventata sicurezza, capacità di gestire e coinvolgere il gruppo e i bambini più vivaci.
Sono convinta che Agitamus, per Uras, sia stato un punto di inizio di un discorso che col tempo potrà trovare nuove prospettive e nuovi adattamenti, come nella storia del Girasole diunpoquaunpolà, per stare insieme in un modo che accolga i bisogni di tutti.
Roberta Manca – IC Oristano
Timore e diffidenza: che vedevo negli sguardi dei ragazzi quando in principio li invitavo a raccontarsi, a esporsi davanti alla classe. Timore di essere giudicati per le loro diversità. Timore anche da parte degli insegnanti, che i loro ragazzi non fossero abbastanza all’altezza del “compito”, e che quindi anche loro venissero giudicati.
Fiducia, dei ragazzi verso di me, dei ragazzi verso il progetto, che è cresciuta lentamente, che ho avuto paura non arrivasse. Ma poi è arrivata.
Soddisfazione finale: dei ragazzi, per avere creato un qualcosa di unico che gli è stato riconosciuto. Soddisfazione degli insegnanti, che hanno visto il processo di cambiamento vissuto dai ragazzi. E soddisfazione mia, che ho avuto fiducia in Agitamus, e che ho sentito i partecipanti, grandi e piccoli, riconoscere il potere di questo progetto.
Carla Ximenes – IC Nurri
Le mie tre parole per Nurri, sono state difficili da trovare. Quando sono arrivata al primo incontro la sensazione era di diffidenza: bambin* e ragazz* molto chiusi, che faticavano a stare in relazione con un adulto in modo aperto! Questa sensazione di fatica l’ho portata con me tutto il progetto, fatica di catturare la loro attenzione, di stabilire un dialogo a due, di sentire le loro parole e soprattutto mi porto via la poca partecipazione degli adulti (insegnanti) coinvolti, soprattutto alle medie dove la sensazione era che i ragazzi fossero mollati, ostruendo la coesione tra i due mondi. Durante i nostri incontri in ogni caso ho visto il cambiamento dei bambin* e ragazz* e della lezione verticale mi porto via il fatto che, seppure soli, i grandi hanno organizzato la lezione, hanno giocato con i piccoli senza liti e rispettando i ruoli di ciascuno. Porto con me i loro saluti quando sono andata via, il loro chiamarmi per nome e il mio riconoscere quei sorrisi autentici e sinceri, che mi danno la speranza di un semino piantato nella terra.
Marianna Melis – IC Tuveri Sanna Randaccio – Cagliari
Sin dalla prima tappa di Agitamus a Cagliari mi sono trovata di fronte al divario evolutivo pensato dal progetto stesso: le peculiarità della 5° elementare e della 3° media avevano quasi tutte le caratteristiche prototipiche delle due differenti fasce d’età. In 5° elementare bambini curiosi, attenti, vivaci e partecipi e la “sfida” della 3° media… In adolescenza la fase di sviluppo psicosociale (Erik Erikson: qui riassunto brevemente https://lamenteemeravigliosa.it/le-fasi-dello-sviluppo-psicosociale/) in cui i ragazzi sono impegnati è quella dello sviluppo della propria identità adulta. Quando si costruisce l’identità si inizia a capire “chi sono io”, “cosa è mio”, “cosa mi piace” e “cosa è dell’altro” come misura di paragone con cui l’adolescente si può incontrare o scontrare, riconoscere o distinguere. L’altro a cui assomigliare, spesso, è un coetaneo, qualcuno che sento vicino; l’altro da cui distinguersi è tipicamente una figura adulta: genitore, insegnante, allenatore. Tutti loro sembrano sapere tutto, ti dicono cosa “devi” fare e come “devi” essere… lo spazio per sperimentare sembra diventare sempre più stretto.
La prima parola che scelgo, dunque, per raccontare la mia esperienza al Tuveri-Randaccio di Cagliari è Sfida. Quando la prima volta sono entrata in classe in veste di psicologa, entusiasta per presentare ai bambini e ai ragazzi Agitamus sono stata accolta con le modalità tipiche per l’età dei due gruppi. Mentre in 5° i bambini mi hanno ospitato calorosamente, inondato di domande e curiosità. Per i ragazzi ho rappresentato “il nuovo adulto”. Sono stata subito messa alla prova per capire se potevo essere prototipo rappresentante di “uno” affidabile, se il progetto proposto sarebbe stato interessante e in ogni caso, per quanto potesse essere straordinario, se come alunno volessi accettarlo! Dopo un primo momento di smarrimento da parte mia e di confronto con coordinatori e referenti del progetto, sono diventata consapevole di questo processo, delle difficoltà che in adolescenza, talvolta, sembrano muri e così ho deciso di starci, accettare la sfida: essere un adulto che non ti molla se non sei esattamente come ti avevo chiesto di essere.
