Suggestioni: Le partite interrotte.
Suggestioni: Le partite interrotte
(dedicato a Valentina Sanna, Kira Corona e Myriam Quaquero che compiono gli anni. Auguri!)
Quando apro un libro, so già che arriverò fino in fondo.
Comunque. Anche se dovesse rivelarsi un mattone indigeribile, perché un libro significa fatica e, comprandolo, con lo
scrittore stipulo un mutuo patto: ti leggo fino alla fine per capire cosa hai voluto dire, ma se mi deludi non ti leggero’ più.
Un po’ come l’incontro con una donna: conta la prima impressione, la prima carezza. Se l’opera prima non
convince, non si perde tempo con le opere seguenti. E’ inutile.
Vidi il film “Il nome della rosa” di Umberto Eco e mi affascino’. Era la ricostruzione esatta del mondo medievale, come lo avevo immaginato dopo la lettura degli studi di Georges Duby e dopo la visita alla cattedrale di Mont Saint Michel, ai confini tra la Normandia e la Bretagna: sembra un castello da fiaba e le alte, maestose maree ne fanno spesso un isolotto remoto, ai margini del mondo; ci passai una
notte e la mattina dopo mi stordì un’alba da incorrotta preistoria.
Lessi il libro, che mi piacque molto, anche se notai alcune pagine di autocompiacimento e
insistite su particolari truculenti; ma Eco e’ uno studioso di semiotica, prima
che romanziere, ed e’ scusato. Poi lessi “Il pendolo di Foucault”, non mi
piacque e di Eco non lessi più nulla. Credo di non essermi perso niente e, come
ho detto, preferisco non cominciare un libro perché poi non sono in grado di
interrompere.
Ho avuto la stessa esperienza con gli scrittori russi…si, i
classici, Tolstoi, Dostojevskij, Bulgakov…non li leggo più perché li trovo
pallosi, ma ho fatto in tempo a godere di alcuni romanzi prima di cadere nella
disaffezione…Resurrezione, Delitto e castigo, Cuore di cane.
I film, invece, difficilmente mi deludono.
Resto ipnotizzato dalle immagini, dai colori, dai paesaggi, dalla ricostruzione degli interni, dai primi piani.
Ricordo ancora oggi i film in cinemascope visti al cinema di Mereu e di Micheli,
anche quelli in bianco e nero…le jungle scure di Tarzan con l’urlo immenso di
Wessimuller e le montagne bianche del west americano. I film come
l’infanzia.
Ma, a differenza dei libri, mi e’ capitato di uscire a metà
spettacolo. Per “Frogs”, un filmaccio apocalittico sul mondo invaso dalle rane e
dai rospi…mi venne una mala gana, a me che amavo le raganelle palpitanti di
Teliarsu e difendevo i rospi sbuffanti di Cuccureddu; per “Magnificat”, un
horror stranissimo di Pupi Avati, in cui un boia si sposta in un tetro mondo
medievale a giustiziare dei poveri condannati con metodi disgustosi; e per
“Addio fratello crudele”, di Giuseppe Patroni Griffi, una storia incestuosa
scioccante, che fece fuggire anche il critico Paolo Mereghetti…uno che si e’
sorbito più film che cappuccini. Vedevo questo film all’Ariston e quando mi
alzai sentii qualcuno che dalla poltrona dietro la mia, mi diceva
sottovoce…lei fa bene ad andar via, io non riesco a interrompere…era il
professor Meloni, che conoscevo. Beh, come faceva uno come lui, famoso studioso
della storia romana, a non vedere la fine di una storia…
Naturalmente oggi esistono i trailer, che permettono di capire se stai per mangiare nutella o un
cespo di cardu ‘e molenti. Questo mi ha evitato di cadere nella trappola mortale
di vedere negli anni recenti il Fellini pallosissimo di “Otto e mezzo” e di “La
dolce vita”…do you remenber Anita?; ho visto solo Amarcord… bellissimo e
