ANDREA ADRILLO L’ARTISTA COSTRUTTORE DI PONTI
Andrea Andrillo con il suo bellissimo lavoro discografico, “Prolagus”, per l’Edizione Abbà, è un libro cd che porta alla riflessione linguistica e alla dignità che ogni cultura merita di essere osservata. Dialogare con l’artista ci porta alla riflessione contemporanea dell’unicità di ogni lingua e cultura del pianeta
Quando è stato il tuo primo incontro con la musica?
Fin da bambino quando giocavo con i 45 giri. Avevo un vecchio giradischi, di quelli con la radio. In questi 45 giri c’era di tutto, “cha cha con la segreteria”, Celentano, ecc. In seguito da adolescente quindicenne mi sono dedicato all’ Heavy Metal. Ma ciò non funzionò perché mi sono anche rovinato la voce. A diciannove anni ho dovuto prendere lezioni di canto per rieducarla, includendo anche il canto classico, e da quel momento in poi è proseguito il mio percorso esperienziale nel mondo della musica.
La voce anche se si canta rock va sempre curata
Assolutamente si. Sono un cantante classico, ormai adesso ho una tecnica da cantante classico, anche se poi l’ho alleggerita per le mie performance.
Andrea Andrillo è un nome d’arte. Perché la scelta di questo nominativo?
Dopo una pausa del mio percorso nel 2013, ho sentito la necessità di iniziare con un nome diverso. Posto che un collega di lavoro mi aveva dato questo nomignolo, che sembra ridicolo, l’ho confermato. Io iniziai prima come dj in una radio web e poi ho proseguito come musicista. Proprio nel 2013 ho fatto il primo video come Andrillo, dopo che per un periodo avevo pensato di lasciare la mia musica e sostenere invece quella altrui. È così che è nato Andrillo. https://youtu.be/CHFGqmiBebl
Significa un qualcosa questo nominativo?
No. Ho scoperto che è un cognome perché ho un amico su Facebook, che vive con tutta la sua famiglia in Brasile, gli Andrillo, ma io non sono mai riuscito a spiegargli che non siamo parenti perché all’epoca non siamo riusciti a capirci. Così negli anni lui è rimasto l’Andrillo originale mentre io quello artistico, un cugino lontano acquisito.
Oggi canti e componi in sardo e spagnolo. Perché questo amore verso queste lingue?
Iniziai a scrivere tempo fa canzoni in inglese perché faccio parte di quella generazione che ha iniziato con il rock e il rock si cantava in inglese. Poi verso i trentacinque anni, in una delle mie reincarnazioni, nel senso che morivo e ritornavo a vivere musicalmente, ho sentito il bisogno di riagganciarmi al territorio. Così ho iniziato a far incontrare il sardo con l’inglese. Era l’inizio di Andrillo. Poi ho incontrato Vincenzo Pisanu. Ho messo in musica alcune sue poesie. https://youtu.be/WU1igRbGEng . Vincenzo Pisanu è uno dei nostri massimi poeti campidanesi. Lui è di Uras e vive oggi ad Assemini. Ha vinto molti premi poetici e mi ha fatto molto onore il permettermi di musicare alcune sue poesie.
Ti piace la poesia?
Si, molto. Io sono laureato in lingue e letterature straniere e perciò le letterature mi piacciono alquanto. Così è nata questa auto consapevolezza, e come diceva Tolstoj se vuoi parlare del mondo devi parlare di casa tua. Io sto sintetizzando questo mio percorso, ma ti assicuro che è durato anni per poi giungere ad Andrea Andrillo. Diciamo un percorso che è durato una ventina d’anni senza scordare le sofferenze esistenziali che fanno parte della vita.
La sofferenza incide nell’arte? Dicono che per fare arte bisogna anche soffrire?
