I campioni paralimpici sardi raccontano le loro imprese nel mondo
La Sardegna paralimpica si fa sentire con più vigore nel mondo. Donne e uomini che hanno scelto lo sport per arricchire la propria esistenza coniugandola con sacrifici e privazioni, essenziali per il raggiungimento di alti livelli agonistici.
L’oschirese Giovanni Achenza non si è mai sentito appagato dopo il bronzo alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro nel Paratriathlon. Quest’estate a Tartu (Estonia) il campione delle Fiamme Azzurre ha conquistato il terzo posto agli Europei nella categoria PTWC, sfiorando per una manciata di secondi il podio ai mondiali di Gold Coast in Australia, giungendo quarto.
Annata da ricordare anche per il tiro a piattello, con il sestese delle Fiamme Oro Oreste Lai che presso l’impianto Concaverde di Lonato del Garda ha partecipato al primo Campionato del Mondo di Para-Trap, SG-S, riservato ai tiratori su sedia a rotelle, dove ha meritato ampiamente il secondo posto.
Nell’isola portoghese di Madeira si è svolta la World Down Syndrome Championships riservata a tre competizioni: atletica leggera, tennis tavolo e basket. E qui le medaglie sarde, figlie della FISDIR (Federazione Italiana Sport Disabilità Intellettiva Relazionale) fioccano: Chiara Statzu da Marrubiu, militante nella Sa.Spo. Cagliari è oro mondiale sugli 800 mt piani con il miglior tempo di tutti i tempi, a cui si aggiunge l’argento nei 400. La sua compagna di scuderia, Sara Spano da Cagliari, coglie il primo posto nella 4X 100 e 4X400 assieme a Pertile, Orlando e Zeni, realizzando anche un record mondiale e un record europeo. Inoltre il bronzo nei 100 mt le frutta il record europeo.
Chiara è sempre stata seguita dal tecnico saspino Katia Pilia, mentre Sara ha dapprima affinato il bagaglio da velocista con i tecnici Antonio Murgia e Pilia, poi è andata alla corte di Italo Perra, pur rimanendo tesserata Sa.Spo.
Nella squadra di basket 3×3 laureatasi campione del mondo nell’arcipelago dell’Oceano Atlantico militano anche Antonello Spiga di Oristano e Fulvio Silesu da Marrubiu, entrambi della società Atletico A.I.P.D. Oristano. Del team azzurro coordinato dal tecnico Giuliano Bufacchi e composto anche da Alessandro Ciceri, Gianluca Lafornara, Francesco Leocata ed Emanuele Venuti, fa parte anche l’allenatore Mauro Dessì di Oristano.
Risultati così rilevanti che invogliano il Comitato Italiano Paralimpico Sardegna a continuare il suo disegno ambizioso che mira a forgiare tanti campioni, anche in vista delle Paralimpiadi di Tokio. “Mi complimento con tutti i nostri campioni – sottolinea il commissario straordinario del CIP Sardegna Paolo Poddighe – perché oltre ad essere bravi, incarnano la figura dell’atleta valoroso che dopo tanti sforzi e mille peripezie riesce a fare la differenza a livello internazionale. Il CIP continuerà a supportare le federazioni perché siano sempre in prima fila nell’attività di reclutamento dei tanti disabili che grazie all’attività sportiva hanno l’opportunità di togliersi tante soddisfazioni”.
GIOVANNI ACHENZA: QUANDO LA CAPARBIETÀ AIUTA A NON ARRENDERSI
Arrovellarsi per tenere alta l’asticella della perseveranza. Giovanni Achenza è reduce da una stagione che gli ha regalato tanti successi, ma lui non nasconde l’insoddisfazione perché pretende qualcosa di più. Nei prossimi giorni parte a Verona per sottoporsi a nuovi test e condividerli col suo allenatore Mattia Cambi: vuole continuare con un’adeguata preparazione che gli consenta di superarsi ancora nel 2019. Il paratriathlon riserverà altre gare mondiali mirate, come già accaduto nella stagione appena conclusa nelle missioni a Yokoama e Iseo, a cui si sono aggiunte la felice spedizione in Estonia e la sfortunata trasferta in Australia con quel podio mondiale fallito davvero per poco.
