api


 

Suggestioni: La fine del mondo.

Le api scomparvero. Così, quasi
all’improvviso.
Furono i contadini a rendersene conto: dal silenzio dei campi,
perché il ronzio di quei laboriosi insetti era cessato.
Da alcuni anni avevano
notato un’allarmante riduzione della produzione del miele e una strana moria,
che i pessimisti avevano quantificato nel 50-70 per cento; ma, si sa…la natura
ha i suoi cicli, e non c’è bisogno di allarmarsi per qualche alterazione del
clima, per qualche rondine in meno, per qualche zanzara in più.
Ecco: le zanzare. Erano diventate un vero flagello, specialmente da quando era diventata
preponderante la zanzara tigre, tanto che un’importante azienda tedesca aveva
inventato un principio attivo biologico antilarvale, il ‘bacillus thuringiensis
var. israelensis’, da irrorare con gli aerei nei corsi d’acqua.
Il batterio,
si disse, era innocuo per l’uomo e avrebbe dovuto colpire solo le zanzare tigre.
Quanto alle api, si doveva stare tranquilli: non avrebbero avuto problemi.
Poi si scopri’ che in realtà la famigerata zanzara, l’Aedes albopictus, vettore di
diverse malattie causate da arbovirus, tra cui la dengue, la febbre gialla e
alcune encefaliti nelle zone tropicali, in Italia non era pericolosa perché
questi virus sono assenti. Non solo: la diffusione della zanzara tigre è
tipicamente urbana, e non si ritrova nelle aree rurali, per cui irrorare i fiumi
e’ ingiustificato. Insomma, quella guerra alle zanzare era inutile e molto
costosa.
Il costo, la speculazione. Forse era quello a spiegare quella strana
campagna contro un nemico inesistente, perché contro gli insetti molesti,
soprattutto in campagna, ci sono metodi naturali: dal ripopolamento di
pipistrelli, che mangiano fino a 9000 insetti a notte, alle rondini,
all’immissione nei laghi e nei corsi d’acqua di pesci come la gambusia e la
tinca che mangiano le larve di zanzare. Erano metodi naturali e… ignorati.

Forse perché costavano poco.
Furono in pochi a leggere su un giornale di
Crotone che l’irrorazione del batterio antianofele aveva lasciato una puzza
micidiale nell’aria: allarmante, perché quel principio antilarvale non avrebbe
dovuto avere odore. Ma allora, cosa stavano usando con quegli aerei?
E perché dopo quei trattamenti, nei campi si trovavano milioni di api morte, stranamente
intatte nella loro terrificante immobilità?
Molte associazioni
ambientaliste…i solito matti…lanciarono l’allarme.
Le api morivano di una
morte orribile: soffocate, perché la sostanza irrorata sui campi era oleosa e
ostruiva i pori che le api hanno sul corpo, impedendo loro di respirare. E
quelle che la raccoglievano scambiandola per rugiada, morivano in volo o, se
arrivavano all’alveare, provocavano la morte delle larve.

Quando l’ultima delle api fu trovata morta dentro un alveare ridotto ad un cimitero, il mondo
comincio’ a morire, con tutti gli esseri viventi.
Qualcuno ricordo’ la profezia di Alberto Einstein: “Se l’ape scomparisse dalla terra all’umanità
resterebbero quattro anni di vita; niente più api, niente più impollinazione,
niente piante, niente alberi, niente esseri umani”.
Era troppo tardi. E la
profezia si avvero’.

Con la morte delle api, l’ecosistema smarrì le regole
consolidate in milioni di anni.
In pochi mesi il mondo resto’ senza frutta,
verdura, oli e cotone.Gli alberi non diedero più fiori, i campi rinsecchirono, i
pascoli e i boschi inaridirono, l’erba scomparve. E con essa gli animali e
l’Uomo, responsabile di quella tragedia cosmica. Resistettero per poco solo i
grandi carnivori, e la Terra ripiombo’, per un infernale sortilegio, nel
Giurassico. L’Antropocene, l’era che avrebbe dovuto vedere il trionfo della
civiltà umana, aveva riportato il mondo indietro di 300 milioni di anni.
La Terra morì in quattro anni, in un susseguirsi apocalittico di tragedie: guerre
feroci per contendersi le ultime risorse alimentari e i pochi bacini di acqua
sopravvissuti alla desertificazione. Per altri mille anni resistettero gli
scheletri degli edifici un tempo abitati dall’uomo, poi anche questi
scomparvero, dissolti nella polvere di un immane deserto.
E fu la fine di tutto.