inimitabile. Oppure di lessarmi gli zebedei con Antonioni… agitoriu…di cui
ho visto solo Zabriskie Point e poi mai più nulla…meno male; anche perché non
gli perdono di aver tenuto imbalsamata in film malaidus la bellissima e brava
Monica Vitti, che ha ripreso la sua verve naturale con Sordi e Delon solo dopo
aver smesso di essere la sua musa ispiratrice…e che cavolo, era la sua amante
e poteva occupare il tempo in ben altro modo…
Fuggii letteralmente dal teatro Alfieri quando Corrado Pani si lancio’ in una serie irripetibile e gratuita di
parolacce…non ricordo neppure di che si trattava, ma odio la trivialità e me
ne andai disgustato. Mi avviai a piedi verso casa e il gelo di quella notte mi
fece passare l’irritazione: per il tempo perso e per i soldi del biglietto, di
cui avrei voluto chiedere il rimborso. Non si poteva, a differenza di quanto
avviene oggi in Francia, dove il Gruppo C2L ha inventato una sorta di “misura di
salvaguardia” o la tessera di garanzia: chi esce nei primi trenta minuti ha
diritto al rimborso. Mi piace. Dovrebbero farlo anche di noi: sarebbe più facile
interrompere una visione deludente, dire basta e far capire al regista che ha
sbagliato. E risparmiare soldi, che per un ierzese e’ un obbligo morale, da
civiltà precapitalistica, quando lo spreco era sconosciuto.
Interrompere.
Questo e’ il problema.
Quante volte avremmo voluto interrompere una partita,
un film, un libro, un racconto della nostra vita? Quante volte avremmo
desiderato saltare una pagina della nostra esistenza che ci fa notare
crudelmente i nostri limiti, le nostre inadeguatezze, le nostre pieghe contorte
fatte di inganni e di viltà? O chiudere velocemente un rapporto negativo, che si
trascina stancamente e senza alcun futuro?
Quante volte abbiamo cercato inutilmente di uscire da un incubo?
Cercò di farlo anche Gesù, quando nell’orto di Getsemani imploro’ il Padre celeste di allontanare il calice amaro
del suo estremo sacrificio, salvo poi inchinarsi alla volontà che lo voleva
crocifisso. Uno dei misteri che non ho mai capito, perché mi spaventa la
crudeltà e trovo mostruosa la ferocia dei padri verso i figli. Ma, non sono un
buon cristiano e sono molto ignorante sui Vangeli.
Capita a tutti di voler scendere dalla vita, almeno per riposare un po’ e raccogliere le forze per
continuare. Quando ti sorprendi a pensare…non ce la faccio più…e sai che
invece devi continuare, faticosamente ed eroicamente, a percorrere la strada che
ti e’ dato di percorrere. Fino alla fine, senza scorciatoie.
Affrontando le albe senza serenità e i tramonti senza speranza e il sonno senza riposo.
A meno che non sia questo il senso e il gusto della vita…la sofferenza, la lotta,
l’intima soddisfazione di aver vinto, se non il male, la nostra paura del male e
della sconfitta.
Mi riprometto di fare duecento chilometri a piedi per
andare a inginocchiarmi nella chiesa di Santiago de Compostela. Reggerà il mio
ginocchio malato? Ma, di più, reggerà la mia costanza di continuare oltre la
fatica, o scoprirò che la mia mente e’ meno forte delle mie articolazioni?
Smetterò dopo mezz’ora o continuerò a camminare sei ore al giorno per dieci
giorni, seguendo le conchiglie azzurre, stando con me stesso e sondando la
profondità dei miei sentimenti?
Si può cadere. E si può aver il piacere di
rialzarci, ma anche di giacere per sempre sulla madre terra sapendo che comunque
ci siamo battuti fino in fondo…che abbiamo letto il libro della nostra vita
senza interromperne il filo del racconto.
Tonino Serra per Medasa.it