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  • Prologo
Per comprendere la genesi del tricolore 1969-70 e spiegare la bellissima bizzarria dell’albo d’oro che
appunta la medaglia su un’isola troppe volte ai margini dell’evoluzione italiana, bisogna cominciare da
loro, quel pugno di calciatori capaci di coinvolgere ed esaltare tutta la Sardegna Cagliari, città per tradizione
scettica e poco predisposta alle esaltazioni sportive. Un pugno di campioni veri, nel senso di atleti
capaci di vivere un giorno (lungo un anno intero) da leoni. A guidarli, un “filosofo” dal volto
imperscrutabile e dall’andatura un po’ bohemienne che di nome fa Manlio Scopigno e un condottiero
lombardo che ricorda inossidabili capitani di ventura, acclamato come il superuomo ma che i cori
della tifoseria scandiscono per nome e cognome come “Giggirriva”.


  • L’allenatore filosofo
Il miracolo, l’esaltazione di validi giocatori che diventano Campioni d’Italia mentre tutti si aspettano
che la vittoria vada sempre là, tra Milano e Torino, dove il mare e il rumore delle barche sulla battigia
dei porticcioli è solo un’intuizione, nasce dal filo di fumo dietro cui si cela lo sguardo disinantato di
Manlio Scopigno.
Un friulano di misurate parole (morto nel settembre del 1993), assurto nei primi anni Sessanta a
provinciale gloria alla guida del Vicenza, sua prima panchina importante. Cose da onorevole salvezza
in una terra amante del bel calcio, nulla che facesse presagire l’impatto con la storia. Scopigno era
uomo colto (ma non filosofo, etichetta di colore), esperto di pittura e provvisto di una caustica
intelligenza. Aveva preso per mano la squadra nel 1966, portandola a crescere a poco a poco. Fino
a che, stanco di complimenti, un giorno decise che i tempi erano maturi per colare sull’approssimativa
delizia estetica della squadra “simpatia” il cemento della determinazione.Il cromosoma della vittoria
nasce attorno ai due estremi della squadra: Albertosi, uno dei più forti portieri della storia dei nostro
calcio, e Riva, l’ala dalla dirompente potenza trasformata da attaccante esterno di appoggio in
terrificante terminale offensivo. A protezione, una difesa granitica, pilotata da Niccolai,stopper che
arriverà alla Nazionale per bruciarsi poi nell’ingenerosa fama di leggendario autogoleador.


  • L’inesauribile Domenghini
Domenghini

Angelo Domenghini

Ma il vero capolavoro di Scopigno sta nell’impostazione del

centrocampo, lì dove si decidono le partite, con il suo
quadrilatero che a parlarne così sembra un arroccamento alla
Radetzky. Il capitano Cera, scartato dall’esercito per
un’imperfezione alle dita dei piedi (!), futuro libero “alla
Beckenbauer” in Nazionale, capace di lanci lunghi in profondità
per gli scatti di Riva; il brasiliano Nené, ex attaccante juventino
trasformato in un imprevedibile e imprendibile centrocampista di
qualità, anche lui abilissimo nell’innesco a lunga gittata; e Greatti,
mastino formidabile di temperamento a protezione dell’ago della
bilancia, l’instancabile Domenghini, tuttofare irrinunciabile per
gli schemi cagliaritani. Proprio l’ala ex interista, incessante nel suo
andirivieni sulle fasce con la caratteristica sagoma a cucchiaio, si
rivela l’uomo chiave, il collante tra i reparti che garantisce
solidità, equilibrio e bel gioco.
Cera Pierluigi

Pierluigi Cera

Quanto all’attacco, decisiva risulta l’intuizione del tecnico

nell’estate del 1969: il Cagliari ha due primedonne di micidiale
efficacia, Boninsegna e Riva. Ma, rivalità personale a parte, sono
due centravanti, due primattori d’area. Così Bonimba torna
all’Inter e in cambio arriva il citato Domenghini, in rotta col suo
presidente Fraizzoli, e con lui Bobo Gori, attaccante tecnico e
rapido, spalla ideale per i contropiede fulminei guidati da re
Brenno, epico soprannome elargito al gigantesco Riva dalla
fantasia inesauribile di Gianni Brera, cui si deve l’altro, il più
famoso Rombo di Tuono. Quando il fatidico campionato 1969-
70 arriva, precedendo il Mondiale in terra messicana, ci sono le
condizioni ideali per una sorpresa ai vertici.