Credo che per vivere bisogna imparare soprattutto a non sprecare la sofferenza. Poi l’arte è un prolungamento della vita e la comprende e comprende altro. Penso inoltre che se uno soffre e non impara, poiché soffriamo tutti, e non si impara ad essere solidale e solidali con gli altri che stanno intorno, e soffrono allo stesso modo, credo che si stia sprecando la sua sofferenza. Ciò insegna che esiste un legame tra te e gli altri, e più che la gioia è la sofferenza perché la gioia inganna, mentre la sofferenza mai. Tramite la sofferenza si può capire l’altro, diventare empatici e migliorarsi e creare una certa umiltà. Ciò non significa che mi piaccia soffrire, però dobbiamo affermare che va messo tutto a frutto. È un destino ineluttabile per tutti noi.
In alcuni tuoi video hai collaborato con il regista Giovanni Coda. Come è nata questa collaborazione ed esperienza?
Ho lavorato con Arnaldo Pontis dei Machina Amniotica, Magnetica Ars Lab, https://youtu.be/tzzDLbpMjf4, e posto che Arnaldo compone le colonne sonore dei film di Giovanni Coda, mi è stato chiesto di collaborare per delle composizione musicali e visive loro, una delle quali è stata per “Javier” che è stato trasmesso in tutto il mondo.
Hai scritto una composizione per la Fondazione Maria Carta . Cosa ti ispira questa grande artista?
Maria Carta è stata una grande artista. Io da bambino ho avuto la fortuna di vederla dal vivo in un concerto avvolta in uno scialle bianco bellissimo e lei bravissima. Mia madre nei primissimi settanta aveva in casa il disco “Paradiso in re” il doppio album che lei ha fatto per la RCA con l’introduzione di Ennio Morricone, dato che lei lavorava sulla colonna sonora di Mosè di Morricone. Perciò io l’ho conosciuta così proprio da bambino. Sul momento quando sei piccolo non hai coscienza di quanto fosse grande questa artista, ma mi piaceva ascoltarla. Quando sono andato a New York nel 1994, durante la mia prima serata nella metropoli, sono entrato in una chiesa enorme americana e c’era lì una targa che diceva che Maria Carta aveva cantato in quella chiesa. In quel momento mi emozionai fino a piangere tanta fu la commozione.
Si cantò nella cattedrale di St. Patrick a New York situata nella 5th Avenue
Si c’era una scritta che diceva Maria Carta è stata qui ha cantato, ecc. Che emozione. Ero felicissimo. Questo un mio caro ricordo.
Pensi che questo sia un segno?
Ma chi lo sa! Quando la Fondazione Maria Carta mi ha invitato a suonare a Siligo per me è stato un onore grandissimo. Sono molto riconoscente alla Fondazione per quando mi invita a cantare e suonare per gli eventi promossi dall’organizzazione.
Non pensi che niente capita a caso?
Non so, ma mi piace pensare che tutti i sacrifici che uno fa nella vita nel percorrere una certa strada portino un po’ di saggezza e contatti con persone con le quali condividere qualcosa di bello. Alla mia età non ho più quella ambizione di avere un successo materiale. Per me il successo è stare bene con me stesso. Stare bene con gli altri e con sé stessi questo è il successo più grande. Lo scopo di suonare per vedere quello che creiamo, fare canzoni, ha il fine di stabilire dei ponti, creare dei messaggi che siano condivisi. Come artista mi reputo migliore che come persona. Come persona tendo a buttar giù certa gente dai ponti, invece come artista creo i ponti. Vivo questa dicotomia. L’essere artista invece mi permette di entrare in contatto e in comunione con tutti. Dove posso o dove non posso io vado avanti.
Quel brano che canti in spagnolo come è nato?