Nessuno sforzo lo limita, la sua condizione è talmente al top che si è presentato al Forte Village Challenge Sardinia, evento di triathlon internazionale, con 1.400 partecipanti e dove lui si è cimentato nel 70.3: 1900 metri di nuoto, 90 chilometri di bicicletta e 21 chilometri di carrozzina olimpica. Ha condiviso quest’esperienza con l’immenso Alex Zanardi e sicuramente ne avrà tratto utili auspici.
Il campione italiano di paratriathlon e di handbike in linea medita su alcune anomalie che non gli vanno tanto a genio, pregiudicandone il suo rendimento:
“L’anno scorso nel paratriathlon ero classificato H1 e cominciavo le gare con un gap di 3 minuti. Nel 2018, purtroppo, mi hanno ricollocato in H2 – rimarca Achenza – la stessa categoria che coinvolge coloro a cui manca un piede. Non capiamo il motivo di questa decisione”.
Avevi affermato che la FITRI (Federazione Italiana Triathlon) avrebbe perorato la tua causa
Si sta adoperando per fare luce sul caso: sono state contattate le istituzioni internazionali: hanno ricevuto materiale fotografico ritraente tutti quelli che, come me, gareggiano in H1, cioè con il mio stesso grado di disabilità. Loro continuano a stare lì mentre io sono stato collocato in H2, con i più forti. Sarà perché ho preso la medaglia a Rio?
Non ti dai per vinto in partenza
Così restando le cose dovrò continuare a fare i conti con quelli che pur avendo la mia stessa disabilità, partono tre minuti prima. E quindi devo andare a riprenderli, cosa che mi è riuscita in Australia. E poi ci sono i paratleti che hanno una disabilità molto diversa dalla mia, meno invasiva e che nonostante ciò partono assieme me. Loro alla lunga mi sfuggono perché effettivamente sono avvantaggiati.
Rimane il fatto che il tuo stato di forma è eccellente
Dall’esperienza australiana mi sono reso conto di essere migliorato tantissimo fisicamente, perché ho realizzato un tempo che è andato sotto l’ora: (58 minuti). Da quel punto di vista sono rimasto contento. Il rammarico è arrivato da un ragazzo amputato bilaterale, il britannico Townsend (H2), che precedendomi di trenta secondi mi ha impedito di salire sul terzo gradino del podio.
ORESTE LAI: IL BELLO DEVE ANCORA ARRIVARE
Non ha mai mancato una finale in vita sua. Un cecchino di razza che il Commissario Tecnico della Nazionale di Paratrap Benedetto Barberini considera, al momento, l’unico rappresentante della sua categoria idoneo a partecipare alle competizioni internazionali. Notizie di seconda mano che Oreste Lai apprende con piacere anche se non devono destare chissà quale sorpresa dal momento che negli ultimi undici anni è stato il più forte in Italia nella SG-S e da qualche mese può bearsi anche del titolo di vice campione del mondo. Meglio di lui ha fatto solo l’australiano Scottie Brydon. Certo è che il tiratore scelto di Sestu avrebbe messo il fiato sul collo all’amico avversario se non fossero sopraggiunti degli inconvenienti: “Non ho paura del confronto, e non sono soggetto ad ansie da prestazione. La gara l’ho affrontata in salita – – afferma Oreste Lai – perché riuscire a capire il funzionamento dell’attrezzatura che hai in dotazione, specie dopo un anno, non è semplice”.
Come ti sei districato?
Non potendo strafare, l’unica soluzione era procedere in maniera fluida. Anche il cambio di temperatura, in un periodo dell’anno (ottobre) dove in alta Italia fa già fa freschetto ha inciso. Dovendo gareggiare con le maniche corte, cambiano tante cose: visuale, tiro, avvistamento del piattello con gli occhi, attività muscolare.