 

Le gerarchie classiche vivono un momento di disorientamento, la Fiorentina ha appena vinto lo
scudetto bissando il successo del 1956, l’uomo della provvidenza per le grandi sarebbe proprio Gigi
Riva, ma le offerte milionarie si sono arenate sugli scogli dell’intransigenza dell’interessato, sostenuto
da una piazza in delirio per una così tangibile dimostrazione di affetto. Le frontiere sono chiuse, senza
nuovi talenti è difficile tornare a primeggiare. La partenza del Cagliari è all’insegna dello sprint; al
quinto turno, col successo sul campo dei campioni, a Firenze, arriva il primo posto in classifica.
L’entusiasmo comincia a lievitare intorno alla squadra che non teme nessuno: sicurezza e solidità del
gruppo impressionano gli osservatori, chi vedeva Scopigno più come un personaggio fuori dagli
schemi che come “mago” della panchina comincia a ricredersi. Formidabile la sua abilità nel
“leggere” la pa­tita dalla panchina, approntando fulmineamente le contromisure a ogni mossa
dell’avversario. La squadra è giovane ma ha uomini d’esperienza nei posti giusti, sa dosare la
freschezza atletica al “mestiere”, tatticamente il mosaico è perfetto e a rendere il tutto vincente
provvede la gestione dello spogliatoio da parte dell’allenatore, che abolisce i ritiri e costruisce
sull’amicizia un gruppo impermeabile a ogni tensione.


 
  • Tutti insieme appassionatamente
Si riunivano il sabato sera, poi la domenica mattina al ristorante; l’appuntamento era un’ora prima
della partita, tutti insieme e convinti di farne uno in più degli altri. Chissà in quanti si sono chiesti che
cosa mangiasse Riva per caricare i suoi muscoli o quanti liquidi ingerisse Domenghini per non
smettere mai di correre. Tempi di un calcio diverso, tutto arroccato attorno alla figura mitica del
bomber capace di diventare “sardo” sottopelle (lui, lombardo di Varese) pur di restare trascinatore
di un sogno destinato a diventare leggenda. Riva era il Cagliari, per via di quelle stangate di
terrificante potenza e precisione capaci di sconvolgere in ogni istante il corso della partita, per via del
suo carisma di ombroso condottiero, che gli permetteva di farsi rispettare in area rispondendo
colpo su colpo e di piegare gli arbitri a quella equa concezione del gioco per cui le botte in area,
prese e rese, in gran parte si bilanciavano. Tatticamente intelligente, fulmineo nei movimenti,
eccezionale in acrobazia, di testa e in rovesciata, Riva incarnava la forza di una squadra organizzata
per assecondarne le strepitose qualità e felice di farlo nel pieno di valori tecnici comunque tutt’altro
che di secondo piano.
Il 4 gennaio 1970 il nuovo anno saluta il Cagliari campione d’inverno ed è chiaro per tutti che la
sorpresa ormai è una realtà. L’isola intera si raggruma attorno a quel pugno di ragazzi in rossoblu. I
pastori nelle più inaccessibili zone dell’interno si accucciano la domenica sui declivi facendo
gracchiare dai transistor il calcio minuto per minuto. Si narra che il bandito Mesina, l’uomo più
ricercato d’Italia per i sequestri di persona, spezzi l’assedio della latitanza ogni quindici giorni,
protetto dal riserbo della folla, per confondersi tra la sua gente a trepidare ed esultare per i colori
rossoblu sulle gradinate anguste dell’Amsicora, il piccolo stadio ribollente d’entusiasmo mentre a
breve distanza sta sorgendo il grande Sant’Elia, monumento alla nuova grandezza.
Riva_Gori_Amsicora


