5. Cronache di Trinacria: Catania.
Appunti di un viaggio in Sicilia. (5/7)
5. Cronache di Trinacria
Catania.
La tempesta ci accompagna fino a Bronte, dove le strade sono inondare di fiori fucsia e i campi rilucono del verde di innumerevoli fichi…ma non sono fichi, anche se assomigliano. Sono pistacchi, dai caratteristici ciuffi di frutti rossastri e dalle foglie rotonde, e Bronte e’ il paese dei pistacchi.
Ma non posso osservarli a lungo. Sono le due, ma sembra notte e l’unica luce si apre sul mare lontanissimo.
Sotto la pioggia battente, ci rifugiamo nella trattoria Conti, dove mangiamo pasta casereccia ai pistacchi e panna, off course, e un piatto di formaggi e di insaccati locali.
Il padrone, sui quarant’anni, ha una pancia monumentale e sa tutto dei pistacchi…che danno frutti ogni due anni, come gli ulivi di Teliarsu o gli albicocchi di Pelau. Non sa nulla dello sfincione…una sorta di pizza palermitana… e nulla di nulla sulla rivolta del 1860, domata da Nino Bixio passando per le armi alcuni rivoluzionari, che avevano creduto nel cambiamento sociale predicato dal Garibaldi.
Racconta tutto il Verga nella novella Libertà…si quella di “sciorinarono dal campanile un fazzoletto a tre colori, suonarono le campane a stormo, e cominciarono a gridare in piazza: “Viva la libertà!”. Poveri ingenui! Nel 1799, il re aveva infeudato i loro paesi a Nelson, l’Ammiraglio inglese che fece vedere i sorci verdi a Napoleone, e quei vassalli avevano sperato che Garibaldi assegnasse ai poveri i terreni feudali. In poche ore massacrarono i notabili del paese, anche il figlio piccolo del notaio…tanto anche lui sarebbe diventato come il padre e avrebbe affamato il popolo. E invece…esecuzioni sommarie e galera vita.
Quando chiedo a un passante dove si trova il monumento del massacro del signor Bixio…lo chiamano così con un odio mai sopito…mi guarda storto e mi scoraggia…troppo lontano…
Mi indica invece il castello di Nelson, giù, nella vallata.
Immagino che sia una masseria fortificata e infatti lo e’. Non ci interessa e faccio manovra per andare via quando di fronte a noi si staglia, finalmente, l’Etna, in tutta la sua bellezza…una montagna coperta di neve che fuma con due alti pennacchi grigi…un Fujiyama siculo, con tutta la poesia inquietante dei giganti addormentati ma pericolosi.
E infatti, il giorno dopo erutta e la lava inonda i suoi fianchi e la cenere e’ così fitta da far chiudere l’aeroporto di Catania.
Al ritorno passiamo per Adrano, un paesotto di 30 mila abitanti, dove la bellezza artistica si unisce all’allegria e alla voglia di vivere dei vecchi abitanti.
Mai visto tutto insieme un castello normanno, chiese barocche e un viale di jacarande dove si aprono una decina di centri di aggregazione sociale per vecchi, che se ne stanno seduti ai tavolini bevendo vino e ridendo…e vedi all’ingresso dei locali delle tendine di metallo e di plastica colorata, che suonano annunciando i clienti…come quelle dei negozi di Ierzu, che ancora li vedo in sogno.
La Parrocchiale e’ monumentale. Il portone di ingresso e’ spalancato e vedo in fondo, vicino all’altare, gli sposi, mentre la loro auto li attende parcheggiata rigorosamente sulle strisce pedonali di fronte al comando dei vigili urbani. Da una cappella sconsacrata, che si apre sul corso, sento il canto ispirato di “Volare”…un ragazzo tiene il suo saggio di fronte al pubblico di parenti e ad una giuria attentissima, seduta intorno ad un tavolo.
Usciamo da questa cittadina piena di vita al canto di un gallo vicino alla torre…ricordo Socrate…Critone, ricordati che dobbiamo un gallo a Esculapio, non dimenticarlo…
Catania ci accoglie con la forza ardente di una città convulsa, dinamica, ipertiroidea.
Finiamo nell’area del mercato, ormai finito ma pieno di rifiuti di ogni tipo. Un giovane nero corre davanti alla macchina annunciando di fare largo…toglie le scatole vuote, sposta cassette piene di verdure marce, e rimuove d’imperio due tavoli su ruote che espongono Rolex falsi. Non vuole nulla e ci saluta con 32 denti da réclame del Colgate.
Come ho detto, il mio d’albergo nobile dal nome indicativo…Gattopardo house…sta sulla strada principale, che inizia dal parco Bellini…quello dei Puritani, La Sonnambula e della Norma, quella che da’ il nome alla mia adorata pasta con melanzane fritte e ricotta secca…e finisce in piazza Università, dove stanno montando uno schermo gigante per la partita Italia-Inghilterra. Dobbiamo aspettare la mezzanotte per il rito pallonaro, ma di Catania si può dire ciò che Renzi dice di Grillo…non fa annoiare.
Passeggiamo nei rioni storici, spingiamo lo sguardo nei cortili, negli atri nascosti, nelle chiese…poche sono aperte, quando dovrebbero stare spalancate anche di notte perché la sofferenza dell’uomo non ha orari…
Sentiamo le urla dei manifestanti prima di vedere le bandiere di Forza Nuova che fronteggiano una decina di poliziotti in assetto antisommossa…sono trenta ribaldi con bandiere nere e uno striscione…Gli italiani prima di tutto…che contestano un gruppo di immigrati fermi all’altro capo della strada in silenzio con uno striscione…un’Europa diversa e’ possibile. Catania e’ presa d’assalto dai barconi dei disperati che provengono dalla Libia e dalla Tunisia e in città c’è molta tensione…ma non e’ con la paura che si affrontano gli affamati. Se i ragazzi di Forza Nuova si fermassero a guardare gli occhi disperati dei profughi, il mondo cambierebbe all’istante.
L’aria diventa improvvisamente acre. I giovani di destra hanno acceso fumogeni tricolori e il verde, il rosso e il bianco si levano in alto illuminando le prime ombre della sera.
Nella trattoria del Cavaliere ceniamo con linguine ai ricci…da noi ora sono proibiti…e ottimi dolci a base di ricotta. I siciliani mangiano da dio e fanno pagare una fesseria.
In piazza Università si sta raccogliendo il popolo dei tifosi. Molte bandiere, molti bambini.
E’ presto ed entriamo in una chiesa ancora aperta…e assistiamo ad un concerto di musiche di Vivaldi, Bach, Mozart tenuto da dodici maestri del Conservatorio di Catania.
Usciamo incantati da quell’isola consacrata alla fede e alla bellezza e siano tra la folla che canta l’Inno di Mameli. Le braccia di 5000 tifosi si alzano impazzite alla prima rete dell’Italia, cala il gelo per il pareggio inglese e poi la piazza scoppia alla nostra seconda rete vittoriosa.
La notte riprende il suo ritmo. Si torna a casa.
All’angolo con via Minoriti, stesi sul marciapiede, sotto la luna piena dormono abbracciati un barbone e la sua compagna, che un’ora prima si erano disputati una bottiglia di birra facendo rimbombare di insulti feroci la via Etnea.
Tonino Serra.