Però ci hai provato
Nella prima parte della gara ero in testa con 2 punti di vantaggio. Ma in questo tipo di competizioni mondiali il punteggio iniziale si annulla e i primi sei accedono alla finale ripartendo da zero.
Poi cosa è successo?
In avvio ho perduto dei punti che poi sono risultati fatali per il mancato primo posto.
Stringendo i denti sono andato avanti alternandomi nelle prime posizioni fino a quando ci siamo ritrovati in tre a giocarci il titolo mondiale.
Un finale mozzafiato
Ho battagliato fino alla fine, a volte in vantaggio, a volte indietro, ma ero lì a lottare per i primi due posti. Sotto la pioggia e con un freddo fastidioso sono riuscito a cogliere l’argento. Ma ripeto: se non hai fiducia nell’attrezzo che maneggi tutto è più difficile.
Hai più volte dichiarato che tra avversari c’è un perfetto clima di sana competizione
A Scottie Brydon ho già detto che ai prossimi mondiali che si disputeranno a casa sua sarò io a sfilargli il titolo, come lui ha fatto con me qui in Italia. Se ci diciamo queste cose con tanto candore è perché in questi ultimi quattro anni il gruppo di noi finalisti ha stretto una bella amicizia. C’è talmente tanto affiatamento che durante le gare non mancano gli incoraggiamenti e i complimenti vicendevoli.
L’anno prossimo ci saranno varie cose, che culmineranno con i Mondiali in Australia.
Spero di essere assunto in Polizia perché anche con la sicurezza economica certe spese onerosissime legate all’esercizio della disciplina vengono attenuate.
Girerai nuovamente per il mondo
Continuerò ad allenarmi a Villasor, ma prevedo già di tornare a Dubai e probabilmente mi attendono Croazia, Malesia, Francia e Australia.
CARMEN MURA: LA SARDEGNA DEVE ANDARE FIERA DEI NOSTRI CAMPIONI
Come può dimenticare un anno così prodigo di soddisfazioni? La delegata regionale FISDIR Carmen Mura ha sempre in testa i visi sorridenti di Chiara, Antonello, Sara e Fulvio, sardi tenaci che hanno raggiunto traguardi che destano ammirazione e fanno tanto pensare. Ma per il suo comitato sardo è stato anche l’anno dei Campionati Italiani di equitazione a Fenosu (Oristano) che a livello societario hanno riservato un podio tutto sardo con il successo del Club Ippico Capuano di Alghero, seguito dall‘ ASD Quore di Pabillonis e dall’Ippica Giara Oristano. “Sicuramente è stato un bell’impegno per la federazione ma è andato tutto benissimo – afferma Mura – al punto che abbiamo ricevuto attestati di stima da parte dei presenti, segno che il team della Fisdir Sardegna ha lavorato bene”.
Ma torniamo a Madeira
Come delegazione di atleti quella sarda era la più numerosa rispetto alle altre regioni. Una piccola isola che riesce a portare in nazionale quattro atleti significa che il movimento gode di ottima salute.
Goduria allo stato puro
Sono andata ad accogliere i protagonisti in aeroporto quando sono rientrati ed è stata una grande emozione anche per me, non pensavo di reagire così, ma la loro contentezza era trascinante. Vederli con le medaglie al collo, consci di aver realizzato delle belle imprese, è un quadretto impagabile.
Cosa c’è dietro?
Tante cose. Intanto il lavoro delle famiglie, aspetto importantissimo, che danno il loro benestare affinché queste persone facciano dello sport. E poi meriti da ripartire anche tra le società, i tecnici e i presidenti che fanno sforzi notevoli per farli allenare.
Un’occasione unica per avvicinare allo sport tanti altri disabili
Viviamo ancora in un mondo parallelo dal punto di vista sportivo. Però avere risultati di questo genere ci mette nelle condizioni di essere presi in considerazione, di avere rispetto del lavoro che viene fatto dal mondo paralimpico.
Con grande entusiasmo anche del CIP
E’ giusto che la FISDIR continui a collaborare con il CIP e tra l’altro i rapporti con lo staff del commissario straordinario Paolo Poddighe sono ottimi e la Giornata Regionale Paralimpica di Nuoro ha contribuito a questo.