  • Tutti in piazza per Gigi
La Juventus, che ha sostituito in panchina Carniglia con Rabitti, è l’ultima ad arrendersi. Arriva a un
punto dai rossoblu, il 15 febbraio, quando l’ex Boninsegna punisce il Cagliari a San Siro, e approda
allo scontro diretto del 15 marzo con due lunghezze da recuperare. Il duello che tiene incoll­ta alla
radio tutta l’isola si tiene a Torino, i bianconeri passano in vantaggio con un’autorete del solito
Niccolai, il pareggio di Riva è un capolavoro assoluto, la cui descrizione lasciamo alla penna di Gianni
Brera: «Batte un angolo Nené da destra: in area, avversari a grappolo, impegnati nello stacco: la
palla ricade fuori dal mucchio: Riva la coglie di ginocchio e la batte a spioventino oltre
compagni e avversari, che aggire fulmineo: prima che esca il portiere, prodigiosamente Riva
incorna e segna!». Alla fine è 2-2, che in pratica significa scudetto.Il 13 aprile, in una piazza della
periferia, tra brindisi e cerimonie, vengono innalzate la bandiera del Cagliari e il tricolore, mentre il
viola dell’anno prima simbolicamente viene ammainato tra la commozione generale. Il giorno prima,
quando dalla radio è uscita finalmente la parola magica scudetto, c’è chi giura che anche i quattro
mori, per un attimo, si sono abbassati le bende per vedere se fosse tutto vero. L’isola balla,
masticando un entusiasmo debordante il semplice fatto sportivo. Ci sono sentori di rivincita storica,
decenni di isolamento superati anche se solo nell’illusione di un triangolino tricolore. La Sardegna è
diventata importante, gli investimenti dei raffinatori del petrolio e poi la scoperta turistica stanno
levandola dal dimenticatoio della storia patria. Ora, la prima squadra me­ridionale a vincere lo
scudetto diventa portabandiera del riscatto degli umili.Nel momento della festa, onore al merito di
chi nel ’67, cioè solo tre anni prima, ha salvato il Cagliari dal fallimento: al presidente Corrias e al suo
abilissimo vice Andrea Arrica, diplomatico e astuto architetto negli anni dell’esplosione rossoblu.
Come non ricordare che solo sei anni prima, nel 1964, i colori rossoblu hanno visto la luce della Serie
A, dopo una storia vissuta costantemente ai margini? Il nuovo è abituato a sgomitare e a trovarsi
spesso inadeguato o fuori luogo, ma rimane sempre la forza primitiva di ogni uomo sulla terra, la
capacità di sognare e di sentirsi parte in causa o appartenenza, seguendo la palla che deforma la rete
come quella terribile capocciata in tuffo di Riva in un Cagliari-Bari che avvicina le menti a gesti eroici o
alle illusioni che sono la grandezza dello sport.


  • Amore senza confini
Il suo modo di essere fuori dai soliti schemi delle grandi società che hanno vinto tutto ha reso la
squadra isolana amata in tutta Italia, sostenuta da un tifo “collaterale” probabilmente senza
precedenti. Ora il momento di fama, e questo è l’aspetto più romantico del successo, non investe solo
i campioni come Riva o Domenghini, gente già avvezza alla Nazionale, ma anche ragazzi dalle
gambe robuste per i quali il calcio fino a poco prima era solo passione e tanti sacrifici. Sfogliando i
vecchi album, le fotografie riprendono questi eroi del silenzio sempre sullo sfondo, dietro i pugni
stretti e alzati di Riva quando esulta per un gol; a loro basta così, perché i tifosi non se li
dimenticheranno mai, mentre a testa bassa rincorrevano gli avversari o segnavano un inatteso gol
decisivo per il risultato e la carriera. Uno di questi protagonisti è Mario Martiradonna, terzino duro,
tutta grinta e applicazione, comprimario appiccicoso sull’avversario, esemplare nella sofferenza, che a
trentadue anni ha coronato le sue otto stagioni in Sardegna con una vittoria, insperata quanto
meritata.Brugnera era il primo ricambio della squadra, l’uomo dei momenti difficili, il lusso di un
allenatore che poteva avere la possibilità di cambiare in corsa le partite grazie all’intelligenza di
autentici titolari aggiunti. La panchina dava al tecnico valide alternative, e Scopigno considerava ogni
giocatore importante. Grazie a questo atteggiamento ha tirato fuori il meglio dai singoli elementi. E
grandi meriti hanno anche Tomasini, Poli, Zignoli, Nastasio, Mancin o i dirigenti più nascosti, come
l’uomo del mercato, l’ingegner Paolo Marras, l’allenatore in seconda Conti, importante sostituto di
Scopigno durante le squalifiche.
Riva_15