Devo fare prima una premessa. La premessa è quella di usare il sardo come lingua. È un discorso politico. Il sardo è una lingua in estinzione, ma io la uso come lingua viva tra altre lingue vive. Nel mio disco “Prolagus” ci sono delle piccole intromissioni dell’inglese con il sardo. Questo mio lavoro è stato onorato vincendo il Premio Cervo. Il brano che ho scritto in spagnolo, “Y ser como el mar”, per uno spettacolo teatrale è stato poi annoverato nel cd. La chitarra in quel brano inoltre è di un grandissimo cantautore, Giacomo Deiana, che meriterebbe una ribalta di spessore. In questo testo che ho scritto, esprimo che “ se tu prendi a schiaffi il mare si può solo increspare la superficie, e io vorrei essere come il mare in modo che tutto il male che tu vuoi farmi andasse in superficie e non al cuore”. Questo il senso della canzone.
Hai accennato delle lingue vive e lingue morte
Si lingue maggioritarie e minoritarie. Questo è il motivo per il quale sto creando attualmente artisticamente. Scrivono gli studiosi di culture egemoni e culture subalterne, lingue maggioritarie e lingue minoritarie. Perciò è come se da un giorno all’altro si affermasse che noi come sardi siamo subalterni e minoritari. Non ci penso neanche. Perciò rivendico il mio diritto di esistere fra le genti del mondo per me e per la mia gente stessa, e lo faccio così come lo so fare, con delle canzoni che potrebbero essere cantate in qualunque lingua, e guarda caso le ho cantate in sardo. E che hanno un livello di scrittura di realizzazione, sia per la qualità dei musicisti coinvolti, come Silvano Lobina, che è il mio arrangiatore e bassista, un musicista straordinario, sia per tutto l’insieme. La qualità è alquanto alta e il merito va al mio arrangiatore, Silvano Lobina, e al mio produttore, Michele Palmas.
Perché per questo tuo lavoro hai scelto il nome “Prolagus”?
Prolagus, una specie di coniglietto, è un cugino lontano delle lepri e dei conigli che si è estinto in Sardegna. Perché Prolagus? Perché non voglio essere come lui. Non voglio estinguermi. E quindi per mantenere viva la mia cultura, la mia anima di isolano e di sardo, ritorno alla lingua e a “su connottu”, alla lingua dei padri, a quella lingua che ci hanno insegnato a disprezzare, perché è una vergogna parlare in sardo, perché non serve, ecc. Il fatto negativo è che anche ai miei figli a scuola hanno trasmesso questo messaggio. Mio figlio ha difficoltà a parlare in sardo perché quando dialogo con lui mi afferma che il sardo non serve a niente. Non hanno ancora incominciato quella scoperta di sé, che io ho invece scoperto qualche hanno fa, e che è la tua unicità. L’unicità è quel qualcosa che fa la differenza.
C’è un tuo sogno?
Mi viene in mente a questa domanda ora il nonno di Heidi. Il mio sogno, dopo tutto quello che è successo in questi ultimi anni, è quello di sciogliere i nodi, di diventare “leggero” e giungere sereno alla vecchiaia che è dietro l’angolo. Perciò il mio grande sogno è quello di serenità, di meritare di essere sereno, di capirmi e capire meglio gli altri. Andrillo mi ha aiutato molto, perché come artista creo ponti e ciò mi ha aiutato a rendere più inclusivo il carattere di Andrea, che rispetto al mio è più spigoloso. Come artista si è portati ad aprire porte e sciogliere i nodi, comunicare con le persone e accorgersi che si può dialogare con l’altro che è estremamente diverso da te, sia a livello emotivo che epidermico. L’artista comunica senza tante parole o a volte senza neanche una parola. Sogno di imparare ad essere sereno.
Arrivano gli extraterrestri. Come comunicheresti con loro?
Gli extraterrestri!!! Intanto gli chiederei se sono qui per errore o cosa non hanno capito della situazione. Gli chiederei: Ma perché siete qui? Avete sbagliato strada? Guardate che qui sulla c’è un casino! Che siete venuti a fare? Se siete venuti qui come turisti, ok! Ma se siete venuti come viaggiatori, attrezzatevi perché non è la situazione più semplice. Già è difficile per noi, figurati per un extraterrestre! Non è proprio esattamente semplice!