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Suggestioni (agli amici della Barberia Pilimeddu):Gildo

 

Irato col
mondo, digrignando i denti e borbottando imprecazioni, siu Manfredi se ne stava
appoggiato con i gomiti sul bancone de su cilleri posto al centro del paese,
quando vide entrare Carletto Las Vegas con la solita andatura barcollante da
marinaio in pensione…dus caffeus, po prageri…dus? Ma si ses solu…dus po
prageri, unu po mei e unu po Gildu…
Zio Manfredi lo guardo’ storto, non gli
andava fare cose che non capiva…due caffè per una persona sola..a meno che
questo Gildo non stesse per entrare…ma non era uno de bidda, che’ a Ierzu di
Gildo non ce n’erano mai stati.
Ma non gli piaceva come Las Vegas lo
guardava…di sottecchi, quasi irridente, mentre si grattava la pancia coperta
da una maglietta bisunta sotto un giubbotto di pelle che aveva vissuto molte
stagioni.

Siu Manfredi quella mattina era nero…lo era sempre, ma il giorno
si sentiva scoppiare.
Il suo cilleri ospitava il punto telefonico pubblico ed
era un via vai di persone che aspettavano appuntamenti telefonici da mille posto
diversi…quella mattina Carrula aveva parlato col figlio che stava a Parigi ed
era uscita dalla cabina felice perché era nata la nipotina…subito dopo Luigi
aveva parlato con una donna, lo si capiva perché parlava piano, tutto avvolto
nel filo corrugato del telefono, sospirando come gli attori nel cinema di
Micheli…poi era successa una cosa che, a pensarci, siu Manfredi rischiava
s’antrecoru.
Mauro era entrato nella cabina telefonica, ma ne era uscito
subito urlando…siu Manfre’, eita arrabiu, unu cagalloni in cabina…eita ses
streccheddendu omini tontu…tontu? castidi castidi! Siu Manfredi non poteva
credere ai suoi occhi…nel pavimento della cabina c’era un cagallone a
torciglione, come una pabassina di Pasqua, gli sembrava anche di sentirne
l’odore…miserabili, su batticorru ki dd’hat nasciu, si dd’acciappu ddu sparu,
caghendu in domu mia…non riusciva più a parlare dalla rabbia, sbuffava,
rantolava mentre entrava nello sgabuzzino del bagno per prendere la scopa e dei
trucioli per ripulire tutto.
I clienti lo guardavano ridendo e dandosi di
gomito…arraccia de cagada, siu Manfre’, ddi depidai fattu mali su latti ‘e
craba…ma le risate diventarono un ululato divertito alla vista della faccia di
siu Manfredi, terrea e sconvolta, quando si accorse che il cagallone era in
realtà di plastica…uno scherzo di Mauro, che lo guardava sghignazzando dalla
porta e che scanso’ abilmente il pesante boccale di birra Peroni lanciatogli con
violenza dal barista.

E ora, dopo quello scherzo de scimprus, ci mancava
solo Carletto col mistero dei due caffè e del suo amico sconosciuto
Gildo.
Mentre armeggiava con la macchina monumentale da caffè…una Gaggia
costata un occhio della testa…non perdeva di vista Las Vegas, che attendeva
con noncuranza di essere servito…e di Gildo neppure l’ombra. Siu Manfredi mise
le tazzine fumanti sui piattini e avvicino’ la zuccheriera rotonda dal coperchio
di vetro e con l’incavo per il lungo cucchiaio …siu Manfre’, po prageri,
ongiami’ unu pagu de latti ka a Gildu ddi pragidi aicci, cun succuru e latti…e
dicendo così si toccava il camiciotto che sembrava animato da piccole
onde…Gildo, vieni fuori…disse Carletto Las Vegas mentre a siu Manfredi, che
non capiva più nulla, gli montava il sangue alla testa. Poi emise un urlo di
terrore, quando vide uscire da sotto il camiciotto la testa di un grosso
serpente verde, che lo guardava con occhi fissi dardeggiando la lingua biforcuta
vicino al suo caffè. Gildo non si fece impressionare dall’urlo del barista…si
adagio’ lungo disteso sul bancone e si sorbì il caffellatte con la compostezza
di un cliente di riguardo…poi rientro’ silenziosamente sotto la camicia, non
prima di aver schioccato la lingua per far capire a siu Manfredi di aver
apprezzato il servizio.
Dottor Iosto, che passava nello stradone, era entrato
allarmato dalle urla di siu Manfredi e lo aveva trovato accasciato sul bancone
foras de sentidu…osatru seis makkus, no ddu scieis ka su colovru est debuli de
coru e su caffeu ddi fai mali…

