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Appunti di un viaggio in Sicilia. (2/7)

2. Cronache di Trinacria.


 

La regione dei templi.

Per la prima volta in vita mia e dopo tanti viaggi, sento vicina la compagnia di Fantozzi.
Vado a prendere la macchina per ripartire e non la trovo. Cacchio, eppure l’ho lasciata qui, Corso Italia, ben parcheggiata, col ticket pagato la sera prima e scadenza 9,26 del giorno dopo. Faccio su e giù per il Corso, ma niente. Ok, me l’hanno rubata.
Fermo un ausiliario del traffico e gli spiego. Voglio sapere dove sta la più vicina stazione dei carabinieri per fare denuncia. Mi vede molto seccato…la macchina e’ a noleggio e anche se mi sono assicurato per stare più tranquillo proprio non ci voleva.
La guardia e’ un uomo giovane, barba lunga, occhi azzurri e capelli ricci…un arabo, come capita spesso di vedere in quest’Isola. Mi accompagna a fare l’ultimo controllo…ah, ma lei e’ sardo, sa, io sono stato a Olbia da mio cugino…mi fa piacere, ma i carabinieri…aspetti, faccio una telefonata, penso di sapere dove e’ la sua macchina. Lo guardo speranzoso…e faccio bene perché telefona alla polizia e mi passa un impiegato che a metà targa mi interrompe per completarla…era parcheggiata dove il giovedì mattina, unico giorno della settimana e proprio in quella strada, lavano la via.
Eh, ma che diavolo! Ma sono contento. Un taxi e vado in periferia a riprenderla: trenta euro di multa, mille ringraziamenti che i poliziotti accettano ridendo e via.

Erice e’ a pochi km da Trapani, sul monte san Giuliano che domina il mare occidentale.
Un tempo i marinai nel mare in tempesta avevano solo quel punto di riferimento…alto, rosso arenaria, con strapiombi da incubo…e vi si avvicinavano con la speranza in cuore, spezzando l’angoscia. Ma una volta sbarcati sapevano anche che, inerpicandosi nelle sue balze, avrebbero trovato piacere e riposo tra le braccia delle ierodule, le sacerdotesse del tempio di Astarte che praticavano la prostituzione sacra…si, la stessa dea fenicia che forse da’ il nome a Sterrassai e a Taquisara. Oggi il tempio di Venere-Astarte giace sotto una torre Normanna, e dappertutto senti la presenza dei predoni del nord, i Vichinghi, che giunsero nel Meridione, cacciarono via gli arabi e costruirono torri, chiese, palazzi e fecero brillare queste terre di una nuova luce.
Erice e’ un borgo medievale intatto, che disegna un affascinate triangolo. Vie strette per opporsi al vento che qui si sente con forza, acciottolato in larghi cornici quadrate separate da bande interne, e le vanelle, i passaggi nascosti dove si passa uno per volta…difficile per il nemico entrare in forza nel centro urbano. E chiese rugose per i secoli, case con facciate barocche e giardini pieni di fiori, e terrazzini graziosi di ferro…da uno di questi parlo’ Garibaldi…non ho trovato una città, un paese, un borgo dove l’Eroe dei due mondi non abbia arringato la folla…secondo me l’Italia l’hanno fatta i Bixio e i Crispi, mentre Peppino curava le pubbliche relazione con i piciotti urlando in piazza le ragioni della rivoluzione…manco così Grillo.