MAURO DESSI’: LA FATICA APRE LE PORTE ALLE GRANDI CONQUISTE
Farli giocare a basket non è stato semplice e il traguardo raggiunto da Antonello Spiga e Fulvio Silesu sa tanto di sacrifici pluriennali. Lo sa bene il coach oristanese Mauro Dessì, braccio destro del tecnico della nazionale italiana basket Sindrome di Down Giuliano Bufacchi.
Tutto nasce ad Oristano, all’interno dell’Associazione Italiana persone Down che si propone di aiutare gli aderenti a lavorare sull’autonomia e sull’indipendenza. Gli sforzi si concentrano sull’avvio al lavoro, e allo stare insieme. E tale percorso è stato potenziato con la pratica sportiva. Avendo a disposizione un bacino d’utenza di circa 30 persone, Dessì ha sondato il terreno nel tentativo di costituire un team che giocasse a pallacanestro. La proposta ha preso forma nel 2005.
“Non è stata una cosa improvvisata – chiarisce subito Mauro Dessì – perché il successo è arrivato dopo tanti anni di allenamento. Prima Antonello e Fulvio si confrontavano con i dir (disabili intellettivi relazionali) e quindi si scontravano anche con persone fisicamente a posto, da due anni invece giocano tra loro.
Tredici anni sono tanti..
Qualcuno si è perso per strada, qualcuno si è aggiunto. Ma in quel gruppo storico c’erano sia Antonello, sia Fulvio. Poi abbiamo ricevuto la visita del responsabile tecnico della nazionale Giuliano Bufacchi, impegnato nelle ricognizioni presso tutte le società italiane. Da lì la convocazione dei due nostri corregionali; inoltre mi è stato chiesto se potevo dare una mano nello staff tecnico della nazionale.
Far giocare gli atleti con sindrome di down a basket è stato complicato?
Direi di sì e chi li ha visti lo conferma senza orma di dubbio. Il gioco è molto complesso e difficile per loro; a parer mio ci puoi riuscire dopo tanto lavoro. Sono soddisfatto, Antonello e Fulvio lo praticano sin dagli albori ed è normale che all’interno della squadra spiccasse il loro talento.
Come hanno vinto il titolo?
La differenza l’ha fatta la parte fisica perché dal punto di vista tecnico erano bravi anche i portoghesi. I nostri hanno risposto di più sul gioco di squadra e poi hanno difeso meglio. Emergere sul piano fisico non è poco per chi ha la sindrome di down.
Perché?
Quando ho iniziato, ciò che mi preoccupava era che i nostri ragazzi avessero paura del contatto fisico. Invece a Madeira si sono piazzati davanti agli avversari e non facevano passare più nessuno. Antonello nella finale è uscito per cinque falli, a dimostrazione che ha utilizzato tutte le risorse fisiche a sua disposizione per contrastare l’offensiva avversaria.
Traccia un profilo dei due campioni del mondo
Fulvio è molto tecnico, ha una buona corsa e un buon tiro dalla lunetta, tutto ciò che passa in quella zona lui raccoglie e tira. Fuori dal campo è molto socievole va d’accordo con tutti, è il classico tranquillone molto rispettoso del prossimo e per questo è ben voluto.
Antonello?
Lui è molto grintoso e determinato. All’interno del gruppo è un leader perché dotato di una maturità fuori dal comune e riesce a trascinare i suoi compagni. Dal punto di vista realizzativo forse è stato meno incisivo rispetto ad altre esperienze ma rimane un perno importante del collettivo.
La Nazionale italiana su quali fronti agirà in futuro?
Fra due anni ci sono i Tresome Games in Turchia, tra quattro i mondiali in Australia.
E nel mentre l’Atletico A.I.P.D. Oristano farà in modo di restare nella sua orbita..
Ci prepareremo al primo campionato nazionale previsto, forse, in primavera. Probabilmente aderiranno circa 6-8 squadre. E noi ci vogliamo essere perché ho sette ragazzi che giocano.