Gildo fu l’eroe della giornata e una piccola
folla accompagno’ il padrone orgoglioso lungo il corso, fino al bar di Giovanni
Mereu, stracolmo di avventori. Carletto fece un giretto tra i tavoli poi si
avvicino’ al bancone dove Giovanni lo guardava scuotendo la sua capigliatura
bianchissima…beh, Carle’, eita pigas?…Giua’, po mei non sciu, ma Gildu, tui
eita pigas?….Gildu?…eiah, Gildo vieni fuori…e Gildo ubbidiente uscì tutto
dritto da sotto la maglietta e si mise a sibilare tutto intorno ondeggiando la
testa e inchinandosi alla compagnia…che non parve apprezzare, ma si precipito’
fuori dal locale incastrandosi nella porta, urlando a squarciagola…una pibera,
una pibera, ka mossiada…come raccontava Giorgio Orru’, non capiant in sa
porta…prima uscì come un tappo di spumante il sindaco Gigino Loi, seguito dal
vicesindaco siu Antoninu e poi tutta la giunta senza curarsi di dare la
precedenza al popolo impaurito…eh si, fu una giornata epica sotto il sole di
Porcu e Ludu.
Veramente se ne ricorda un’altra, che per poco non ci scappava
il morto…anzi, la morta…perché il barista della storia, zio Peppino Basoccu,
era più incazzoso di siu Manfredi e quando vide Manfredi Carolina entrare nel
suo locale…frequentato solo dalla crema del paese…con la capra più bella del
suo gregge di mannalitte, che si mise dritta sulle zampe posteriori per
poggiarsi bene sul bancone in attesa di esser servita, le diede un colpo di
sifone da seltz in testa tramortendola. Carolina guardo’ la sua amata,
sanguinante per terra, e stava per assalire zio Peppino coltello in mano quando
fu fermato da Valerio Usai, che aveva ideato lo scherzo. Si racconta che Valerio
non sia potuto entrare nel bar Basoccu per mesi…fatto drammatico perché nel
locale ci si riuniva per vedere le partite in tv…ma poi zio Peppino, che era
un buono, dimentico’ l’offesa anche se, quando vedeva Valerio sulla porta,
sbirciava fuori per accertarsi che non avesse al seguito qualche
mannalitta…