  • NonsoloRiva
Insomma, quando si dice che Gigi Riva era il Cagliari, non si rende pieno onore alla verità. Lo stesso
campione non voleva certo essere più di ciò che il suo ruolo comportava. Il terminale offensivo di una
squadra ha bisogno di un collettivo che lo aiuti, e Gigi Riva, uomo modesto e “di spogliatoio”, non
faceva fatica a riconoscere quanto fossero stati importanti, per le sue ventuno reti di capocannoniere,
i traversoni precisi di Domenghini, gli spazi creati dal raffinato Gori, i lunghi lanci di Cera e Nené, le
rifiniture di Greatti. Lui, comunque, era inimitabile. Gli aggettivi e le iperboli nei confronti di Rombo di
Tuono si sono sprecati, ma nulla gli rese giustizia come il campo, dove le parole sono un condimento
indigesto e inutile. Basta chiedere agli stopper e ai portieri chi fosse l’uomo che vinse tre volte la
classifica marcatori, qual era la paura che incuteva nelle difese quando caricava quel terrbile sinistro.
Qualcuno, istintivamente, vista la sorte che la traiettoria del pallone gli riservava, si toglieva di mezzo,
relegando a portieri coraggiosi il trattamento di quella forza della natura a esagoni scagliata con una
furia da atterrire anche gli eroi di Salgari. Tanta forza in campo (e tanta riservatezza nella vita privata:
proprio in quella magica stagione emerse la storia d’amore della sua vita, un amore contrastato con
una donna sposata) si scherma dietro quel viso che dà sicurezza e incute rispetto, nella sua bella
casa con le foto delle au­tomobili da corsa appese alle pareti, oppure durante le passeggiate riposanti
sul lungomare che sembrano restituirgli la tranquillità. Non gli piace allenarsi al mattino, dorme fino a
tardi. Niente problemi: Scopigno sposta gli allenamenti. Riva è il primo ad arrivare, quando appena
si annuncia il pomeriggio, e continua fino a tardi, sparando sassate anche piedi nudi, dopo essersi
tolte le scarpe. I compagni giocano per lui e ne accolgono senza fiatare le dure reprimende
nell’intervallo, quando fuma dalle narici l’ira per una prestazione avviata su una china poco favorevole.
Il suo carisma è tale che è un dovere assecondarlo.
La riscossa di Nené
Prendete un brasiliano e mettetelo a osservare il cielo di ghisa di Torino, nel quale non tutti riescono
a trovare l’entusiasmo per correre felici su un campo di calcio. Se per di più ti chiedono di ripetere le
gesta di un gallese del calibro di Charles, attaccante difficilmente sostituibile, allora ogni premessa
per fare bene salta in aria. La Juventus cercava un centravanti di sfondamento e il longilineo e classico
Nené proprio non era tagliato per il ruolo. In bianconero fu un fallimento. Scopigno prese a mano
quel giocatore apparentemente senza via d’uscita e lo rese grande e lui contribuì a rendere grande il
Cagliari, dimenticando ogni nostalgia, giocando finalmente da centrocampista e facendo più volte la
differenza. I suoi scatti sulla fascia, i bei gol, l’eleganza innata lo consacrarono uno dei grandi del
campionato.Quelli che non ti aspetti e in cui gli altri non hanno creduto, spesso sono coloro che
rendono più affascinante una vittoria. Le rivincite personali al servizio della squadra, i riscatti
professionali di gente scaricata  all’Inter, come Gori e Poli, entrato  nello scambio estivo Boninsegna
Domenghini, hanno aggiunto personalità a una squadra che già aveva dimostrato un piglio da prima
della classe.


  • Gli anni del declino
Dopo il trionfo seguono alcuni campionati dignitosi, ma che danno la sensazione di un imminente
declino, soprattutto per via degli infortuni di Riva, due gambe immolate alla causa azzurra e poi un
doloroso infortunio muscolare. Botte prese in ogni angolo del mondo da un campione coraggioso
per antonomasia, botte che logorano. Gigi gioca la sua ultima partita il 14 marzo del ’76. La squadra
retrocede, l’abbandono del presidente Arrica chiuderà un ciclo indimenticabile.

CAGLIARI 1969/70: ECCO I CAMPIONI
Giocatore
Data e luogo nascita
Ruolo
Pres.
Reti
ALBERTOSI Enrico
BRUGNERA Mario
CERA Pier Luigi
DOMENGHINI Angelo
GORI Sergio
GREATTI Ricciotti
MANCIN Eraldo
MARTIRADONNA Mario
NENÉ Claudio de Carvalho
NASTASIO Corrado
NICCOLAI Comunardo
POLI Cesare
REGINATO Adriano
RIVA Luigi
TOMASINI Giuseppe
ZIGNOLI Giulio
Pontremoli (MS) 2-2-1939
Venezia 26-2-1946
Legnago(VR) 25-2-1941
Lallio (BG) 25-8-1941
Milano 24-2-1946
Basiliano (UD) 13-10-1939
Porto Tolte (RO) 18-4-1945
Bari 26-8-1938
Santos (Bra) 1-2-1942
Livorno 31-1-1946
S. Lucia di Uzzano (PT) 15-12-1946
Breganze (VI) 6-1-1945
Carbonera (TV) 19-12-1937
Leggiuno (VA) 7-11-1944
Palazzolo sull’Oglio (BS) 28-9-1946
Verona 19-4-1946
P
C
C
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A
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Redazione Medasa per Medasa.it