Tiriamo le somme dall’ esperienza portoghese
Questo successo non deve passare inosservato, è bene far trasparire che dietro una grande fatica quotidiana c’è la possibilità di farcela. Ci sono tanti ragazzi non disabili che tra i 17 e i 20 anni non si allenano più perché hanno poca voglia di sacrificarsi. Devono trarre esempio dalla buona volontà di questi ragazzi.
KATIA PILIA: FIERA DI ESSERE UN PUNTO DI RIFERIMENTO PER LA CRESCITA DELLE DUE CAMPIONESSE MONDIALI
Vestire i panni di un’allenatrice in certi casi aiuta a captare meglio certi influssi positivi che circolano festanti anche negli angolo più remoti dell’encefalo. Quando un’atleta, seguita sin dai primi passi della sua formazione, arriva a raggiungere traguardi immensi tanta gaiezza è giusto che traspaia in maniera debordante. Il tecnico della Sa.Spo Cagliari Katia Pilia a distanza di oltre un mese dagli ori conquistati a Madeira da Chiara Statzu e Sara Spano continua a versare lacrime di gioia.
“Le ragazze hanno dimostrato fin dall’inizio un ottimo potenziale – dichiara la donna originaria di San Sperate – e lungo il loro percorso hanno dimostrato di essere tenaci, caparbie e determinate”.
Merito anche della tua società
La Sa. Spo ha creduto in loro fin dall’inizio, continua a farlo con grandi dispendi di risorse. Ma gli investimenti sono stati ripagati con gli interessi, visti i risultati ottenuti. L’impegno anche dei miei colleghi allenatori è continuo, la sinergia con le famiglie è indispensabile per raggiungere obiettivi importanti.
La vita di Chiara e Sara è cambiata?
Meglio dire che è stata stravolta. Allenamenti, gare e trasferte scandiscono giorni, mesi e anni, del loro percorso esistenziale. Si ritrovano continuamente davanti a obiettivi sempre diversi che portano con sé stimoli ed emozioni sempre differenti. Fanno nuove esperienze oltre mare, si misurano in contesti differenti dove mettono alla prova le loro autonomie non solo a livello sportivo. E poi conoscono nuove persone, instaurano rapporti e relazioni. La loro vita migliora in tutti i sensi e vivono la quotidianità con maggior senso di responsabilità.
Sono un buon esempio per chi non ha il coraggio di uscire allo scoperto..
Si immergono in situazioni variegate che tanti loro coetanei neanche immaginano. Sara e Chiara sono l’emblema dello sport come carta da giocare per una esistenza piena e indipendente.
E poi non si sentono appagate
Chi si ferma è perduto. Credo che possano migliorarsi, perché tutto è in evoluzione, sono ancora giovani. Ma perché ciò accada è indispensabile il continuo pungolio di tecnici, società e famiglia, affinché le ragazze siano stimolate e incoraggiate. Bisogna mettere in conto qualche delusione, anche se ci auguriamo di cuore che ciò non accada mai. E anche su questo aspetto il nostro ruolo è preminente. Per il momento cerchiamo di lavorare pensando al presente, puntando al lavoro sodo e umile, verso la conquista di nuovi risultati.
Ci dici cosa hai provato dopo le grandi conquiste portoghesi?
Le emozioni non sono semplici da esprimere a parole. Si traducono in felicità, orgoglio e gratitudine nei confronti della società e delle famiglie che ci affidano i loro figli, i beni più preziosi a loro disposizione. E ovviamente anche verso gli atleti che con il loro entusiasmo ci spingono a fare sempre di più, a metterci in gioco, perché tutto questo è un continuo crescere insieme. Hanno bisogno di tecnici che credano e diano il massimo. Finché troverò opportunità accattivanti lavorerò per metterle in pratica con l’obiettivo di ottenere risultati sempre più interessanti. Abbiamo un ruolo fondamentale: credere in loro ed essere una guida in questo percorso sportivo.
E’ possibile seguire le attività del Cip Sardegna nella rinnovata pagina Facebook e sul sito web ufficiale www.cipsardegna.org