ALBERTO SANNA IL MENESTRELLO KALARITANO
Alberto Sanna artista, musicista e cantautore tra i più poliedrici in Sardegna appare sulle scene sarde con il libro CD Kalaritana, edizioni Abbà, un insieme di racconti scritti da Francesco Abate, Michele Atzori, Giuseppe Boy, Michele Pio Ledda, Emanuele Pilloni e Gianni Zanata, che narrano una Sardegna musicale degli anni settanta, ottanta e novanta fino a giungere ai giorni nostri. Il CD, a cura della S’ARD Music, che accompagna il libro, vede Alberto Sanna duettare con Giuseppe Boy, Marco Argiolas, Luca Lanzi, Piero Marras, Jono Manson, Francesco Moneti, Andrea Andrillo, Paolo Bonfanti, Pierpaolo Vacca, Claudio Corona, Davide Sanna, Vittorio Pitzalis e Silvano Lobina.
Il tuo primo incontro con la musica?
A parte del primo incontro con la musica in modo passivo, cioè che quando sei bambino ascolti il festival di Sanremo e le serate passate a casa ad ascoltare i programmi musicali, il mio primo incontro con la musica operativo è stato verso i dodici anni. Frequentavo le scuole medie e sono stato influenzato da un amico, Alessandro, che suonava la chitarra e l’armonica. Portava capelli lisci lunghi e biondi ed era il mito della classe. Quindi per emulazione ho incominciato a rubare i primi elementi musicali proprio a lui.
Allora è vero che i chitarristi cercano di conquistare le ragazze?
No, penso che gli uomini cercano di conquistare le ragazze. I chitarristi suonano anche la chitarra.
Quali sono state le tue influenze importanti? Ti ho sentito spesso suonare i Clash
I Clash sono l’ultima grande sbornia rock che ho preso nella vita perché ero già grande. Circa trent’anni. Poi ho anche fatto in seguito un tributo dal 2003 in poi. Però la mia musica è fatta un cinquanta per cento di rock and roll e blues e musica anglo americana, cioè di influenza anglo americana, e l’altro cinquanta per cento di influenza dei cantautori italiani degli anni settanta. I primi, gli americani, mi hanno influenzato per la musica. I secondi mi hanno mostrato il percorso di come era possibile raccontare le proprie storie e dire il proprio parere con le canzoni.
In Kalaritana parli e canti di questa Cagliari vissuta negli anni settanta. Ma negli anni settanta sono stati anche abbastanza duri e politicizzati. Come li hai vissuti quegli anni? Parliamo degli anni di piombo
Penso di averli vissuti, e questo è un giudizio che do a me stesso a posteriori, abbastanza incoscientemente. Suonavo. I miei amici suonavano, e giocavo a pallone. Ero abbastanza spensierato. Ero tendenzialmente di sinistra, ma è una lettura che riesco a dare a posteriori, nel senso che non ero iscritto a nessun partito. I miei anni settanta vanno dai miei dodici anni ai miei ventidue.
Nel disco che accompagna il libro ci sono due canzoni molto importanti e profonde che riguardano Istrales di Piero Marras con contenuti alquanto importanti, e l’altra è dedicata alla Moby Prince. C’è una tua presa di posizione sui temi sociali e civili dell’isola?
C’è sempre stato. Anche negli ascolti. I miei cantautori sono Francesco Guccini, De Gregori, Edoardo Bennato, chi più rock and roll o chi meno rock and roll tutti di protesta. Perciò per me scrivere canzoni è stato inizialmente protestare e poi mano a mano esprimere anche sentimenti positivi e che poi ti fanno soffrire di più come l’amore. Per ciò che riguarda la Moby Prince è stata un’esperienza che ho fatto grazie a Gianluca Medas, un regista sardo, che mi ha coinvolto in un suo spettacolo storico, nel senso che erano una serie di spettacoli che raccontavano fatti di cronaca nei quali era coinvolta la Sardegna. Quella a cui ho partecipato io nel ruolo di curatore delle musiche era dedicato alla vicenda del Moby Prince che io ho conosciuto così. Da lì mi sono documentato. In teoria dovevo semplicemente scegliere delle musiche già esistenti per commentare musicalmente l’evoluzione dello spettacolo. Però mi è venuto spontaneo provare a scrivere la storia, scrivere una canzone sulla vicenda della Moby Prince. È stata un’esperienza fondamentale in questa mia ultima parte di carriera, perché mi ha mostrato come potessi scrivere di me e di cosa succedeva fuori di me. Mi ha ampliato la quantità di materiale utilizzabile per il futuro in maniera esponenziale.
Quando affermi che questa Sardegna è bellissima ma ha anche dei profondi dolori ti riferisci a queste vicende? Di una Sardegna bistrattata da poteri più forti?
Io mi riferivo soprattutto ad un ragionamento dall’interno non dall’esterno. Come tutti i posti piccoli c’è la mafia, che non è la mafia di Palermo, mafia nel senso di meccanismo sociale che è potente. Io ho vissuto a Milano che potrebbe essere in teoria una città molto più lontana dalla mia indole. Però in un posto grande come Milano e in tutti i posti grandi del mondo occidentale, si trova il proprio angolo e proprio spazio e la propria gente. Si trova la propria dimensione. A Cagliari è più difficile perché c’è solo una dimensione. Un po’ troppo “fighetta” e provinciale.
Oggi ti sei rivolto anche a una Sardegna come quella di Michele Pio Ledda
La Sardegna l’ho conosciuta viaggiando e suonando. Questo è successo nell’arco di quarant’anni. Quindi la conosco anche bene da un punto di vista particolare. Quello di un menestrello che va di giorno in giorno da un comune all’altro e incontra la gente del posto fondamentalmente. Si a volte incontri anche i turisti. È abbastanza forte l’incontro con la cultura locale. In seguito da questo incontro sempre più profondo si è fatto avanti l’incontro del cantare Istrales di Piero Marras. L’ho scelto perché mi risuonavano da un punto di vista sociale per ciò che riguarda il testo e ho provato a farne delle mie versioni ed interpretazioni.
C’è un sogno di Alberto Sanna?
Forse non c’è un sogno di Alberto Sanna se non quello più semplice del mondo di continuare a trovare spazi per esprimermi e … non si vorrebbe mai cambiare vita, ma in realtà si tratta di imparare a cambiare vita ogni giorno. Perché la vita cambia e ti cambia, però continua.
Arrivano gli extraterrestri e bisogna comunicare con loro. Alberto Sanna come comunicherebbe e che cosa comunicherebbe?
La prima mossa un rock and roll di Elvis Presley e da lì tasterei il terreno se sono sensibili a certe vibrazioni o no. Se sono sensibili a certe vibrazioni penso che potrei anche rilassarmi e verrebbe tutto da sé. Se non lo sono mi troverei in imbarazzo. Non saprei.