Da qui la possibilità di un “nuovo inizio”. Siamo ripartiti, ci siamo di nuovo o – finalmente – guardati, ascoltati, sentiti, riconosciuti. Questo ha consentito anche la prosecuzione del progetto immaginando la fase successiva dove i ragazzi e i bambini stessi sarebbero stati i protagonisti prima con gli atleti e poi tra loro in modo protettivo ma anche libero e spontaneo.
Nella mia mente appare luminosa la parola riparazione. Questo riconoscimento reciproco nella relazione ha permesso un coinvolgimento finale, come in pochi casi ho potuto vedere, dove la figura dell’adulto è rimasta davvero sullo sfondo mentre i bambini si divertivano e i ragazzi sono stati delle guide affidabili, divertenti e trascinanti con cui confrontarsi.
Così, anche se oramai mi sento quasi una veterana del progetto, anche questa volta Agitamus è stato capace di regalarmi una nuova esperienza e ancora una volta un cambio di prospettive: la fiducia, anche quella che pensiamo debba essere scontata, a scuola, non lo è sempre, la relazione va costruita. I bambini e i ragazzi sono capaci di grandi cambiamenti anche quando sembra non ci siano spazi, la fiducia in questo, quella sì, la voglio conservare!
Consuelo Pilia – IC Decimomannu
Illuminante: grazie al Progetto Agitamus ho avuto la possibilità di conoscere il Cip e ciò che di bello gira intorno al mondo paralimpico: atleti coraggiosi e tenaci, tecnici preparati e molto sensibili e tanta, tanta voglia di fare. Personalmente un grande insegnamento.
Coinvolgente: ho avuto la fortuna di avere soprattutto la primaria molto curiosa e stimolante. I ragazzi della secondaria sono stati un po’ più lenti e hanno iniziato a carburare e a sentirsi dentro il progetto al modulo motorio, per essere sorprendenti poi alla verticale.
Attenzione: è stato incredibile come l’esperienza del progetto Agitamus mi abbia sensibilizzato verso l’accessibilità in generale. Ciò che mi ha colpito è stato che, già dai primi incontri, ho iniziato per esempio a camminare per strada nel mio paese con un’attenzione diversa, pensando all’altro con occhi nuovi e differenti.
Credo e mi auguro che l’impatto dell’esperienza che ha avuto su di me sia stata vissuta altrettanto dai bambini e dai ragazzi.
Roberta Manca – IC Serramanna
Calore: che ho sentito alle elementari appena sono entrata in quella classe. Le maestre mi hanno fatto sentire a casa, e mi hanno supportato nell’accompagnare i bambini in un percorso nuovo e delicato.
Curiosità e delicatezza: dei bambini e dei ragazzi verso gli atleti, che si sono raccontati intimamente, sentendosi accolti e ascoltati, e che hanno accompagnato gli studenti e i docenti in un percorso di empatia e scoperta di sè e delle proprie e altrui diversità.
Colpire ed entrare: che è quello fatto da Agitamus, riuscendo ad insinuarsi nella quotidianità di tutti, degli insegnanti, dei bambini e ragazzi, delle famiglie, e mia. Perché vivere un’esperienza così da vicino porta a non poter più ignorare.
Claudia Tocco – IC Sestu
L’esperienza a Sestu è stata sicuramente rumorosa, faticosa da reggere e da gestire in alcuni momenti, non solo per me ma anche per gli atleti che mi hanno accompagnato (escluso il pongista romeno Daniel Maris, ma lui ha raggiunto un livello Zen e non fa testo).
Ho sentito una fortissima energia carica di entusiasmo, di curiosità, del bisogno di esprimere la propria opinione, del bisogno di parlare di sé, di essere ascoltati, di essere visti e riconosciuti, di muoversi e divertirsi. In alcuni momenti è stato difficile contenere e canalizzare l’esuberanza soprattutto dei ragazzi delle medie. Anche in questo caso è stato fondamentale reinventarsi, utilizzare strumenti e strategie a volte provocanti e paradossali che mi hanno permesso di attirare l’attenzione dei ragazzi e indirizzare la loro vivacità nei contenuti trattati. E’ stato per me un piacere e un grande divertimento vedere questa energia trasformarsi in impegno e partecipazione, responsabilità e cura nei confronti dell’altro, sensibilità e attenzione alle specifiche difficoltà, in una lezione verticale sicuramente caotica e chiassosa ma molto ricca.