Segesta e Selinunte fanno capire che Dio esiste. E che ci dispensa bellezza e poesia nonostante la crudeltà degli uomini che ha creato, lasciandolo liberi di amarsi o di uccidersi.
Due città di 2600 anni fa che si distrussero a vicenda prima per ragioni di confine, come due contadini di Perdarba, poi per ragioni politiche…Segesta stava con Cartagine e Selinunte contro. I segestani presero Selinunte e ne passarono a fil di spada gli abitanti…uno dei massacri più efferati dell’antichità…e ne distrussero i templi per decretare la fine di un popolo e della loro storia. Selinunte aveva 80 mila abitanti, migliaia di case e decine di templi posti tra due fiumi ricchi di prezzemolo selvatico…da qui il nome Selinunte, l’acropoli con mura ciclopiche. Oggi non esiste nulla…la città e’sepolta nella macchia, i fiumi si sono ridotti a due canali aridi, i templi sono ammassi informi di gigantesche colonne spezzate, di capitelli rovesciati. Su una collina si erge un tempio bellissimo quasi intatto…un miracolo…no, solo la tecnica, perché e’ stato rimesso in piedi, riassemblato nel 1950.
Eppure, vagare tra queste pietre scolpite, tra le case crollate, tra i portici lunghi e senza volta, tra le vie numerose dove si aprivano centinaia di taverne e alberghi…fa rivivere il tempo scomparso, le mille lingue dei marinai di tutto il mondo allora conosciuto. E senti ancora la religiosità di quel popolo legato alla Grecia lontana, di cui pregavano gli dei ed esaltavano la civiltà madre di tutti i popoli.
Anche Segesta suscita gli stessi sentimenti. Il suo abitato non esiste più, anche se fu abitato in epoca araba e una chiesa svettava sulla montagna nel 1400. Restano un tempio bellissimo, intatto, rossiccio nella sera che ormai avanza, e un teatro posto sulla sommità del monte Barbaro, alto, faticoso da salire in questo caldo torrido. Ma appena vi si giunge respiri la cultura classica e la bellezza, perché e’ integro e aperto, contro le regole del tempo, verso la vallata e il mare, che vedi lontano, di un azzurro intenso.
Mi colpisce un cippo di marmo che indica il teatro…hanno cercato invano di rimuovere il fascio littorio scolpito nel VI anno dell’era fascista…se fosse stato presente quando Segesta fu distrutta da Agatocle non sarebbe sfuggito allo stesso destino.

Caltabellotta e’ come Ierzu visto da Canceddas, dal piccolo paradiso di Natalina.
Ci arriviamo per caso, spinti da una frase entusiasta della guida di Selinunte. Per arrivarci si fanno dieci volte i tornanti di Ulassai, in un paesaggio selvaggio, con la montagna violentata dalle cave, gli uliveti onnipresenti. Il monte Castello domina l’abitato con i suoi 998 metri e le torri normanne. Qui, nel 1302 o 1304, non ricordo bene, fu firmata la pace, che prende il suo nome, tra gli Angioni e gli Aragonesi, che mise fine alla guerra dei Vespri.
Il paese e’ antico, famoso, ma ormai deserto. Le sue case nobili, con gli archi di arenaria, non riecheggiamo più le voci dei potenti. Ce lo racconta Mario, il padrone della Ferla, una taverna-trattoria dove mangiamo una fantastica pasta alla Norma e un parfait di mandorle con cioccolata. E’ un berlusconiano della prima ora, agguerrito e divertente. Gli rispondo a tono, dopo essermi fatto promettere che non mi aumenterà il conto. In realtà la cena ce la regala e ci fa posto anche in un B and B perché l’hotel di Agrigento ci scarica.
Il piccolo albergo e’ gestito da un architetto, una giovane donna sorridente che ha due figli studenti a Pisa. Cura un orto fornitissimo e la mattina dopo a colazione ci fa assaggiare i fichi e una marmellata eccellente di mandarini…mai assaggiata prima.
Dormiamo quindi in questo paese montano, tra il frinire dei grilli.
Vedo qualche zanzara, ma in camera si aggirano dei vecchi gechi grossi come un pollice ed esperti nel difendere i sogni degli uomini.
Al secondo gol del Brasile esco nell’ampia veranda e guardo il paese illuminato sulla montagna. Un presepe in piena estate, ormai.
Si, e’ un bel paese con gente gentile. Mi e’ facile scivolare nel sonno.

Tonino Serra