iter4_di_ussassaiSuggestioni: Ussassai

Tziu Sarbadori Marceddu lo odiava, quel prete che era diventato curato di Ussassai al posto del figlio Giuseppe Antonio; e quando il curato usurpatore, Giuseppe Antonio Lobina, gli era passato di fronte riportando a casa il cavallo dall’abbeveratoio, lo aveva minacciato portandosi un dito al naso. Il curato aveva fatto spallucce in segno di disprezzo, e a quel punto tziu Sarbadori non ci aveva visto più. Furibondo, aveva chiamato il figlio sacerdote e l’altro figlio Gioacchino, tonsurato, e il nipote Salvatore Lobina,
li aveva armati di schioppo caricato a balla e insieme, urlando minacce, avevano
raggiunto di corsa la casa del vicario, che sorgeva a pochi metri dalla chiesa
di San Lorenzo.
Avvertendo il grave pericolo, il curato si barrico’ in casa , gridando agitoriu! mentre i quattro assalitori lo sfidavano invano ad uscire per regolare i conti. E quando capirono che il curato non mostrava segno di volere uscire, presero a ddi carriai sa perda per sfondargli il tetto e costringerlo a lasciare il suo rifugio. Una folla numerosa si era radunata nel piazzale della chiesa e assisteva impaurita alla scena violenta. Qualcuno cerco’ di fermare quell’assalto insensato, compreso il maggiore di giustizia, forte della sua carica…ma i quattro energumeni non sentivano ragioni e continuarono a bersagliare la casa di grossi massi. Fu a quel punto che, disperato e vedendosi indifeso, il curato esplose un colpo di archibugio, che ferì gravemente Salvatore Lobina, che morì pochi giorni dopo.
I protagonisti di questa tragedia finirono di fronte al Tribunale ecclesiastico di Cagliari, che assolse il curato per avere ucciso per legittima difesa e condanno’ a due anni di esilio dalla Diocesi il sacerdote Giuseppe Antonio Marceddu, che aveva provocato la morte del cugino.


 

Correva l’anno 1748 e oggi la chiesa di san Lorenzo e’
scomparsa sotto una piazza dove il 10 agosto si balla sotto le stelle cadenti.
E al posto della casa del vicario, che non esiste più, e’ stata realizzata una
piazza dall’eco manzoniana…sa prassa de su vicariu…
Qui, in una sera gradevolmente fredda dopo un’estate di fuoco, ci troviamo per presentare il libro di Giacomo Mameli, “Le ragazze sono partite”: la storia delle foghesine che giumpant su mari per fare le serve nel Continente, guadagnandosi pane e dignità e irridendo alla filosofia della resa e della fame.
La piazzetta e’ raccolta, linda. Ci stiamo in una sessantina, il dieci per cento di un villaggio
che negli ultimi vent’anni ha perso metà dargli abitanti e che, si legge sui
giornali, tra vent’anni potrebbe non esistere più.
Tutte balle!
Questi paesi esistono da mille anni e non li hanno distrutti la guerra, la peste, la
carestia. Non correranno rischi neppure oggi, anche se dovessimo essere
governati da Grillo.
Eppure, il libro di Giacomo suscita interrogativi
inquietanti: perché un tempo le ragazze partivano e poi tornavano, cariche di
soldi guadagnatissimi, di nuove idee con cui far crescere la comunità di
origine, e oggi tutti partono per non tornare? Perché prima ci si allontanava
per un periodo più o meno lungo, e oggi si emigra dimenticando le radici?
Cosa ha trasformato una momentanea assenza in un abbandono definitivo?

Luisa e’ perfetta nella presentazione del libro.
E’ una donna che conosce le dinamiche
sociali, l’importanza del lavoro femminile nel superamento della tradizionale
economia agropastorale; sa, ha un oratoria coinvolgente e trascina chi l’ascolta
in una tempesta di pensieri, di dubbi e di interrogativi che restano senza
risposte certe.
Maria, la colonna portante della Pro loco dal nome e dal logo
fascinosi…Sa Trempa Orrubia, una mela rossa come le gote di una ragazza
affaticata dalla corsa verso la vita…vede nelle foghesine coraggiose di
Giacomo ogni donna in guerra contro un destino di esclusione sociale….e io
ricordo…