Carla Ximenes – IC Villacidro
Le parole per Villacidro sono tante e tutte hanno una matrice comune, che corrisponde alla mia prima parola accoglienza. Da parte di insegnanti, bambin* e ragazz*.
Al mio arrivo sia i piccoli, sia i grandi erano in cerchio, avevano riflettuto sull’incontro precedente. La seconda parola è curiosità, perché le domande affiorate dagli incontri sono state molteplici: pensieri profondi che mi regalavano squarci di un mondo variopinto. E infine mi porto via la partecipazione e l’impegno di tutti nei loro modi e nei loro tempi, anche in quelli più lenti degli adolescenti timidi e vergognosi che piano piano si sono aperti ottenendo la possibilità di chiedere e dire.
Marianna Melis – IC Abbasanta
Trovare le parole per Abbasanta è stato molto difficile, sceglierne solo tre quasi impossibile perchè in testa ne ho molte di più, tante almeno quanti sono stati gli studenti che ho incontrato. La prima immagine che ho sono gli occhi dei bambini e dei ragazzi, mi ha colpito incontrare i loro sguardi attenti, vivaci e incuriositi. Bambini capaci di guardarsi con rispetto e stare insieme, sguardi che comunicano anche a me accoglienza e voglia di partecipare.
Per arrivare ad Abbasanta ho attraversato un bel pezzo di Sardegna e quello che portavo via con me sulla via del ritorno era una sensazione di vicinanza e unione: strano dopo tutti quei km, eppure grazie alla simpatia e sensibilità dei ragazzi il distante si faceva vicino.
Son rientrata spesso a casa col sorriso, grata per i momenti preziosi vissuti: amicizia, abbracci, lacrime, commozione, rispetto e spazio per poter ascoltare uno dei messaggi più belli di Agitamus: “Ho imparato ad accettarmi, ora sono contenta di me, non cambierei mai il mio fisico”.
Roberta Manca – IC San Gavino
Tempo: mi sono accorta che Agitamus è un progetto che richiede tempo. Tempo che è servito a me per entrare nel progetto, sentirlo mio, starci comoda, e poter così accompagnare i bambini e i ragazzi nella bellezza di questo viaggio insieme. Tempo che è servito agli atleti per sentirsi a proprio agio, adattarsi alle classi e raccontarsi intimamente. Ma soprattutto tempo utile ai ragazzi, in particolare i più grandi, che hanno iniziato in silenzio, quasi spaesati, come se stessero osservando e incamerando ogni singolo stimolo arrivato da me e dagli stupendi atleti aderenti all’iniziativa. Hanno avuto bisogno di tempo per abituarsi a guardarsi da una prospettiva nuova, quella in cerchio, a cui non sono abituati, e che li porta a sentirsi più esposti e indifesi rispetto all’avere un banco davanti che li protegge. Hanno avuto bisogno di tempo per fidarsi di noi e dei compagni, per arrivare finalmente ad esporsi in modo intimo e autentico.
Responsabilità: è ciò che ha prodotto questo progetto. Quando conosci da vicino gli atleti come Mattia, ipovedente, 20 anni, che ti racconta con un’umiltà e una dolcezza disarmante la passione che ci mette per fare sport e riempire la sua vita al massimo, e anche la fatica che fa in questo sforzo quotidiano, dovuta a barriere fisiche e non, non puoi che iniziare a sentirti responsabile per lui, e per chiunque abbia una diversità, e che, con essa, abbia diritto a stare bene, come tutti. E cosi che ci siamo sentiti, io, i bambini, i ragazzi e gli insegnanti, ascoltando curiosi e spiazzati dalla forza di questi atleti: responsabili per loro.
Potenza: questa presa di responsabilità è venuta fuori chiara nell’incontro verticale, in cui i più grandi trasmettono ai più piccoli cosa hanno imparato con Agitamus. Ed è qui che il progetto viene fuori in tutta la sua potenza. Bambini e ragazzi che per tutto il progetto non avevano detto una parola si sono esposti, davanti ad alte 50 persone, e hanno detto cosa pensavano sul cosa non rende accessibile la vita a chi ha una disabilità, e insieme hanno pensato a soluzioni possibili. Per me è stato un momento forte e mi ha confermato quanto i bambini, se stimolati, se ascoltati, se riconosciuti nelle loro capacità, possano esprimersi in modo libero e creativo e sorprendere.