Ora, io non so se nella cultura sarda esista il culto del
Serpente, anche se mi sembra di ricordare che nel tempio di Antas sia stata
trovata una sua effigie e che i fenici portarono in Sardegna la cultura cananea,
che adorava il Serpente.
Il culto del serpente trova le sue radici nell’antica
Grecia…Apollo uccide il serpente Pitone, simbolo del culto della Madre Terra
che precede quello degli dei dell’Olimpo…e nell’Egitto, dove il serpente
proteggeva Ra, il dio Sole, evitando che la sua barca venisse affondata e il
mondo scivolasse in una notte eterna…e viene importato a Roma quando nel 293
a. C. per debellare un’epidemia di peste, su indicazione dei libri Sibillini,
si trasporto’ il dio Esculapio da Epidauro a Roma sotto forma di un Serpente,
che scivolo’ nel Tevere e raggiunse l’isola Tiberina, dove gli fu eretto un
tempio dedicato, appunto, alla medicina…e ancora oggi vi sorge un importante
ospedale. Non vorrei annoiarvi, ma presso i Sumeri, la dea Gula, era una dea
guaritrice legata al serpente e spesso veniva rappresentata con sembianze umane
e con un cane seduto ai suoi piedi. Il cane….anche il dio Esculapio era
rappresentato con un cane accovacciato, come san Domenico…domini
canis…
Giacché ci siamo vi ricordo che nel rito mitraico…leggete “Memorie
di Adriano” della Yourcenaur…il sacrificio del toro, la cui morte promuove la
vita e la fecondità dell’universo, avveniva alla presenza di un cane..ancora
lui…e di un serpente…ci risiamo.
Affascinante e’ il culto di
Quetzalcoatl, il serpente piumato dell’antico Messico precolombiano, che
rappresentava “il principio cosmico del duale: la terra del serpente ed il cielo
dell’uccello, riuniti in un’ unica simbologia”.
Non vi dirò nulla sul
significato del Serpente nella religione cristiana, nettamente infausto…spinge
Eva a disobbedire, e’ un idolo biblico pagano, viene streccato dalla
Madonna…cacchio, speriamo che Gildo non lo abbia mai saputo…gli sarebbe
andato il caffè di traverso…

A me i serpenti non piacciono molto, ma li
rispetto. E come me gli ierzesi, che forse portano nel loro DNA il culto dei
serpenti.
Zio Tommaso ne aveva uno in su barracu, che teneva pulitissimo
eliminando topi e insetti…era ghiotto di lische di pesce e di
formaggio…quando scomparve mio zio ne fece una malattia e tenne il lutto
stretto per mesi.
Zia Marianna preparava le pozioni miracolose con il
“vestito” dismesso, ma una volta fu sorpresa da su colovru appena denudato che
la rincorse dritto come una canna da S’e Coboni a sa Cola ‘e Corgiolu, soffiando
e minacciando.
Io stesso mi vidi sbarrare su filettu tra il fieno alto da un
serpente marrone, grosso come un polso, che ancora me lo sogno di notte….
E
Sonia, non ne ha trovato uno che passeggiava in cantina cercando di assaggiare
su cannonau? Prima ha strillato, poi lo ha immobilizzato con una scopa, senza
evitare che il serpente si arrotolasse e le facesse le lingue…fino a che e’
arrivato Emanuele che lo ha scappato in vigna…e magari e’ stato catturato da
Antonio Loi, che per un po’ di tempo aveva accarezzato l’idea di costruire in
Tripus un moderno ofidromo, in cui organizzare corse a pagamento…e ci sarebbe
riuscito se le bestiole non fossero tutte scappate di notte…
Invece, Tonino
Muceli, che ama e rispetta la natura, li afferrava con le mani e li infilava in
una bottiglia per poi liberarli nel piazzale di casa, fidando nella loro
maestria di cacciatori di topi. Non solo…ma insegnava ai bambini del vicinato
a prendere confidenza col serpente e ad apprezzarlo perché era un animale
innocuo e utile per “la pulizia” del posto.
E infine Gianfranco, che mentre
metteva un palo di sostegno ad un giovane albero, se ne trovo’ uno tra i piedi,
mezzo addormentato per il caldo…quel giorno il mio amico fraterno fece il
record Ogliastrino dei cento metri e fece ridere la zia Lillotta, che i serpenti
li prendeva con le mani e ci giocava come un fakiro indiano…un giorno ne aveva
uno per mano, dritti e loquaci, come la misteriosa Signora dei serpenti, la
divinità cretese di quattro millenni fa che ancora ci guarda con occhi lucenti e
il seno nudo dalla sua statua di marmo colorato …ridendo delle nostre paure
infantili.

Tonino Serra.