Carnevale barbaricino e il suo significato!
Già da due weekend piazze e vide dei paesi della Sardegna cominciano ad essere affollate dalle sfilate delle maschere del carnevale, feste e eventi che si apprestano ad entrare nel vivo con il giovedì grasso.
Abbiamo tratto questo breve scritto dal blog: http://sardegnainblog.it/ di Daniele Puddu che ha chiesto ad una grande amica del suo blog, la studiosa Simonetta Delussu, di scriverci un’introduzione al Carrasecare Barbaricino, che ci aiuti a comprendere al meglio le atmosfere arcaiche delle nostre antiche maschere e tradizioni, questo è il risultato, buona lettura!
Il carnevale, una festa nella quale i ruoli si invertono, tutto ciò che è dritto diventa storto, si vive la realtà capovolta e – per un periodo – ognuno può fingere d’essere un altro e indossare non solo metaforicamente una maschera attraverso la quale vedere la realtà allo specchio. Carri carnascialeschi all’ insegna del vino, del cibo e di atmosfere orgiastiche, aspettando la fine dei bagordi per entrare nella quaresima.
Vi parlo oggi di un carnevale che nasce alle origini del tempo e che voleva raccontare la morte delle messi e l’uccisione dello spirito della notte, un carnevale tragico e imperniato sul lutto e sul culto di Dionisio che rappresenta la morte e la rinascita della natura. Vi racconto del carnevale che viene vissuto in un isola antica e misteriosa che ha tra le altre cose il potere, spesso, di fermare il tempo e le stelle. Oggi vi parlo della mia terra e di quando la Sardegna non conosceva romani o greci, di quando si propiziava il tempo e le stagioni aspettando che tutto rinascesse. E non vi parlo di nessuna maschera in particolare, riproponendomi di farlo più avanti, ma degli elementi che le caratterizzano: i campanacci, le pelli i passi l’eterna lotta tra gli uomini e gli animali, tra l’uomo e la natura, tra la morte e la rinascita.
I ricordi paurosi di quando ero piccola: i Mamuthones, la bambola smembrata portata in processione su una culla che potrebbe ricordarci il nome stesso del carnevale sardo carrasecare (carne da tagliare, o meglio smembrare) o anche il rito di iniziazione di morte e rinascita che subivano gli sciamani, la Filonzana claudicante e poi il ricordo del fantoccio altissimo, chiamato carnevale, che alla fine della festa veniva impiccato e bruciato. Ancora una volta la morte e rinascita del Dio.
I passi cadenzati e claudicanti erano tipici delle feste dionisiache ma rappresentano anche il ritorno dagli inferi di chi ha la funzione di psicopompo. Il fatto che quasi tutte le maschere siano claudicanti e che alcune (a Lula ad esempio) abbiano sopra una pelle capovolta, fa sì che si venga riportati al mondo capovolto dei morti. Le pelli capovolte (o un capo di abito capovolto) venivano infatti usate affinché lo spirito maligno si confondesse e pensasse di essere nell’aldilà, nell’altro mondo, affinché pensasse che noi fossimo gli spiriti e si allontanasse confuso, se non impaurito. Anche l’uso dei campanacci – un tempo remoto si usavano direttamente le ossa – , ci riporta alla mente lo smembramento, mentre le urla finalmente libere di esprimersi non avevano altra funzione che di scacciare gli spiriti del male. Mio nonno, classe 1893, nelle mie paura di bambina diceva che i mamuthones si muovevano così perché dovevano scacciare gli spiriti dell’inverno, le forze del male.
La maschera poi – sempre rappresentazione di Dionisio nelle sue varie manifestazioni – fa si che l’uomo diventi animale, inscenando l’eterna lotta tra questi, in un rito agrario antichissimo sicuramente abbinato anche ai riti di fecondità. Si dovrebbe parlare, a questo punto, di tutte le maschere sarde, uniche e affascinanti nella loro brutalità, infatti la Barbagia ci offre una varietà di manifestazioni che veramente è difficile fare una scelta di preferenza. Le maschere barbaricine vedono pelli e teschi di buoi, caproni, mufloni, cinghiali cavalli, esseri antropomorfi e zoomorfi, fuligine a imbrattare il volto, lenzuola, campanacci. Sono maschere che cantano la vincita dell’uomo sulla bestia, la vincita della luce sulle tenebre. Perché quando si viveva a stretto contatto con la terra e se ne rispettavano i cicli e le stagioni inchinandosi davanti alla dea madre e alla fertilità, tutto era vita e movimento, tutto era evoluzione e divenire.Le prime manifestazione del carnevale vengono fatte risalire a 4000 anni fa, ma penso che il carnevale barbaricino sia ancora piùantico. La conclusione è spesso tragica e il rogo segna il passaggio dalla morte alla vita, dall’inverno alla primavera. La risata immobile dei volti finti, i rumori, il battere a scacciare gli spiriti del male ed esorcizzare così la morte. E allora se avete tempo e un pizzico di buonumore andate a vederle, rivivete la morte e rinascita del dio smembrato, la speranza di pioggia e raccolti, la cacciata degli spiriti maligni perché nessun video sostituirà l’emozione di penetrare nel cuore della Barbagia ad assistere all’eterna e propiziatoria lotta del bene contro il male. Tornerete a casa sicuramente più ricchi e carichi di un emozione che, vi assicuro, non scorderete più.
Simonetta Delussu Tratto da :http://sardegnainblog.it/
Redazione Medasa .