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Suggestioni: Perdarba

 

Oggi Perdarba e' un mosaico bizantino rilucente dei colori più caldi
dell'autunno.
Si susseguono, sui terreni terrazzati, le vigne che si consegnano al sonno
invernale e celebrano prima di dormire i colori più belli inventati da un dio
benigno innamorato dell'uomo. Le foglie rubano al sole radente i colori più
intimi dell'autunno…il rosso fiamma, il marrone nelle sue varianti infinite,
il giallo dorato che si frappone al reticolo palmato, il verde che si stempera
in colori mutanti.
Perdarba annuncia Ierzu,oltre la collina che si affaccia sulla vallata di
Baginiedda ancora stranamente verde, dopo essersi ribellata all'incendio che
trent'anni fa ne distrusse la foresta di antichi lecci…loro si rifiutarono di
morire e oggi risplendono sotto un cielo attraversato da raggi luminosi veloci,
che durano un attimo, prima di adeguarsi a questo giorno grigio.
Sono vigne antiche, morbide macchie colorate separate da vaste aree alberate o
coperte dalla macchia. Fino al 1860 erano terreni comunali roccioso adibiti a
vidazzone, la coltivazione a grano che ogni tre anni lasciava il posto al
paberile…il pascolo del bestiame rude; poi le leggi sabaude imposero di
lottizzare il terreno per distribuirlo ai contadini…così, tirando a sorte,
come i panni lacerati di un Cristo in croce, che non può opporsi.
E invece, a Jerzu, dodici poveri cristi di ribellarono quando i lotti meno aridi
furono assegnati alle famiglie più potenti e più arroganti. Una sommossa
popolare con tanto di assedio manzoniano del municipio, che costo' mesi di
galera a contadini colpevoli solo di difendere la propria dignità.
E quando riacquistarono la libertà si videro assegnare i lotti più aridi…delle
vere pietraie.
Ne fecero dei giardini, liberandole dei sassi anno dopo anno, costruendo dei
ricoveri essenziali per gli attrezzi o come ricoveri durante le piogge
improvvise che gonfiavano il torrente di Perdarba e di Sa Menga, imbrigliando i
torrenti, costruendo muretti a secco.
Gli antichi padroni sono oggi scomparsi. Restano queste terre colorate dal solo
autunnale, il guaito di cani alla catena in orti nascosti…e il cielo eterno
attraversato da nuvole bianche.
Tutto e' silenzioso e mi avvio tra le vigne che sembrano quadri impressionisti.
Mi guardano tra gli alti ceppi racimoli non colti di acini pieni, di
ardesia…non sa scalonina che rovina il vino, ma proprio uva matura per gli
uccelli dell'aria e per chi…come me…non ha ancora pranzato.
Mai mangiato uva più saporita. Mi dicono che il vino di Graziano Carta, di
Antonio Sioni sia un nettare…e non può essere diversamente perché il luogo e'
di un fascino divino.

Distava mezz'ora di cammino, la nostra vigna, a cavallo tra Salemoni e Perdarba
de susu.
Vasta, ricopriva un pianoro a monte della strada reale che menava a Cagliari, e
si arrampicava fino alla cima della montagnola che guarda verso la cappella del
Salvatore, nel valico di Gennecresia.
Ci torno, come faccio quando ho la ventura di passare in questa carrareccia
appartata. E ogni volta ho un momentaneo senso di struggimento, perché il mio
luogo dell'anima non esiste più.
La vigna non ha più i ceppi con tralci rigogliosi di verde…resistono, tra
l'erba alta per la pioggia recente, alcuni pampini bassi che scompaiono nel
verde; i ciliegi, che separavano l'orto da su tacinu, sono morti perché sono
fragili come i bambini e come loro bisognosi di cure e di affetto…sono stati
sostituiti da forti castagni.
Tutto e' piccolo…un orto per bambini…arance come grosse noci, pomodorini
dolcissimi che mangi con un solo boccone e che farebbero la gioia dei piatti
carlofortini…e castagne microscopiche, frutto generoso di alberi alti, ormai
secolari…e forse capisci che da questi rami contorti come le dita di un
vecchio, non possono che nascere frutti così piccoli. O forse hanno queste
dimensioni i ricordi dell'infanzia, che guardiamo da lontano.
Resiste ancora la casa, che ha la mia età…se li porta peggio  del padrone, i
suoi anni.
Volevo farci il mio studio da liceale…pieno di fossili, di libri antichi, di
un pianoforte  che sogno ancora di imparare a suonare. E vedere le albe luminose
su Pissu 'e Monti che mi sta di fronte, e la nebbia che di alza da su Senigi e
la pioggia che spezza la lontananza con piccole fila sottili…e il fumo azzurro
dei fuochi delle stoppie.
Oggi vedo queste volute di fumo denso che si alzano lontane, ne sento il profumo
acre e lo scoppiettio delle foglie verdi…e i contadini vigili su quelle
fiamme.
Nostalgia, rimpianto…non so.
Io sono felice di rivedere le pietre, i fichi, i castagni dei miei anni lontani.
Non mi rattristano le rovine…tutti noi abbiamo nel cuore sentimenti distrutti,
frughiamo tra le rovine per ritrovare noi stessi. Io mi rispecchio nel ciglio
erboso dei viottoli deserti, nel silenzio assoluto spezzato dal vento…mi
ritrovo nelle foglie autunnali e nelle piccole castagne cadute di fronte alla
casa in rovina…le raccolgo e mi riapproprio in un attimo della mia infanzia.

Tonino Serra