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Appunti di un viaggio in Sicilia. (4/7)

4. Cronache di Trinacria


 

Etna

Catania e’ una città aliena.
Risonante di voci, di urla, di clacson che chiedono strada anche ai numerosi cani di quartiere. Guido attento a tutto e a tutti…Katia mi darebbe tre patenti in una volta sola.
Naturalmente non esistono le targhe delle strade e troviamo il nostro albergo, il Gattopardo house, dopo aver girovagato in questo girone infernale e solo dopo aver percorso tre strade contromano.
Però, ne vale la pena. E’ una casa nobiliare che i padroni affittano perché le tasse incombono e non ce la farebbero più se non mettessero degli ospiti a pagamento nelle loro stanze piene di tende e di specchi e di sedie dorate e con i soffitti istoriati di dei e ninfe mezzo nudi. In realtà mi sembra di essere entrato in un casino di prima classe, ma alla reception l’impiegata ha l’aspetto irreprensibile e gli occhi da Vergine addolorata.
Stiamo nella via Etnea, zona pedonale dove si aprono negozi lussuosi e bar colmi di frutta di marzapane…da saccheggiare a rischio diabete il Savia, con i suoi cannoli divini.
Di fronte all’albergo si erge la monumentale chiesa barocca di san Michele Arcangelo…l’interno e’ essenziale, con linee pulite e leggere, sembra razionalista e non Settecentesca. Non sono un esperto, ma queste chiese dalla facciata pesante e dall’interno lieve le rivedremo a Noto, e vi posso dire che sono un incanto.

L’Etna troneggia sulla città, lontano ma incombente. Lo chiamano semplicemente ‘a Montagna, perché e’ alto, mi sembra, 3500 m e con lei non c’è partita…e’ la più alta della Sicilia e nelle giornate serene dalla sua cima si possono scorgere l’Africa e le luci di Erice sul monte san Giuliano, capo occidentale dell’isola.
Risaliamo verso la montagna fumante attraverso stradette di campagna dei paesi etnei…anonimi, sporchi, con i sacchi di immondezza sul ciglio della strada…un po’ come da noi a Erriu a Pessiu e in tutti i ponti della zona. Ma perché poi, mi chiedo.
Fa caldo e la macchina arranca con l’aria condizionata tirata.
Il terreno del Parco ldiventa sempre più scuro…lava, lava che ricopre i fianchi del monte, riempie le vallate, con la sabbia vulcanica a volte finissima, a volte grossa tipo sabbioni.
A 1500 metri un regista coordina dei giovani fotografi che riprendono uno spot per la Maserati…e le vedi e li sentì i ruggiti dei motori delle macchine da mille cavalli, che sfrecciano e si perdono oltre la curva mentre il monte nero ripiomba nel silenzio.
A 2000 metri incontriamo i Crateri Silvestri, scure cavità dove i turisti giocano a scrivere con pietre vulcaniche i loro nomi. Ovunque la coltre di lava e’ ingentilita da isolette di fiori bianchi e nelle vallate profonde spuntano alberi di un verde trionfante.
Saliamo a 2900 metri con la teleferica che in inverno serve i campi da sci. Oggi non si vede nulla perché la nebbia sale col suo fiato grigio dalla valle…ma si intravede del ghiaccio negli anfratti di lava e su in cima, il bianco accecante del ghiacciaio.
Il paesaggio e’ lunare. E la natura ricorda che siamo solo degli intrusi.
Il cielo e’ andato coprendosi di nuvole scure solcate ogni tanto da lampi sinuosi e il tuono romba in lontananza. La valle appare lontana col mare all’orizzonte e stranamente piena di sole. Lasciamo i campi neri. Un grosso cane rosso, terrorizzato dai tuoni, corre abbaiando verso un edificio in costruzione. Ha capito che arriva qualcosa.

Prendiamo per Bronte quando i primi goccioloni cadono rumorosamente contro il parabrezza. La lava e’ cenere e quindi un fertilizzante naturale. Non ci sorprende quindi che i terreni lavici siano coperti da ampi ciliegieti, da querce rovere, perastri, noci con frutti ancora piccoli, castagneti, vigneti…e in mezzo macchie gialle di ginestre o verdi di felci primitive.
Incredibile, ma scorgiamo ampie distese di carrube e un paese, Rosolini, e’ famoso perché le esporta. E dire che pochi mesi fa ho preso in giro un collega in pensione di san Sperate perché ha eliminato i pescheti per piantare questi alberi insulsi destinati nei nostri paesi solo agli animali domestici. Lui sostiene che venderà il raccolto alla Coca Cola…mah, vedremo.

Il nubifragio e’ improvviso e brutale. Lo annuncia un vento caldo, poi il cielo diventa notte e la grandine tempesta la montagna. In dieci minuti il ciglio della strada e’ bianco per il ghiaccio e poi arriva la pioggia…una cortina impenetrabile di acqua mentre le strade si tramutano in fiumi di fango in cui la macchina cammina a stento.
Penso ai ciliegieti ben recintati…la grandine li avrà rovinati e poi, se producono tante ciliegie che nessuno riuscirà a mangiare, che senso ha chiuderli a doppia mandata per impedirmi di rubarne un po’, così, per assaggiarle.
Quando arriviamo a Bronte il paese e’ deserto e le strade sono scomparse sotto il diluvio.

Tonino Serra.