602489_10151965966680253_354283883_nI Gozzi erano stati caricati il giorno prima, operazione mai facile perché non disponevamo di una sede appropriata, anzi non disponevamo nanche di una sede vera e propria. Il nostro habitat (che all’epoca veniva comunemente chiamata la sede dei subacquei e io e Buzzico eravamo “I Palombari”) era quasi un container sistemato in prossimità della spiaggia centrale dove tenevamo le attrezzature subacquee con i serbatoi della benzina dei gommoni a noleggio. Era una situazione di promiscuità indicibile, ma mai nessuno se ne lamentava e tutti sapevano cosa fare anche perché nessuno sapeva esattamente come farlo visto che eravamo dei pionieri!

Quell’anno avevamo fatto delle migliorie e, invece di abbandonare le imbarcazioni alla ruota davanti alla spiaggia, eravamo riusciti ad armare un campo boe dentro il porto ancora in costruzione. Credo che il tutto fosse avvenuto come motto spontaneo e che nessuno avesse chiesto il permesso per poterlo fare, ma allora il porto era ancora terra di confine e chi per primo esponeva il suo vessillo poteva accampare diritti e noi eravamo dei grandi piantatori di bandiere! 

Per andare a prendere i gozzi in porto ci servivamo di un piccolo tender “Lo Scrondo”. Lo chiamavamo cosi perché era brutto, piccolo, sempre sporco, puzzava ma aveva una potenza spaventosa. Era un gommone di 2,7 mt a chiglia rigida con un fuori bordo a barra da 35 cavalli e ci voleva la patente nautica per governarlo! Lo Scrondo veniva utilizzato per i lavori portuali e per scaricare l’immondizia che veniva riportata quotidianamente dalle cale con lo “Scavafango”, uno dei gozzi “multitasking” del diving. 

Ma veniamo ai fatti nello specifico: quel giorno eravamo in navigazione dalle cinque, partiti in sordina cercavamo di non dare nell’occhio perché non eravamo esibizionisti e il basso profilo era da sempre la nostra linea comportamentale, tranne quando arrivati sul relitto facevamo i fenomeni chiedendo ai clienti se preferissero avere l’ancora nella zona di poppa o in quella di prua, talmente eravamo precisi nel localizzare il relitto con le sole mire a terra.

A tal proposito devo confessare che una volta avevamo fatto un finto ormeggio per depistare i colleghi di un altro rinomatissimo centro subacqueo vicino al nostro. Non c’era rivalità, non potevamo competere eravamo troppo scarsamente equipaggiati. Semplicemente ci irritava che noi dovessimo partire all’alba come dei profughi e loro, biondi, atletici, fisicati, con le loro uniformi azurre e i calzoncini gialli, sempre all’altezza della situazione con il loro fottutissimo “Moo Two” (gommone da 10,5 mt con due fuori bordo da 200 Hp), partissero circa tre ore dopo di noi per arrivare contemporaneamente e ormeggiarsi di fianco senza doversi sbattere per trovare il relitto. Non era accettabile!

Gettammo  volutamente l’ancora tenendoci allineati con una delle due mire per farli cadere nel tranello. Avisammo i clienti di prepararsi a bordo ma di non entrare in acqua perché ci saremo spostati (erano tutti molto felici di essere coinvolti in questa infamia). Quando Manuello, istruttore capobastone del diving contendente, arrivó e diede fondo all’ancora ci fece cenno, noi salutammo rispettosamente. Lasciammo che facesse il suo briefing, che saltasse in acqua con i suoi clienti e quindi…. salpammo l’ancora per spostarci sul relitto! Ricordo ancora la sua espressione che lasciava intendere: “ma…come…ma allora…BASTARDI!” io e Buzzico, molto compiaciuti di questa carognata ci sentivamo come Il pastorello Ebreo che combattendo per Saul ebbe la meglio contro il campione dei Filistei “Goliah”.

Ma questa era ordinaria amministrazione, scherzi tra colleghi, solo non avrei voluto essere nei panni di Manuello quel giorno, tutto qui. Se oggi legge queste righe colgo l’occasione per chiedere scusa, considerando anche che in seguito siamo diventati buoni amici e abbiamo condiviso tante esperienze, di mare… e non solo.  

Torniamo a noi: al traverso di Cala Gonone cominciarono, improvvise come la campanella alla fine della ricreazione, le prime raffiche di maestrale foriere di sventura. I clienti non dissero niente ma io e Buzzico, bugiardi come un Presidente del Consiglio di quelli moderni, ostentavamo calma e sicurezza pur consapevoli che ci stavamo apprestando ad affrontare una situazione a dir poco “sfavorevole”. In meno di cinque minuti quella che sembrava una brezza leggera si trasformò in un vento forte per evolvere in Burrasca; ma noi, sicuri di poter gestire la situazione comunque, non prendemmo neanche in considerazione l’ipotesi dell’inversione di rotta. KT12 si era detto e KT12 doveva essere!

