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La faccia oscura della Luna :
Ginevra

Si guardo' a lungo allo specchio che rifletteva l'immagine di una donna in piena
decadenza fisica…il viso gonfio, il trucco disfatto, i capelli con un volgare
segno di ricrescita alle tempie, le pieghe  del collo che inesorabili svelavano
l'età che passava, il seno flaccido e il ventre solcato da smagliature infinite
e impietose.
Ginevra torse le labbra in una smorfia di scontento e sospirò…non si piaceva,
e cominciava ad odiare la sua incapacità di non farsi catturare dalle sensazioni
di un momento, di voler bruciare in un'avventura di poche ore la sua ansia e il
dolore di vivere.

Era uscita con due amiche e alla festa aveva apprezzato la corte garbata e
piacevole di uno sconosciuto, ma poi era finita a letto con il suo amico…aveva
bevuto un po' troppo, fumato un po' di tutto e una striscia  di cocaina le aveva
dato il colpo di grazia.
Lui era andato via da poco, e il letto disfatto conservava ancora la sua
impronta, il suo odore. Ginevra si rese conto di non ricordare il suo nome…ma
forse non lo aveva mai saputo. In realtà non importava, e forse era meglio
così…non lo avrebbe mai più rivisto e se fosse successo le sarebbe stato più
facile fingere di non conoscerlo.
Lui era uno dei tanti sconosciuti ai quali permetteva di frequentare il suo
corpo, ma non di possedere, neppure per un attimo, un frammento del suo cuore e
un'eco lontana delle sue emozioni.

Ginevra viveva così da quindici anni…lavoro gravoso da operaia tessile e casa
e qualche fugace serata di sesso raccolta per la strada come una cartaccia
inutile. Il giorno dopo, riprendeva il suo lavoro di operaia modello per poi
precipitare nella voragine dello sballo il venerdì e il sabato sera. 
Viveva così da quando il marito l'aveva lasciata…dopo una notte d'amore che
lei gli aveva strappato cercando di spezzare il mutismo e il gelo che lo avevano
allontanato negli ultimi tempi. Ma all'alba lui l'aveva irrisa e se n'era
andato, senza darle alcuna spiegazione…era semplicemente sparito dalla sua
vita, come una nuvola in un cielo che si rasserena. E da quel momento non aveva
più voluto sentirla, ne' aveva più voluto vedere i loro due bambini che a lungo
avevano cercato il padre per poi rinunciare a quella speranza struggente.
Si erano chiusi in un mutismo impenetrabile e quando la mamma aveva buttato in
alcune buste dell'immondezza i suoi abiti, le sue scarpe, i suoi libri e una
raccolta preziosa di dischi, i due bimbi l'avevano aiutata a buttare tutto negli
appositi cassonetti.
E da quel giorno anche loro cercarono in tutti i modi di dimenticarlo.
Aveva amato quell'uomo, dal primo momento che lo aveva visto  passeggiare nel
Corso…elegante, un abito gessato che ne accentuava la figura snella, una
sigaretta nella mano ben curata…e un sorriso da simpatico ribaldo che l'aveva
conquistata. Lei allora era bella e dotata di fascino e grazia…forse la
ragazza più splendida della città, corteggiata dai giovani e ammirata dalle
altre donne che le riconoscevano una classe non comune e che, rassicurate dalla
sua modestia, potevano permettersi di non sentirla come un'avversaria.
Era stata felice, Ginevra, con Maurizio…e dopo l'abbandono lo aveva odiato con
la stessa intensità dell'amore scomparso. Odiava il suo ricordo, e fu
soddisfatta quando si rese conto, un giorno, di non ricordarne più il viso.
Eppure il suo nome aveva ancora il potere oscuro di farla precipitare nel
panico…e quando un giorno stava per cedere alla corte insistente ma gradevole
di uno sconosciuto, bastò che lui le dicesse di chiamarsi Maurizio per spezzare
l'incantesimo del momento e consegnarla al gelo di un lontano ricordo.
Quando Maurizio era morto, ucciso da un'overdose di eroina, lei aveva riso
istericamente e ai figli, ormai grandi, che la guardavano preoccupati, aveva
sibilato…e' morto da merda, come e' vissuto.

Lo specchio, quel giorno, le parlo' con voce nuova e insistente.
Gli anni passavano e con loro la vita le indicava che non aveva più tempo.
Ginevra si allontano' dal letto disfatto con un moto di repulsione, avvertì un
vuoto improvviso, una vertigine mortale e la bocca arida. La finestra aperta
l'attirava con una forza irresistibile…sarebbe stato facile lasciare quella
stanza volando incontro al nulla…sarebbe finito tutto, non avrebbe più avuto
paura di un nome e di una stagione lontana che ancora la feriva con artigli di
fuoco.
Avanzo' verso il davanzale…si sentiva leggera e pronta…l'aria esterna era
fresca e agitava lievemente le tende…in fondo sapeva che l'avrebbe accolta 
un'aiuola ben curata, dove i vecchi sedevano per riposare e i bimbi giocavano
nella calura estiva.
Si fermò quando senti' il ronzio del telefono…torno' indietro…un momento e
poi avrebbe finito ciò che aveva iniziato…rispose…ascolto' e scoppio' a
piangere come non le capitava da anni…un pianto convulso, spezzato dai
singhiozzi…e poi dolce, quando nell'animo sordo alla vita senti' la voce di
Giada, la figlia amata, che si era allontanata per cercare la vita negata in un
altro mondo…la chiamava….mamma, e' nata Ginevra, come te…ma sarà una bimba
felice se tu le vorrai bene e le insegnerai a vivere..
Il vento cesso' di agitare le tende. E lo specchio perse la sua voce. 

Tonino Serra.