Ricordo tzia Gina, morta centenaria a dicembre, mentre il paese
brillava delle luci del prossimo Natale. Aveva insegnato a Esterzili, dove
andava a cavallo; la conobbi quando, ormai anziana viveva a Roma e tornai a
visitarla quanto torno’ a Ussassai in attesa della fine.
Per il compleanno desiderava solo un pacco di biscotti e di libri, che divorava con lo stesso
piacere. Poteva fare solo quello nella sua casa romana o seduta al caminetto
della vasta cucina della casa di Ussassai, circondata da un giardino pieno di
fiori e di alberi da frutta. Era troppo vecchia per poter coltivare la sua
vecchia, indomita passione…la fotografia, scattando immagini alle persone care
e ai paesaggi amati, ma anche a sconosciuti incontrati per strada. Aveva scatole
e albi di foto, che apriva con orgoglio e per ore la trasportavano verso mondi
di affetti e di emozioni scomparse. A suo modo, anche lei aveva giumpau su mari,
era approdata in un mondo prima riservato ai maschi e proibito alle
donne.
Peccato. Le avrei letto volentieri il libro di Giacomo, perché mi
raccontava episodi delle sarde che servivano a Roma e che diventavano spesso
“signore”, come le padrone. Avrebbe riso della ragazza, che a Foghesu continuava
a mettere il rossetto sulle labbra anche per andare in chiesa, come usava a
Roma, e si opponeva al parroco del paese che le ripeteva ostinatamente di non
truccarsi perché “a Foghesu non fa”.
Mi avrebbe chiesto di rileggerle più
volte la pagina esilarante, che Giacomo ha interpretato da attore provetto in
piazza, sulla disfida eterna tra i bambini e i pipistrelli in ogni angolo del
mondo…mai una stria si e’ fatta abbattere dalla canna innalzata in alto, come
una lancia micidiale, dai piccoli guerrieri dei milioni di villaggi di questa
Terra bellissima.
Posso solo ricordare con nostalgia.
Prima della manifestazione in Prassa de su vicariu, sono stato a casa della zia scomparsa:
un angolo silenzioso di case in pietra nera, abbandonate, ferme a tre secoli fa.
Maria innaffia un giardino moribondo. E’ commossa al vedermi e si commuove
quando giro intorno uno sguardo smarrito sulla casa vuota. Ha una voce strana
quando mi dice…dotto’, ha notato che anche l’agrifoglio non e’ più lo stesso?

Si’, Maria, non ha le bacche rosse, forse per la stagione o forse perché fu
piantato quando nacque zia Gina e dopo 104 anni ha deciso di raggiungere la
compagna con cui e’ cresciuto per più di un secolo. Chissà, anche gli alberi
sentono il dolore e soffrono l’abbandono.

Antonella guida il dibattito con sicurezza quasi professionale, senza indulgere in alcuna forma di narcisismo.
Pone domande brevi a Giacomo perché vuole che spieghi la sua visione della crisi
odierna. E il pubblico ascolta con attenzione, interroga, propone; qualcuno
polemizza con gli assenti, con chi sembra disertare la lotta del paese per
sopravvivere.
Forse ce l’hanno anche con i ragazzi fermi al bar, che ho visto
pieni di birra cantando a squarciagola vecchie canzoni intorno a uno che suona
la chitarra.
Ohi ohi, va bene, siete ragazzi…ma un piccolo corso di canto,
no, eh?

Fa freddo, dobbiamo chiudere.
Incrocio lo sguardo di una giovane
donna che da lontano sembra interrogarmi.
Mi avvicino incuriosito. Vuol solo
dirmi che ha lavorato a Sydney, dove vive mio figlio. Scherzo…strano, non mi
sembra di averla mai incontrata in Australia…e lei ride divertita. E’
bellissima, si muove con grazia innata, elegante in un vestito quasi autunnale,
consapevole del fascino della sua femminilità. Mi presenta le sue amiche…una
romana dalla bellezza esotica, una ricciolina bionda con un collo dolorante e
una ragazza in nero, dal trucco perfetto. Poco prima discutevo con una giovane
mamma sulla violenza di genere…misurata, gli occhi sereni, un viso candido
dalla forme perfette.
Cinque donne splendide…le fate sono tornate e hanno
sconfitto le streghe di Arcueri’.

Torno a casa, sotto un cielo illuminato da
una luna immatura.
La strada e’ fiancheggiata da querce e da fichi carichi di
frutti.
Rallento perché i fari inquadrano una lepre che mi corre avanti
zigzagando nella strada, terrorizzata dalla presenza ostile che le corre dietro.
Cammino pianissimo mentre l’animaletto guizza sul nastro asfaltato, da un ciglio
all’altro della strada, senza capire che con un balzo potrebbe nascondersi nella
boscaglia e salvarsi la vita. Oppure intuisce che chi guida il mostro non solo
non ha mai investito volontariamente un animale, ma e’ un vegetariano, che si fa
corrompere solo da su calgiu, sa tratalia e dalla salsiccia: tutti prodotti che
esulano dal potenziale gastronomico della lepre.
Finalmente si ferma, a pochi
metri dal muso della mia Punto.
Mi guarda un attimo, forse si e’ divertita, e
si infila veloce nella strada per Niala.

Da sempre, all’ampia curva dopo Rio
San Girolamo, prima di inoltrarmi sotto la foresta che porta a Taquisara, mi
giro per salutare Ussassai.
Il villaggio dorme adagiato sulla montagna.
Il presepe brilla di cento luci e ha il respiro di un bimbo.

 

Tonino Serra per Medasa.it