Una suggestione, la mia, forse esagerata, ma non inventata. E’
sostenuta dalla storia, che in 450 milioni di anni, ha visto già per cinque
volte l’estinzione quasi totale del creato.
La Terra esiste da quattro miliardi
di anni e l’uomo e’ comparso circa due milioni di anni fa, anche se solo da
seicento mila anni ha sviluppato le caratteristiche attuali. Non era quindi
presente alle catastrofi che conosciamo attraverso la paleontologia e la
geologia.
Nell’Ordoviciano, un’era geologica di 450 milioni di anni fa, il
livello marino si abbasso’ per poderose glaciazioni e scomparve l’85 per cento
delle specie allora esistenti, tra invertebrati e pesci primitivi; nel
Devoniano, 377 milioni di anni fa, una tempesta di asteroidi si abbatte’ sulla
Terra uccidendo il 70 per cento delle specie viventi; nel Permiano, 250 milioni
di anni fa, eruzioni vulcaniche spaventose portarono alla catastrofe con la
distruzione quasi totale…il 96 per cento…delle specie animali marine; nel
Triassico, 205 milioni di anni fa, la crescente aridità, il rilascio di grandi
quantità di metano dal fondo degli oceani e le variazioni del livello del mare,
uccisero il 50 per cento delle specie viventi; e 65 milioni di anni fa, nel
Cretaceo, un meteorite colpi’ la Terra provocando un nube di polvere talmente
spessa da oscurare il sole per millenni, inibendo la sintesi clorofilliana,
facendo scomparire l’erba e provocando la scomparsa della megafauna: i
dinosauri, e tra essi l’Ittiosauro di monte Lumburau, oltre Erriu Pessiu, di
fronte a Mamutara: alcuni denti furono trovati tra il materiale di crollo nel
1935, dopo milioni di anni.
Oggi, la ruota del tempo ripresenta lo stesso
scenario: la scomparsa del mondo vegetale, e quindi dell’uomo, nella sesta e
forse ultima era del Creato. Ma stavolta la catastrofe non sarà causata da
sommovimenti tellurici o da formidabili scontri con corpi astrali…stavolta
sarà l’uomo, con la sua straordinaria intelligenza e la sua parimenti sconfinata
imprudenza a porre fine a questo mondo meraviglioso.
Dal 1990, si e’ calcolato che sono scomparse 400 specie di vertebrati. Prima che l’uomo
intervenisse per cambiare la Natura, ci sarebbero voluto diecimila anni…come
se una macchina andasse a dieci all’ora e il conducente improvvisamente
impazzito la portasse a schiantarsi contro un muro a trecento all’ora.
Tra pochi anni scompariranno il leone asiatico, il lupo Simien dell’Etiopia, il
lemure del Madagascar dagli occhioni sbarrati, la lince Pardina che vive tra
Spagna e Portogallo. In Italia forse e’ già scomparsa la foca monaca. E molte
altre spariranno per colpa dell’uomo a causa dell’introduzione di specie
invasive che alterano l’habitat di altre specie; del riscaldamento globale,
della deforestazione e della costruzione di strade, che devastano il territorio
e fanno da barriera al libero spostamento degli animali; e dello scriteriato uso
del suolo con l’erosione degli ambienti naturali.
E stanno morendo le api…in tutto il mondo.
Un pericolo letale misconosciuto, anche se tutti sanno che una
sola colonia di api è in grado di impollinare 300 milioni di fiori ogni giorno e
solo l’ape mellifera, o Apis Mellifera, sia selvatica che domestica, nativa
d’Europa, Africa e Asia Occidentale, è responsabile dell’80% dell’impollinazione
del nostro pianeta.
I nostri avi ne intuivano l’importanza e le proteggevano.
In Ogliastra c’era il pastore degli alveari, e chi li danneggiava era condannato
alle galere o a morte. Ancora oggi, ad un ladro che approfitta della buona fede
della vittima e’ riservata l’offesa più grave e sprezzante: cani de stergiu, ma
anche…scorporacaiddus.
Un mio antenato sorprese un ladro di miele che aveva
appena annegato le api immergendo l’arnia nel fiume…lo lego’ e gli mise la
testa dentro un alveare, finché non morì per le punture. Orribile, ma allora le
api producevano gli unici zuccheri a buon mercato, il miele serviva per le
medicine e la cera era offerta alla Chiesa e serviva per illuminate la notte.
Erano vitali per tutti, anche se ancora nessuno parlava di ecosistema.

Possiamo ancora salvarci? Non so.
Serve, comunque, fare un
passo indietro per salvare le api, appunto, e il mondo, attraverso la messa al
bando dei pesticidi sistemici dalla elevata tossicità.
Il ronzio delle api e’ il nostro orologio biologico; la produzione di miele, la sentinella
dell’equilibrio tra l’uomo e la Natura. Possiamo salvarci solo se sentiremmo
ancora il loro ronzio, se sapremmo apprezzarlo, se seguiremmo con affetto
l’affascinante volo a otto di questi insetti infaticabili: non lavorano solo per
continuare la loro specie, ma ogni loro volo, ogni loro posarsi sui fiori
assicura all’uomo un futuro senza incubi.

Tonino Serra per Medasa.it