Ormai non sono piu coinvolto nel mercato della subacquea, a nessun titolo, e posso anche ammetterlo: “non volevamo restituire i soldi!”. Di fare altre immersioni non se ne poteva parlare, il supplemento dovuto dai clienti era giustificato solo da “quel Relitto” e le energie delle quali disponevamo all’epoca erano tali che credevamo di poter fare quasi qualsiasi cosa. In effetti quello che ci venne in mente di fare poteva essere giustificato solo da enormi cariche ormonali o da insano masochismo. 

Sul relitto non c’era verso di dare fondo all’ancora in modo sicuro, uno di noi si doveva calare e assicurare una cima sul relitto! Ma chi poteva governare il secondo gozzo? Ideona, credo mia, non mi sento di accollare a Buzzico questa responsabilità (anche perché lui ancora lavora come istruttore subacqueo di successo): legare insieme i gozzi per tenere la prua di entrambi al vento con un solo motore! Neanche male come idea, modestamente, ma le condizioni erano veramente impegnative. Buzzico si calò  con una lunga cima legata ad un parabordi e riuscì, credo con del serio impegno, ad assicurare un’ancora in maniera efficace. Io governando alla bene e meglio guadagnai il parabordi e l’ormeggio era fatto! E queste sono soddisfazioni.

La vestizione era già stata effettuata per tempo, considerando che venivamo continuamente sferzati dalle onde spinte dal vento di maestrale non era sembrato illogico a nessuno indossare la muta e, ai piu previdenti, anche la maschera per proteggere gli occhi. Tutti sanno che le condizioni meteo marine trovano un confine invalicabile alla superfice e che il vento forte e il moto ondoso dopo pochi metri di profondità diventano un problema trascurabile, almeno fino a quando non devi tornare in superfice. Quella volta no, quella volta c’era una corrente che neanche nelle pass di Guraidoo alle Maldive mi è mai capitato di dover gestire. Scendemmo lungo la cima messa da Buzzico che sembravamo le bandierine di un gran pavese durante una burrasca. Insistevamo perché sapevamo che il relitto ci avrebbe protetto, con la sua mole, dalla forte corrente. Le cose non andarono male durante l’immersione e il giro del relitto si svolse secondo briefing.

Durante la risalita il gioco si fece maschio. Nessun problema di rilievo se non qualche Aladin (computer da immersione molto diffuso all’epoca) che istericamente insisteva nel segnalare un temporaneo eccesso di velocità,  dovuto al violento beccheggio delle imbarcazioni spinte dal maestrale che spirava almeno a 30 nodi! Uno dei clienti, nonostante lo sconsiglio sia mio che di Buzzico, aveva voluto portare con se la telecamera scafandrata, ma non dovete pensare alle moderne GoPro quella era una Video 8 con scafandro Nimar, pacco batterie e illuminatori alogeni un “pupo” da almeno 7 Kg fuori dall’acqua; la corrente glielo strappò via dalle mani e la Posidonia Oceanica credo lo custodisca ancora oggi molto gelosamente.

Riuscimmo a ritornare a bordo tutti, e già era un gran successo, e anche tutti incolumi. Levammo l’ormeggio da sopravento e con la coda tra le gambe invertimmo la rotta. Il maestrale ci costrinse a navigare sottocosta e la rotta si allungò di almeno 7/8 nmi. All’unanimità, mia e di Buzzico, si decise di non fare la seconda immersione e quando disidratati, salati, esausti e demoralizzati decidemmo di fare una sosta a ridosso di Portu Quau…. la sfiga dimostrò tutto il suo astio verso di noi. Ricordate la mia teoria iniziale dell’energia negative che permea i relitti e il suo pericoloso accumularsi? Ebbene quel giorno noi eravamo i suoi catalizzatori e l’ancora si incattivii sulle lamiere di un altro relitto che giace proprio in quel punto. Ma si incagliò in un modo tale che neanche tirando con il motore riuscivamo a salparla. Dalle una….. dalle due… al terzo tentativo fallito decidemmo di lasciare li l’ancora perché non ne potevamo piu di quella giornata. Detto cosi sembra facile, ma il fraseggio era tale che anche i clienti atei, sentito quello che Buzzico diceva a gran voce, si fecero il segno della croce, quasi a volersi preventivamente dissociare, vista la piega che le cose stavano prendendo! Rientrammo a Santa Maria Navarrese con il morale bassissimo e con l’autostima di un paguro bernardo che decide di eleggere a sua dimora un pacchetto vuoto di sigarette. I clienti non proferirono una parola, noi nemmeno e i ragazzi che si occupavano del noleggio dei gommoni intuirono cosa fosse accaduto ma per solidarità non chiesero niente, ci offirono solo una “Ichnusa sudata” e si sedettero con noi a guardare l’isolotto che spariva nell’oscurità della sera, fumando un’ultima MS. Quella giornata fu una di quelle cose delle quali non parlammo mai piu !!!